Dal 16 ottobre al 27 marzo a Casa Cavazzini

A Udine 50 capolavori, da Monet a Kandinskij, per dare forma all'infinito

Claude Monet, Sulle planches di Trouville, 1870, Olio su tela, Collezione privata friulana
 

Samantha De Martin

12/10/2021

Udine - C’è un rarissimo Monet, che conserva ancora sulla tela traccia dei granelli di sabbia di Trouville, impastati dal vento assieme al colore fresco, mentre il cavalletto, piazzato sulla banchina, capta il brulichio mondano della spiaggia. E ci sono i grovigli nervosi di Emilio Vedova, protagonisti di un lavico delirio metamorfico, che si intrecciano alle matasse di fili sparsi nello spazio da Hans Hartung, alla maniera di stelle filanti su cieli misteriosi e profondissimi.
Sono solo due dei 50 capolavori che invitano a ricostruire La forma dell’infinito, un percorso espositivo che, dal 16 ottobre al 27 marzo, a Udine, regala un viaggio attraverso cento anni di storia dell’arte, dai primi fermenti impressionisti all’infinita apertura su tela di Edmondo Bacci, passando da Cézanne, Kandinskij, Picasso, Natal’ja Gončarova, per attraversare uno scorcio di campagna lombarda fissata su tela da Umberto Boccioni e approdare infine a uno degli ultimi Gauguin.


Ferdinand Brunner, Il viandante, 1908, Olio su tela Vienna, Galleria del Belvedere

Ad accogliere la mostra sarà Casa Cavazzini, sede del nuovo Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Udine, sottoposto ad un lungo lavoro di ristrutturazione su progetto dell’architetto Gae Aulenti e aperto al pubblico dal 2012.
La rassegna, di respiro europeo, accoglie anche undici lavori provenienti da collezioni private, e pertanto quasi mai visibili al pubblico. Accanto a questi, sei opere raramente esposte nei musei italiani, come La Piazza Rossa di Vasilij Kandinskij, eccezionalmente concessa dalla Tret'jakov di Mosca, o ancora i tre dipinti di Nicholaj Roerich e i lavori di Mikalojus Čiurlionis che eccezionalmente lasciano le loro sedi, rispettivamente russa e lituana, per raggiungere il Friuli.

Uno solo il fil rouge di questa mostra che si preannuncia tutta da gustare: la riflessione offerta al visitatore sulla grande domanda di infinito e trascendenza a partire dalla finitezza umana.


Alexander Rothaug, Odisseo (nostalgia di casa), 1924, Olio su tela, Vienna, Galleria del Belvedere

Il merito della rassegna che getta un ponte tra Udine e i principali musei al mondo - dal Muséè d’Orsay di Parigi e dalla Fondazione Guggenheim di New York al Museo Picasso di Barcellona - spetta al sacerdote friulano Don Alessio Geretti che, grazie a iniziative di livello, organizzate negli anni scorsi nel piccolo centro di Illegio (Udine), ha trasformato un borgo di 350 anime in un apprezzato centro culturale, sede di importanti allestimenti.
Ma torniamo a Udine, dove il tema della finitezza umana lega tra loro le otto sezioni di un percorso che si preannuncia una sorta di meditazione sulla storia spirituale dell’arte. Così, dai frammenti di luce di Monet ai sentieri intellettuali di Kandinskij lo sguardo del visitatore è invitato a perdersi nel groviglio inestricabile di Vedova, o al cospetto delle opere di Renon, tra scenari che evocano il senso dell’immensità, mentre la visita diventa l’occasione per un viaggio dentro se stessi.

“Tra le opere in mostra - spiega Don Alessio Geretti - incontriamo uno degli ultimi dipinti di Gauguin, realizzato nel 1901 a Tahiti, due anni prima di morire. L’animo dell’artista, invaso dal ricordo, è sintetizzato in una scena. Così, in Natura morta davanti a L’Espérance, la riproduzione del dipinto che Puvis de Chavannes realizzò tra il 1871 e il 1872 fa da sfondo ai girasoli, un omaggio, e al tempo stesso una promessa di amicizia eterna, all’amico Van Gogh, colui che aveva saputo far vibrare in Gauguin l’intimo pensiero delle cose”.


Vasilij Kandinskij, Composizione IV, 1911 Litografia, Linz, Museo d’arte di Lentos

Lungi dal voler essere una rassegna di moda, la mostra, come spiega il curatore, “si pone come possibile via d’accesso all’arte moderna e contemporanea, affinché risvegli la capacità dello sguardo di andare oltre le apparenze. Il criterio di selezione è interiore, le opere sono collegate in un viaggio che ha un cuore: l’aspirazione dell’uomo all’infinito”.
Ed eccolo il cuore appassionato di Icaro, mentre l’eroe cade (o si rialza?) dal cielo stellato, immortalato da Matisse nella tavola a stampa in prestito dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. In quest’opera, che chiude il percorso espositivo, Icaro, simile a un trapezista in volo, con il suo anelito verso il cielo stellato, sembra incarnare il memorabile fallimento, sorretto da quel punto rosso, l’amore, capace di rendere più leggera la propria ricerca.


Nicholaj Roerich, Il comando del maestro (precetto del saggio), 1947 Tempera su tela, Mosca, Museo di Stato di Arte Orientale

La mostra pronta a inaugurare a Udine coinvolgerà una trentina di giovani guide che accompagneranno i visitatori offrendo loro una chiave di lettura iconologica e teologica in un approccio che presenterà i lavori da un’illuminante prospettiva.
Tra gli artisti esposti, con il loro tentativo di trovare la via d’accesso all’infinito e di lasciarne traccia in un’opera d’arte, anche Nikolaj Roerich, il maestro dal linguaggio fiabesco che, con i suoi lavori, coglie la possibilità di un’armonia verticale tra l’uomo e il creato. Ne derivano scorci di maestri in meditazione tra montagne coloratissime, paesaggi vertiginosi, le cime innevate del Tibet che traducono in immagine il cammino iniziatico verso le altitudini della coscienza.

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