Arte bene accessorio?
Una cordata da 300 milioni per salvare il Detroit Institute of Arts

Detroit Institute of Arts Museum
Ludovica Sanfelice
14/01/2014
Nove fondazioni regionali e nazionali hanno annunciato che offriranno un anticipo di 330 milioni come parte di uno sforzo volto a tutelare la collezione del Detroit Institute of Arts (DIA) ed impedire che diventi preda dei creditori nel processo federale di bancarotta che sta investendo la Motor City d’America.
Nei mesi passati i creditori avevano proposto di monetizzare il ricco patrimonio artistico che include opere di Picasso, Van Gogh, Matisse, Degas Monet e persino Michelangelo, e avevano sollecitato una stima di quella porzione della collezione di proprietà della città per liquidare parte dei debiti.
In dicembre la casa d’aste Christie’s ha eseguito una perizia su tremila delle sessantamila opere della prestigiosa raccolta, assegnando loro un valore compreso tra i 454 e i 900 milioni di dollari.
L’amministratore dell’emergenza Kevyn Orr, incaricato del processo di bancarotta aveva chiarito che il museo avrebbe fatto la sua parte per aiutare a saldare un debito municipale che potrebbe superare i 18mila milioni di dollari. E i creditori in coro avevano sottolineato che l’arte non è un bene essenziale e pertanto doveva essere venduto.
La dispersione delle opere o la loro locazione, secondo il più recente dei piani di risanamento dei conti, in primo luogo dovrebbe provvedere a mettere in sicurezza le pensione di 23mila impiegati municipali. E proprio qui interverrà la generosa cordata che si propone di salvare il DIA e che in queste ore lavora alla negoziazione mettendo sul tavolo anche il trasferimento dell’Istituto dal controllo cittadino a quello statale.
Consulta anche:
Quale futuro per il Detroit Institute of Arts?
Nei mesi passati i creditori avevano proposto di monetizzare il ricco patrimonio artistico che include opere di Picasso, Van Gogh, Matisse, Degas Monet e persino Michelangelo, e avevano sollecitato una stima di quella porzione della collezione di proprietà della città per liquidare parte dei debiti.
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L’amministratore dell’emergenza Kevyn Orr, incaricato del processo di bancarotta aveva chiarito che il museo avrebbe fatto la sua parte per aiutare a saldare un debito municipale che potrebbe superare i 18mila milioni di dollari. E i creditori in coro avevano sottolineato che l’arte non è un bene essenziale e pertanto doveva essere venduto.
La dispersione delle opere o la loro locazione, secondo il più recente dei piani di risanamento dei conti, in primo luogo dovrebbe provvedere a mettere in sicurezza le pensione di 23mila impiegati municipali. E proprio qui interverrà la generosa cordata che si propone di salvare il DIA e che in queste ore lavora alla negoziazione mettendo sul tavolo anche il trasferimento dell’Istituto dal controllo cittadino a quello statale.
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