Appunti di Viaggio. Acquerelli di Stefano Seneca

Appunti di Viaggio. Acquerelli di Stefano Seneca, Ex chiesa di San Pietro in Atrio, Como
Dal 08 Marzo 2014 al 30 Marzo 2014
Como
Luogo: Ex chiesa di San Pietro in Atrio
Indirizzo: via Odescalchi 3/a
Orari: da martedì a venerdì 15-19; sabato e la domenica 10.30-19
Enti promotori:
- Comune di Como - Assessorato alla Cultura
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 031 252472
E-Mail info: cultura@comune.como.it
Sito ufficiale: http://www.comune.como.it
In questa occasione, e sino al 30 marzo, verranno esposti numerosi acquerelli, alcuni dei quali di grandi dimensioni, dedicati a soggetti architettonici e realizzati durante i viaggi compiuti dall’artista. La mostra, introdotta da testi di Angelo Monti e Roberto Borghi, potrà essere visitata dal martedì al venerdì dalle 15 alle 19, e il sabato e la domenica dalle 10.30 alle 19.
Nato a Milano nel 1966, Stefano Seneca ha uno studio di architettura a Como. Quella presso la ex chiesa di San Pietro in Atrio è la sua prima, ampia personale.
«I lavori di Stefano Seneca – scrive Angelo Monti - intendono raccontarci alcuni frammenti che il nostro frettoloso sguardo quotidiano, spesso, percorre senza cogliere. In questo, parafrasando una bella frase di un grande architetto contemporaneo, Peter Zumthor, l’intenzione non sembra tanto quella di provocare delle emozioni, quanto di ammetterle, a partire dalle proprie. Un invito a fissare un’immagine non per determinarla e definirla, ma piuttosto per sollecitare riflessioni che vadano oltre il foglio impresso dall’acqua e dal colore. Anche l’uso della tecnica dell’acquarello mi sembra risponda a questa sollecitazione. Un uso non accademico in Stefano, ma che aspira a fissare un gesto semplice e insieme definitivo.
Il piccolo paradosso è che questa tecnica apparentemente di getto è lontanissima dalla cultura della fretta di questa nostra contemporaneità. Dietro un gesto di sintesi c’è, nei casi migliori, una ponderata fase di osservazione e, quando il pennello intriso d’acqua scorre sul foglio, porta con sé tutta la “lentezza” delle scelte. I taccuini di viaggio, poi, appartengono a una tradizione profondamente legata alla cultura dell’architettura. Sono raccolte di segni, spesso solo abbozzati, che anche grazie alla ritualità – i fogli, i pennelli, la preparazione - fissano suggestioni, storie, empatie con quello spazio e in quel momento».
«Anche nelle rare volte in cui presentano un taglio obliquo – scrive Roberto Borghi – gli acquerelli di Stefano Seneca sono caratterizzati da sguardo decisamente frontale. In queste opere si riscontra una tensione a tradurre nell’immagine la realtà, ad affrontarla senza complessi di sorta, che ha un sapore gradevolmente antico. Per il resto tutto è moderno, e anche molto attuale: un cromatismo semplificato e mentale, ma con la giusta densità espressiva, un’attitudine alla sintesi e alla leggerezza della composizione che allo stesso tempo non è mai vaga, e in alcuni casi anzi è sorprendentemente precisa. Il binomio “leggerezza e precisione” (ovvero quanto di più consono all’arte migliore degli ultimi decenni) passa però in secondo piano rispetto al piglio diretto del punto di vista. Può anche darsi che la frontalità sia una conseguenza dell’immediatezza, della scioltezza richiesta dalla tecnica dell’acquarello. E’ possibile tuttavia che i termini del discorso vadano invertiti: la scelta della tecnica è semmai la conseguenza di un atteggiamento di base, della consapevolezza di potersi rapportare istintivamente, fermamente con il reale. O perlomeno con quella parte di realtà costituita dall’architettura, che fa da soggetto a tutti gli acquarelli, e che viene quasi ricapitolata attraverso una serie di edifici paradigmatici».
Nato a Milano nel 1966, Stefano Seneca ha uno studio di architettura a Como. Quella presso la ex chiesa di San Pietro in Atrio è la sua prima, ampia personale.
«I lavori di Stefano Seneca – scrive Angelo Monti - intendono raccontarci alcuni frammenti che il nostro frettoloso sguardo quotidiano, spesso, percorre senza cogliere. In questo, parafrasando una bella frase di un grande architetto contemporaneo, Peter Zumthor, l’intenzione non sembra tanto quella di provocare delle emozioni, quanto di ammetterle, a partire dalle proprie. Un invito a fissare un’immagine non per determinarla e definirla, ma piuttosto per sollecitare riflessioni che vadano oltre il foglio impresso dall’acqua e dal colore. Anche l’uso della tecnica dell’acquarello mi sembra risponda a questa sollecitazione. Un uso non accademico in Stefano, ma che aspira a fissare un gesto semplice e insieme definitivo.
Il piccolo paradosso è che questa tecnica apparentemente di getto è lontanissima dalla cultura della fretta di questa nostra contemporaneità. Dietro un gesto di sintesi c’è, nei casi migliori, una ponderata fase di osservazione e, quando il pennello intriso d’acqua scorre sul foglio, porta con sé tutta la “lentezza” delle scelte. I taccuini di viaggio, poi, appartengono a una tradizione profondamente legata alla cultura dell’architettura. Sono raccolte di segni, spesso solo abbozzati, che anche grazie alla ritualità – i fogli, i pennelli, la preparazione - fissano suggestioni, storie, empatie con quello spazio e in quel momento».
«Anche nelle rare volte in cui presentano un taglio obliquo – scrive Roberto Borghi – gli acquerelli di Stefano Seneca sono caratterizzati da sguardo decisamente frontale. In queste opere si riscontra una tensione a tradurre nell’immagine la realtà, ad affrontarla senza complessi di sorta, che ha un sapore gradevolmente antico. Per il resto tutto è moderno, e anche molto attuale: un cromatismo semplificato e mentale, ma con la giusta densità espressiva, un’attitudine alla sintesi e alla leggerezza della composizione che allo stesso tempo non è mai vaga, e in alcuni casi anzi è sorprendentemente precisa. Il binomio “leggerezza e precisione” (ovvero quanto di più consono all’arte migliore degli ultimi decenni) passa però in secondo piano rispetto al piglio diretto del punto di vista. Può anche darsi che la frontalità sia una conseguenza dell’immediatezza, della scioltezza richiesta dalla tecnica dell’acquarello. E’ possibile tuttavia che i termini del discorso vadano invertiti: la scelta della tecnica è semmai la conseguenza di un atteggiamento di base, della consapevolezza di potersi rapportare istintivamente, fermamente con il reale. O perlomeno con quella parte di realtà costituita dall’architettura, che fa da soggetto a tutti gli acquarelli, e che viene quasi ricapitolata attraverso una serie di edifici paradigmatici».
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