Fausto Brigantino. Il corredo

Fausto Brigantino. Il corredo
Dal 12 January 2013 al 9 February 2013
Palermo
Luogo: Zelle Arte Contemporanea
Indirizzo: via Fastuca 2
Orari: da martedì a sabato 17-20
Curatori: Salvatore Davì
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 339 3691961
E-Mail info: zelle@zelle.it
Sito ufficiale: http://www.zelle.it
L’11 gennaio si inaugura Il corredo, mostra personale di Fausto Brigantino (Palermo 1985), a cura di Salvatore Davì.
La mostra raccoglie una selezione di sette fotografie in bianco e nero dal progetto Expectancy-expectance-expectation. Un reportage di affetti e memorie, tra ritratti e immagini di oggetti quotidiani, che vede protagonisti le figure dei nonni dell’artista come punto di partenza per la ricerca della propria identità. Ai ritratti fotografici si aggiungono tre registrazioni ambientali che presentano la voce della nonna come leitmotiv della mostra in una sorta di racconto cantato.
Lo sguardo pseudo-scientifico che contestualizza le immagini fotografiche di Fausto Brigantino sembra collocare il progetto in una precisa disgiuntura che separa apparentemente il fotografo dall’individuo e dalle relazioni che intrattiene con gli altri. Questa frattura che differenzia lo sguardo soggettivo da quello oggettivo, è il crinale sul quale lavora Brigantino operando attraverso il reportage. L’artista costruisce un documentario sulle sue radici familiari ri-producendo delle immagini che non sono una semplice ripetizione del reale bensì un corredo di intime memorie che svuotano l’immaginario oggettivante del reportage e sovvertono dunque le regole stesse di cui si nutre il reporter. Si tratta di accettare il fotografo come l’identità “vera” del soggetto fotografato che paradossalmente è quello che qui resta materialmente invisibile; restano visibili i nonni che si presentano come delle tracce sempre più flebili e sbiadite di un tempo del quale sono stati i testimoni. Nonostante il nipote non sia visibile dentro gli scatti la sua compromissione è percepibile nel tentativo di accertare lo stato delle cose da una rassicurante distanza, attraverso il filtro del mezzo fotografico.
L’incontro tra il fotografo-nipote e i soggetti-nonni avviene in un appartamento che è carcere e culla al tempo stesso: un luogo che i nonni hanno “costruito” negli anni attraverso una geografia corporea che corrisponde agli spazi e agli oggetti (salvifici) del loro quotidiano (il letto, le medicine, il girello, le flebo, etc).
Ai ritratti fotografici si aggiungono le registrazioni ambientali con la voce della nonna Santa e le sue cantilene che ricompongono frammenti vissuti; i canti sembrano dei sabotaggi al cuore del linguaggio per via della potenza preverbale delle metriche in lotta con una coscienza linguistica: il suono sembra essere un prolungamento del corpo, un gesto acustico che attraversa luoghi per toccare memorie.
L’artista cerca di arginare e controllare il terreno scosceso delle vicinanze attraverso un archivio della presenza; gli scatti sono dunque delle esche predisposte per far abboccare lo scorrere del tempo e suturare la ferita della senilità che ossida il corredo di ricordi, affetti e relazioni. Brigantino non è più l’artista-fotografo ma l’individuo alla ricerca della sua dote, del suo corredo identitario, del suo background e il suo sguardo serve ad accertare la presenza di tutto ciò e riconoscere se stesso.
La mostra raccoglie una selezione di sette fotografie in bianco e nero dal progetto Expectancy-expectance-expectation. Un reportage di affetti e memorie, tra ritratti e immagini di oggetti quotidiani, che vede protagonisti le figure dei nonni dell’artista come punto di partenza per la ricerca della propria identità. Ai ritratti fotografici si aggiungono tre registrazioni ambientali che presentano la voce della nonna come leitmotiv della mostra in una sorta di racconto cantato.
Lo sguardo pseudo-scientifico che contestualizza le immagini fotografiche di Fausto Brigantino sembra collocare il progetto in una precisa disgiuntura che separa apparentemente il fotografo dall’individuo e dalle relazioni che intrattiene con gli altri. Questa frattura che differenzia lo sguardo soggettivo da quello oggettivo, è il crinale sul quale lavora Brigantino operando attraverso il reportage. L’artista costruisce un documentario sulle sue radici familiari ri-producendo delle immagini che non sono una semplice ripetizione del reale bensì un corredo di intime memorie che svuotano l’immaginario oggettivante del reportage e sovvertono dunque le regole stesse di cui si nutre il reporter. Si tratta di accettare il fotografo come l’identità “vera” del soggetto fotografato che paradossalmente è quello che qui resta materialmente invisibile; restano visibili i nonni che si presentano come delle tracce sempre più flebili e sbiadite di un tempo del quale sono stati i testimoni. Nonostante il nipote non sia visibile dentro gli scatti la sua compromissione è percepibile nel tentativo di accertare lo stato delle cose da una rassicurante distanza, attraverso il filtro del mezzo fotografico.
L’incontro tra il fotografo-nipote e i soggetti-nonni avviene in un appartamento che è carcere e culla al tempo stesso: un luogo che i nonni hanno “costruito” negli anni attraverso una geografia corporea che corrisponde agli spazi e agli oggetti (salvifici) del loro quotidiano (il letto, le medicine, il girello, le flebo, etc).
Ai ritratti fotografici si aggiungono le registrazioni ambientali con la voce della nonna Santa e le sue cantilene che ricompongono frammenti vissuti; i canti sembrano dei sabotaggi al cuore del linguaggio per via della potenza preverbale delle metriche in lotta con una coscienza linguistica: il suono sembra essere un prolungamento del corpo, un gesto acustico che attraversa luoghi per toccare memorie.
L’artista cerca di arginare e controllare il terreno scosceso delle vicinanze attraverso un archivio della presenza; gli scatti sono dunque delle esche predisposte per far abboccare lo scorrere del tempo e suturare la ferita della senilità che ossida il corredo di ricordi, affetti e relazioni. Brigantino non è più l’artista-fotografo ma l’individuo alla ricerca della sua dote, del suo corredo identitario, del suo background e il suo sguardo serve ad accertare la presenza di tutto ciò e riconoscere se stesso.
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