Giuseppe Gabellone
Dal 08 Marzo 2013 al 05 Maggio 2013
Bergamo
Luogo: GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
Indirizzo: via San Tomaso 53
Orari: da martedì a domenica 10-19; giovedì 10-22
Curatori: Alessandro Rabottini
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 035 270272
E-Mail info: manuela.blasi@gamec.it
Sito ufficiale: http://www.gamec.it
La GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta la prima mostra personale che un’istituzione pubblica italiana dedica al lavoro di Giuseppe Gabellone (Brindisi, 1973. Vive e lavora a Parigi).
La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, presenta una serie di opere inedite concepite per l’occasione e segna il ritorno espositivo di Gabellone in Italia dopo alcuni anni.
Sin dalla seconda metà degli anni Novanta il lavoro di Giuseppe Gabellone si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica internazionali per l’originalità del suo approccio ai linguaggi della fotografia e della scultura e per il rigore formale e concettuale che lo caratterizzano, portando l’artista a prendere parte giovanissimo a due edizioni della Biennale di Venezia (nel 1997 e nel 2003) e una Documenta di Kassel (2002).
Nel suo lavoro, Gabellone esplora la relazione tra scultura e fotografia, tra bidimensionalità e tridimensionalità, tra l’immagine e la sua fisicità conducendo il medium fotografico e il concetto di scultura su nuovi piani di linguaggio. Se negli anni dei suoi esordi il lavoro dell’artista ha instaurato una profonda relazione con l’eredità dell’Arte Povera e della scultura post-minimalista – soprattutto nel modo di concepire la scultura come campo di energia, di trasformazione e di temporalità – negli anni più recenti il suo lavoro si è caratterizzato per un sempre più spiccato sperimentalismo tanto sui materiali quanto sull’invenzione iconografica. Ne sono un esempio le serie che sfruttano il linguaggio del basso-rilievo – e, di conseguenza, della relazione tra immagine, scultura e architettura – e che sono state realizzate sperimentando materiali come il poliuretano espanso, il tabacco e la polvere di alluminio (si vedano, a questo proposito, la serie de I Giapponesi del 2003 e i Senza Titolo del 2005).
L’idea stessa dell’immagine come una costruzione che si situa a metà strada tra astrazione e realtà è al centro del lavoro di Giuseppe Gabellone, se pensiamo a un procedimento tipico del suo lavoro, ovvero quello di concepire e realizzare strutture, sculture e oggetti che però esistono soltanto in quanto immagini fotografiche. Questa caratteristica del lavoro di Gabellone mette in questione la fotografia come forma di registrazione della realtà a favore di un’idea della fotografia come forma di invenzione della realtà stessa. Ed è questo uno dei motivi per cui, nelle sue immagini, coesistono elementi prosaici e realistici – come scenari industriali e urbani – con forme e atmosfere che evocano un immaginario metafisico e surreale.
Inoltre, tra la fotografia e i materiali della scultura si stabiliscono altre forme di relazione basate sulla capacità di entrambi i media di registrare e conservare tracce dello scorrere del tempo, da una parte attraverso l’impressione della luce e, dall’altra, attraverso la sensibilità delle superfici. Nel suo lavoro Gabellone pone in dialogo astrazione e figurazione, tattile e visivo, naturale e artificiale, iper-realismo e decorazione, accrescendo la relazione tra le qualità tattili di un’immagine e il suo esistere in un altrove privo di fisicità.
Per la sua mostra alla GAMeC l’artista ha sviluppato una serie di lavori inediti all’interno di un percorso espositivo pensato in relazione allo Spazio Zero del museo. Tre grandi opere a parete costituiscono l’ossatura della mostra e sono il risultato di un processo compositivo e scultoreo nato a partire dall’elaborazione visiva di parole e brevi frasi. Di ciascuno di questi piani estremamente elaborati è stato poi realizzato un calco in resina plastica, un materiale in grado di registrare le minime variazioni della materia ma che, al tempo stesso, raffredda e allontana la percezione del lavoro manuale. Questi tre monumentali alto-rilievi creano quindi una serie di oscillazioni e di ambiguità percettive tra scultura, pittura e linguaggio.
Lo spazio espositivo è, inoltre, trasformato dalla presenza di un enorme intervento installativo concepito per trasformare l’esperienza percettiva dello spettatore, sollecitando il suo senso tattile oltre che quello visivo.
La mostra è accompagnata da un catalogo monografico che documenta, oltre al progetto per la GAMeC di Bergamo, la produzione artistica di Gabellone degli ultimi quattro anni. Il catalogo, edito da Mousse Publishing, include testi di Tom Morton, contributing editor di Frieze Magazine e curatore indipendente e di Alessandro Rabottini, curatore della mostra.
Giuseppe Gabellone ha preso parte a numerose mostre collettive internazionali come le Biennali di Venezia (1997 e 2003), di Lione (2003), di Sidney (1998) e di Santa Fe (1997) e alla Documenta di Kassel (2002). Sue mostre personali sono state organizzate da istituzioni come il Domaine de Kerguéhennec di Bignan (2008), il Museum of Contemporary Art di Chicago (2002) e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (2000). Le sue opere sono state esposte in istituzioni come il Kunstmuseum Lichtenstein, il Centre Pompidou di Parigi, il Museu Serralves di Oporto, lo Stedelijk Museum voor Aktuele Kunst di Gent, il Bonnefanten Museum di Maastricht, il Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli e la Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, presenta una serie di opere inedite concepite per l’occasione e segna il ritorno espositivo di Gabellone in Italia dopo alcuni anni.
Sin dalla seconda metà degli anni Novanta il lavoro di Giuseppe Gabellone si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica internazionali per l’originalità del suo approccio ai linguaggi della fotografia e della scultura e per il rigore formale e concettuale che lo caratterizzano, portando l’artista a prendere parte giovanissimo a due edizioni della Biennale di Venezia (nel 1997 e nel 2003) e una Documenta di Kassel (2002).
Nel suo lavoro, Gabellone esplora la relazione tra scultura e fotografia, tra bidimensionalità e tridimensionalità, tra l’immagine e la sua fisicità conducendo il medium fotografico e il concetto di scultura su nuovi piani di linguaggio. Se negli anni dei suoi esordi il lavoro dell’artista ha instaurato una profonda relazione con l’eredità dell’Arte Povera e della scultura post-minimalista – soprattutto nel modo di concepire la scultura come campo di energia, di trasformazione e di temporalità – negli anni più recenti il suo lavoro si è caratterizzato per un sempre più spiccato sperimentalismo tanto sui materiali quanto sull’invenzione iconografica. Ne sono un esempio le serie che sfruttano il linguaggio del basso-rilievo – e, di conseguenza, della relazione tra immagine, scultura e architettura – e che sono state realizzate sperimentando materiali come il poliuretano espanso, il tabacco e la polvere di alluminio (si vedano, a questo proposito, la serie de I Giapponesi del 2003 e i Senza Titolo del 2005).
L’idea stessa dell’immagine come una costruzione che si situa a metà strada tra astrazione e realtà è al centro del lavoro di Giuseppe Gabellone, se pensiamo a un procedimento tipico del suo lavoro, ovvero quello di concepire e realizzare strutture, sculture e oggetti che però esistono soltanto in quanto immagini fotografiche. Questa caratteristica del lavoro di Gabellone mette in questione la fotografia come forma di registrazione della realtà a favore di un’idea della fotografia come forma di invenzione della realtà stessa. Ed è questo uno dei motivi per cui, nelle sue immagini, coesistono elementi prosaici e realistici – come scenari industriali e urbani – con forme e atmosfere che evocano un immaginario metafisico e surreale.
Inoltre, tra la fotografia e i materiali della scultura si stabiliscono altre forme di relazione basate sulla capacità di entrambi i media di registrare e conservare tracce dello scorrere del tempo, da una parte attraverso l’impressione della luce e, dall’altra, attraverso la sensibilità delle superfici. Nel suo lavoro Gabellone pone in dialogo astrazione e figurazione, tattile e visivo, naturale e artificiale, iper-realismo e decorazione, accrescendo la relazione tra le qualità tattili di un’immagine e il suo esistere in un altrove privo di fisicità.
Per la sua mostra alla GAMeC l’artista ha sviluppato una serie di lavori inediti all’interno di un percorso espositivo pensato in relazione allo Spazio Zero del museo. Tre grandi opere a parete costituiscono l’ossatura della mostra e sono il risultato di un processo compositivo e scultoreo nato a partire dall’elaborazione visiva di parole e brevi frasi. Di ciascuno di questi piani estremamente elaborati è stato poi realizzato un calco in resina plastica, un materiale in grado di registrare le minime variazioni della materia ma che, al tempo stesso, raffredda e allontana la percezione del lavoro manuale. Questi tre monumentali alto-rilievi creano quindi una serie di oscillazioni e di ambiguità percettive tra scultura, pittura e linguaggio.
Lo spazio espositivo è, inoltre, trasformato dalla presenza di un enorme intervento installativo concepito per trasformare l’esperienza percettiva dello spettatore, sollecitando il suo senso tattile oltre che quello visivo.
La mostra è accompagnata da un catalogo monografico che documenta, oltre al progetto per la GAMeC di Bergamo, la produzione artistica di Gabellone degli ultimi quattro anni. Il catalogo, edito da Mousse Publishing, include testi di Tom Morton, contributing editor di Frieze Magazine e curatore indipendente e di Alessandro Rabottini, curatore della mostra.
Giuseppe Gabellone ha preso parte a numerose mostre collettive internazionali come le Biennali di Venezia (1997 e 2003), di Lione (2003), di Sidney (1998) e di Santa Fe (1997) e alla Documenta di Kassel (2002). Sue mostre personali sono state organizzate da istituzioni come il Domaine de Kerguéhennec di Bignan (2008), il Museum of Contemporary Art di Chicago (2002) e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (2000). Le sue opere sono state esposte in istituzioni come il Kunstmuseum Lichtenstein, il Centre Pompidou di Parigi, il Museu Serralves di Oporto, lo Stedelijk Museum voor Aktuele Kunst di Gent, il Bonnefanten Museum di Maastricht, il Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli e la Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
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