Post Cards
Dal 25 Gennaio 2014 al 01 Marzo 2014
Bologna
Luogo: De Diseño
Indirizzo: via Caldarese 1/2
Orari: da martedì a sabato 10-12/ 16-19
Curatori: Patti Campani
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 333 6419333
E-Mail info: fiorile.dediseno@gmail.com
Sito ufficiale: http://fiorile-dediseno.tumblr.com
Il 25 gennaio in occasione di Art City White Night, si inaugura Post Cards a cura di Patti Campani.
Opere di: Nino Migliori, Luigi Ottani, Umberto Zampini, Stefano Scheda, Stefano W. Pasquini, Luca di Martino, Claudio Alba,Teresa Enhiak Nanni.
A ben vedere quasi nessuno più invia cartoline. Sono state velocemente e, temo, irrevocabilmente sostituite da immagini spedite o condivise in tempo reale con mms e sul web, spesso accompagnate da un più incisivo autoscatto in loco ad immediata dichiarazione:sono qui ora, guarda! Tutto si perde in un consumo veloce e indiscriminato, fagocitato dalle migliaia di immagini da cui siamo perennemente circondati, ma così poco presi in realtà, e in cui il paesaggio o la visione d’insieme diventano semplice sfondo al protagonista di turno.
Lontani i tempi della ricerca di una bella veduta da inviare o collezionare, non servono più la busta con i francobolli, la bic, la pausa al tavolo del caffè per la scrittura, la grafia, il pensiero. Come non ci bastasse il tempo, o non ci fosse il desiderio di fermarsi, riflettere per un momento, dedicarsi. Quanti di noi, per esempio, conoscono la grafia di amici recenti o ne conservano cartoline di timbro fresco? E’ anche vero che purtroppo, nel caso decidessimo di sobbarcarci tutta la fatica sopraddetta, è decisamente difficile, se non impossibile, scegliere tra immagini decenti; la ricerca deve forzatamente limitarsi alle riproduzioni di opere d’arte disponibili nel book shop dei musei che tutto sommato riducono le opere a una sorta di santino vagante. Una sofferenza.
Ma prima di essere un piccolo stereotipo ad uso e consumo del turismo le cartoline sono state, e sono, documento, oggetto di commemorazioni, di propaganda e pubblicità, messaggio, simbolo ed immagine di costume e società, strumento oltre che di comunicazione di conoscenza, così come lo è ogni cosa legata all’immagine e quindi, almeno in parte, al reale.
E allora come rappresentarci oggi tramite questo strumento, attraverso il suo formato, il suo carattere molteplice, se non vogliamo abbandonarlo alla sua estinzione? Come contrapporci agli smemorati della contemporaneità?
A questo danno una propria possibile risposta gli artisti presenti a Post Cards. Una serie di opere editate per l’occasione: Il paesaggio naturale e quello urbano fissati nelle loro mutazioni dallo sguardo contemporaneo; nuove cartoline illustrate a presente memoria.
E se non esistono più le cartoline postali (il fronte vuoto che poteva essere trasformato in disegno, scrittura, immagine simulata, narrazione) e che hanno segnato la nascita della più nota illustrata, ecco che le opere di Nino Migliori presentate in questa occasione ci offrono la migliore delle alternative.
Ninoe Marina da più di trent’anni creano loro stessi le cartoline che poi si auto-inviano dai viaggi: collage di ricordi, momenti, biglietti, brevi appunti e saluti, una mail art tutta personale che troveranno ad attenderli tra la posta al loro stesso rientro. Piccole dediche che strappano il sorriso : ci pensiamo sempre, stiamo rientrando, ci rivediamo presto allo specchio (quello all’ingresso della loro abitazione …)
Opere mai esposte che Migliori ci offre come frammenti lievi e amorevoli di vita privata, il suo personale appunto-visione di quel viaggio, la sua moleskine alata donata in visione. Sguardo attento e poetico che offre un riscatto anche alle piccole presenze di cui spesso ci troviamo colme le tasche: scontrini, biglietti, piccoli appunti, gadgets e quant’altro che diventano personale narrazione. E a questo proposito, ma tornado alle nostre illustrate: cosa può rappresentarci oggi? L’eccezionale, l’insolito, lo straordinario, o piuttosto tutto il resto? Conviene interrogare l’abituale come suggeriva Perrec? Forse si tratta di fondare infine la nostra propria antropologia: quella che parlerà di noi, che andrà a cercare in noi quello che noi abbiamo per così tanto tempo saccheggiato negli altri. Non più l’esotico, ma l’endotico. Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?(…) Come parlare di queste “cose comuni”, come braccarle piuttosto, come stanarle, staccare la crosta nella quale restano invischiate, come dargli un senso, una lingua: che esse parlino infine di ciò che è, di ciò che noi siamo. (George Perrec, Interrogate l’abituale)
Esemplari in questo senso mi sembrano le immagini proposte da Stefano W. Pasquini: visioni chiuse, oggetti che diventano protagonisti inconsapevoli messi a fuoco e centrati dall’obbiettivo che non considera il contesto. Sono semplicemente se stessi ed allo stesso tempo hanno un rimando possibile ad infinite storie e condizioni. O le schegge di Teresa E. Nanni che, novello flaneur, percorre la città fermando lo sguardo quasi indolente su frammenti: il cielo solcato dai fili dei tram che lo trasformano in un puzzle monocromo, l’ombra della tettoia che solca diagonalmente in piccole onde secche e nervose il muro. Un paesaggio urbano che non vuole certo nobilitarsi con immagini ad effetto.
Nessun desiderio di grandeur. Seguendo questo filo altri due artisti presenti ci accompagnano in una sorta di “terre di mezzo”: Claudio Alba ferma il territorio in continuo divenire delle nostre periferie, non ancora città e non più campagna,un territorio rivoltato da cantieri, occupato da rottami, cumuli di scavi, strade spopolate, costruzioni elefantiache e spaventose quanto deserte. L’uomo che fagocita il territorio con un’occupazione indiscriminata, brutale, prevaricatrice. Stefano Scheda ha fotografato una serie di casolari inserendo specchi nelle aperture vuote e che quindi riflettono, in un gioco alla Velasquez, ciò che si trova alle spalle dell’osservatore. Come mi sottolinea lo stesso Scheda queste sono dimore abitate solo da immagini, metafore dell’esserci, a cui accostarsi con prudenza perché si vede se stessi come transeunti, che passano e scompaiono. Qui ne presentiamo una piccola serie: casette in sequenza che tanto ricordano i giochi infantili di costruzione del un profilo urbano, ma non ne hanno certo l’innocenza. Facciate cieche perché accessibili solo attraverso il riflesso che mostrano, ingannevoli perchè simulano la natura in questo gioco di riflessi , trasformando porte e finestre in occhi specchianti che, nel cortocircuito del doppio sguardo, confondono le visioni, ed infine temibili e nascoste perché si mascherano da malcelato e sopraffatto supporto alla natura stessa.
Paesaggio urbano e suburbano, natura e territorio, impatto dell’agire dell’uomo sull’ambiente. Il fotografo ne ferma una realtà. Luigi Ottani è fotoreporter e con la realtà, la più dura, si incontra ogni giorno e il suo sguardo ci consegna in immagine una condizione che non è mai marginale. In questa occasione i temi proposti sono legati agli effetti visibili dell’azione dell’uomo sul territorio: trame lievi o più nette che nella loro pulizia formale ci catturano immediatamente rivelandosi solo ad uno sguardo più attento per quanto sono realmente: Accampamenti di profughi - campi saharawi; Guerra -Palazzo a Sarajevo; Crisi Economica - Stoccaggio di materiali invenduti. Nessuna spettacolarità, nessun urlo: il tono resta alto per qualità e consapevolezza.
E la realtà della Natura? Eccola finalmente nei paesaggi di Luca Dimartino. Ma non è certo una natura madre amorevole, colma di colore e brulicante di vita: le immagini sono quelle dell’Etna e ci rendono un territorio che ci allontana, ci rifiuta, che ci è decisamente ostile. Assenza di colore, un orizzonte che ci inghiotte e che potremmo facilmente immaginare a 360 gradi o in un gioco di accostamenti infiniti. Le didascalie che accompagnano le immagini nulla ci dicono del luogo, ma piuttosto del sentire personale: e ora; adesso via… Piccoli scarti e asimmetrie o movimenti quasi impercettibili sul sopporto a segno di faticose mutazioni o metamorfosi personali.
E’ natura ancora nelle cartoline di Umberto Zampini, il“Ladro di paesaggi”. Parlandomi del suo progetto Umberto ci tiene a specificare che le sue non sono cartoline dal reale ma da altro luogo, forse quello dell’ironia e della leggerezza perdute…Non posso che confermare, ma aggiungerei altro. Questi due magnifici satiri sessuati, maschile e femminile, che Zampini ci presenta mentre giocano sospesi su un improbabile quanto irreale orizzonte (naturale/innaturale) e che riescono alla fine a racchiudere nel limite di uno specchio la natura stessa, sono a mio parere il simbolo perfetto del desiderio atavico della razza umana: quello del possesso, del controllo, del porsi poco distante dal sentirsi onnipotenti e capaci di tutto. Ma alla fine ne rappresentano, certamente e anche, la profonda fragilità.
Opere di: Nino Migliori, Luigi Ottani, Umberto Zampini, Stefano Scheda, Stefano W. Pasquini, Luca di Martino, Claudio Alba,Teresa Enhiak Nanni.
A ben vedere quasi nessuno più invia cartoline. Sono state velocemente e, temo, irrevocabilmente sostituite da immagini spedite o condivise in tempo reale con mms e sul web, spesso accompagnate da un più incisivo autoscatto in loco ad immediata dichiarazione:sono qui ora, guarda! Tutto si perde in un consumo veloce e indiscriminato, fagocitato dalle migliaia di immagini da cui siamo perennemente circondati, ma così poco presi in realtà, e in cui il paesaggio o la visione d’insieme diventano semplice sfondo al protagonista di turno.
Lontani i tempi della ricerca di una bella veduta da inviare o collezionare, non servono più la busta con i francobolli, la bic, la pausa al tavolo del caffè per la scrittura, la grafia, il pensiero. Come non ci bastasse il tempo, o non ci fosse il desiderio di fermarsi, riflettere per un momento, dedicarsi. Quanti di noi, per esempio, conoscono la grafia di amici recenti o ne conservano cartoline di timbro fresco? E’ anche vero che purtroppo, nel caso decidessimo di sobbarcarci tutta la fatica sopraddetta, è decisamente difficile, se non impossibile, scegliere tra immagini decenti; la ricerca deve forzatamente limitarsi alle riproduzioni di opere d’arte disponibili nel book shop dei musei che tutto sommato riducono le opere a una sorta di santino vagante. Una sofferenza.
Ma prima di essere un piccolo stereotipo ad uso e consumo del turismo le cartoline sono state, e sono, documento, oggetto di commemorazioni, di propaganda e pubblicità, messaggio, simbolo ed immagine di costume e società, strumento oltre che di comunicazione di conoscenza, così come lo è ogni cosa legata all’immagine e quindi, almeno in parte, al reale.
E allora come rappresentarci oggi tramite questo strumento, attraverso il suo formato, il suo carattere molteplice, se non vogliamo abbandonarlo alla sua estinzione? Come contrapporci agli smemorati della contemporaneità?
A questo danno una propria possibile risposta gli artisti presenti a Post Cards. Una serie di opere editate per l’occasione: Il paesaggio naturale e quello urbano fissati nelle loro mutazioni dallo sguardo contemporaneo; nuove cartoline illustrate a presente memoria.
E se non esistono più le cartoline postali (il fronte vuoto che poteva essere trasformato in disegno, scrittura, immagine simulata, narrazione) e che hanno segnato la nascita della più nota illustrata, ecco che le opere di Nino Migliori presentate in questa occasione ci offrono la migliore delle alternative.
Ninoe Marina da più di trent’anni creano loro stessi le cartoline che poi si auto-inviano dai viaggi: collage di ricordi, momenti, biglietti, brevi appunti e saluti, una mail art tutta personale che troveranno ad attenderli tra la posta al loro stesso rientro. Piccole dediche che strappano il sorriso : ci pensiamo sempre, stiamo rientrando, ci rivediamo presto allo specchio (quello all’ingresso della loro abitazione …)
Opere mai esposte che Migliori ci offre come frammenti lievi e amorevoli di vita privata, il suo personale appunto-visione di quel viaggio, la sua moleskine alata donata in visione. Sguardo attento e poetico che offre un riscatto anche alle piccole presenze di cui spesso ci troviamo colme le tasche: scontrini, biglietti, piccoli appunti, gadgets e quant’altro che diventano personale narrazione. E a questo proposito, ma tornado alle nostre illustrate: cosa può rappresentarci oggi? L’eccezionale, l’insolito, lo straordinario, o piuttosto tutto il resto? Conviene interrogare l’abituale come suggeriva Perrec? Forse si tratta di fondare infine la nostra propria antropologia: quella che parlerà di noi, che andrà a cercare in noi quello che noi abbiamo per così tanto tempo saccheggiato negli altri. Non più l’esotico, ma l’endotico. Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?(…) Come parlare di queste “cose comuni”, come braccarle piuttosto, come stanarle, staccare la crosta nella quale restano invischiate, come dargli un senso, una lingua: che esse parlino infine di ciò che è, di ciò che noi siamo. (George Perrec, Interrogate l’abituale)
Esemplari in questo senso mi sembrano le immagini proposte da Stefano W. Pasquini: visioni chiuse, oggetti che diventano protagonisti inconsapevoli messi a fuoco e centrati dall’obbiettivo che non considera il contesto. Sono semplicemente se stessi ed allo stesso tempo hanno un rimando possibile ad infinite storie e condizioni. O le schegge di Teresa E. Nanni che, novello flaneur, percorre la città fermando lo sguardo quasi indolente su frammenti: il cielo solcato dai fili dei tram che lo trasformano in un puzzle monocromo, l’ombra della tettoia che solca diagonalmente in piccole onde secche e nervose il muro. Un paesaggio urbano che non vuole certo nobilitarsi con immagini ad effetto.
Nessun desiderio di grandeur. Seguendo questo filo altri due artisti presenti ci accompagnano in una sorta di “terre di mezzo”: Claudio Alba ferma il territorio in continuo divenire delle nostre periferie, non ancora città e non più campagna,un territorio rivoltato da cantieri, occupato da rottami, cumuli di scavi, strade spopolate, costruzioni elefantiache e spaventose quanto deserte. L’uomo che fagocita il territorio con un’occupazione indiscriminata, brutale, prevaricatrice. Stefano Scheda ha fotografato una serie di casolari inserendo specchi nelle aperture vuote e che quindi riflettono, in un gioco alla Velasquez, ciò che si trova alle spalle dell’osservatore. Come mi sottolinea lo stesso Scheda queste sono dimore abitate solo da immagini, metafore dell’esserci, a cui accostarsi con prudenza perché si vede se stessi come transeunti, che passano e scompaiono. Qui ne presentiamo una piccola serie: casette in sequenza che tanto ricordano i giochi infantili di costruzione del un profilo urbano, ma non ne hanno certo l’innocenza. Facciate cieche perché accessibili solo attraverso il riflesso che mostrano, ingannevoli perchè simulano la natura in questo gioco di riflessi , trasformando porte e finestre in occhi specchianti che, nel cortocircuito del doppio sguardo, confondono le visioni, ed infine temibili e nascoste perché si mascherano da malcelato e sopraffatto supporto alla natura stessa.
Paesaggio urbano e suburbano, natura e territorio, impatto dell’agire dell’uomo sull’ambiente. Il fotografo ne ferma una realtà. Luigi Ottani è fotoreporter e con la realtà, la più dura, si incontra ogni giorno e il suo sguardo ci consegna in immagine una condizione che non è mai marginale. In questa occasione i temi proposti sono legati agli effetti visibili dell’azione dell’uomo sul territorio: trame lievi o più nette che nella loro pulizia formale ci catturano immediatamente rivelandosi solo ad uno sguardo più attento per quanto sono realmente: Accampamenti di profughi - campi saharawi; Guerra -Palazzo a Sarajevo; Crisi Economica - Stoccaggio di materiali invenduti. Nessuna spettacolarità, nessun urlo: il tono resta alto per qualità e consapevolezza.
E la realtà della Natura? Eccola finalmente nei paesaggi di Luca Dimartino. Ma non è certo una natura madre amorevole, colma di colore e brulicante di vita: le immagini sono quelle dell’Etna e ci rendono un territorio che ci allontana, ci rifiuta, che ci è decisamente ostile. Assenza di colore, un orizzonte che ci inghiotte e che potremmo facilmente immaginare a 360 gradi o in un gioco di accostamenti infiniti. Le didascalie che accompagnano le immagini nulla ci dicono del luogo, ma piuttosto del sentire personale: e ora; adesso via… Piccoli scarti e asimmetrie o movimenti quasi impercettibili sul sopporto a segno di faticose mutazioni o metamorfosi personali.
E’ natura ancora nelle cartoline di Umberto Zampini, il“Ladro di paesaggi”. Parlandomi del suo progetto Umberto ci tiene a specificare che le sue non sono cartoline dal reale ma da altro luogo, forse quello dell’ironia e della leggerezza perdute…Non posso che confermare, ma aggiungerei altro. Questi due magnifici satiri sessuati, maschile e femminile, che Zampini ci presenta mentre giocano sospesi su un improbabile quanto irreale orizzonte (naturale/innaturale) e che riescono alla fine a racchiudere nel limite di uno specchio la natura stessa, sono a mio parere il simbolo perfetto del desiderio atavico della razza umana: quello del possesso, del controllo, del porsi poco distante dal sentirsi onnipotenti e capaci di tutto. Ma alla fine ne rappresentano, certamente e anche, la profonda fragilità.
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