Eli Riva. Tradizione e modernità
Dal 02 Aprile 2015 al 28 Maggio 2015
Como
Luogo: Villa Olmo
Indirizzo: via Cantoni 1
Orari: martedi-sabato 10-18; domenica 14-20
Enti promotori:
- Comune di Como
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 031 571979
E-Mail info: associazione.eli.riva@virgilio.it
Sito ufficiale: http://www.eliriva.it/
“Maestro della scultura”, ELI RIVA (Como, 1921-2007) è considerato l’ultimo erede dei “Magistri Cumacini” per quel suo scalpellare “a taglio diretto” nel marmo come i marmorini antichi, come gli scalpellini delle valli lombarde, e senza modelli preparatori.
La città di Como per aprire EXPO2015 ha deciso di puntare sulla valorizzazione di questo artista che costituisce uno dei patrimoni della propria storia culturale. All’intero percorso della ricerca scultorea di Eli Riva, dalla figurazione all’astrazione, viene dedicata una grande mostra antologica promossa dal Comune di Como e realizzata, con la collaborazione del critico Luciano Caramel, nella storica cornice di Villa Olmo.
L’esposizione del Maestro comasco rappresenta la volontà di porgere un tributo ad un grande artista, un cesellatore della materia e della vita, che ha saputo raccogliere antiche eredità, quali quelle dei Maestri Cumacini e trasferirle, con una visione del tutto originale e personale, nel suo Lavoro inteso come energia incanalata verso un fine determinato. Quel fine che lo ha portato a prendere posizioni decise nel fare arte e coniugare il quotidiano con l’assoluto e che ha caratterizzato il suo impegno civile sia all’interno della Amministrazione nei contributi dati nella Commissione Edilizia, sia all’esterno nei principali dibattiti legati alla riqualificazione del contesto urbano. La scelta della sede di Villa Olmo non è casuale; fa riflettere ancora una volta sul tema della città, sviluppato in tutte le sue molteplici declinazioni in questi ultimi tre anni di grandi eventi, inaugurati con Sant’Elia, ed ampiamente valorizzato dal Maestro Riva. “io mi sento comasco”… e Como attraverso questa importante esposizione non lo dimentica.
Poche frasi bastano ad Eli Riva per definirsi: "Quanto al lavoro personale, la cosiddetta "ricerca", mi pregio di avere portato, in un lungo giro di anni, la scultura all’astrazione, al di là della visione naturalistica. E di averlo fatto in modo personale, anche se coincidente con la tensione di tutta l’arte contemporanea europea verso l’interiorizzazione delle motivazioni espressive. Non si diventa astratti dalla sera alla mattina. Io l’ho fatto gradualmente o per strappi, come nelle ‘Piastre’ del 1956; l’ho fatto percorrendo tutto l’iter di scoperta e di necessità del fenomeno."
“Avevo fin da giovane dei pensieri fissi: liberare la scultura dal suo limite, dalla monumentalità, dal gigantismo; defisicizzare la scultura; portare il volume in altezza; liberare la scultura dalla base. Ho realizzato le ‘Due Teste’ negli anni ’50 a volume pieno, e sono approdato negli ultimi anni al vuoto con le ‘Case degli Angeli’, aeree e spaziali”.
Quanto ai materiali: “Ci vuole il sentimento della materia. Ho utilizzato di tutto, dal porfido egizio delle “Due Teste”, ai marmi di varia durezza e colore, sfrontati a taglio diretto, cioè non inviando a Carrara il modellino come alcuni colleghi artisti usano fare. Poi sono passato al legno; e ora al le cere, adeguando ai materiali la mia forza fisica nel corso degli anni.”
E, infine, annota: “Io mi sento comasco, irresistibilmente, con le pietre di casa, con il “sasso di Moltrasio”, scabro e duro. Il carattere comacino è tutto qui, linearità e semplicità, ottenuta vincendo la durezza, gli ostacoli della materia. Linearità e semplicità vuol dire essere concreti. Qui le maestranze erano esse stesse architetti. Questi sono i valori semantici della nostra città, le torri, le porte, le mura in sasso di Moltrasio".
Sul suo valore Luciano Caramel scrive che Eli Riva possiede “la capacità di comporre il rispetto della qualità dei materiali con le esigenze dell’invenzione, la struttura con l’articolazione libera delle masse, il vuoto con il pieno, l’intrusione nell’ambiente con la difesa dell’integrità del nucleo plastico entro la sfida che è della scultura moderna. (…) Ed è in Riva scommessa vincente”. E conclude che è “Un artista che onora la scultura contemporanea per la serietà dell’impegno e la felicità dei risultati” .
ELI RIVA, scultore “a taglio diretto”, erede dei Magistri Comacini, nasce a Rovenna di Cernobbio (Como) nel 1921 e muore nella sua città il 12 febbraio 2007. Dotato di una manualità eccezionale, valore oggi in disuso, Eli Riva affrontava tutti i materiali inventandosi anche le tecniche per lavorarli: dal metallo, nello sbalzo e cesello appresi nelle botteghe artigiane, al marmo (perfino al porfido) quando fu chiara la sua vocazione alla scultura, al legno nelle grandi “Fionde”, alla cera delle ultime opere (il monumento a Papa Innocenzo XI e le “Case degli Angeli”). Per cera deve intendersi la “cera persa”, cioè da perdersi, mandata in fonderia saltando il passaggio del calco in gesso.
Alla manualità aggiungeva la dimensione culturale, una completa consapevolezza del fenomeno arte e del suo divenire, dalla tradizione alla contemporaneità. Nella sua lunga carriera portò infatti la scultura, in una maniera paradigmatica e personalissima, dalla pienezza delle opere del “Novecento storico”, da cui era partito nei primi anni ’50, a forme piú leggere e spaziali: dalla forma chiusa all’ “opera aperta” (i “Situs”, o “Case degli Angeli”, degli ultimi anni ’90), e dal “figurativo” all’“astratto”. Diceva: “Non si diventa astratti dalla sera alla mattina”. Visse del suo lavoro - cosa non facile per un artista - grazie alle numerose committenze, per opere pubbliche, interventi condominiali, monumenti cimiteriali, arte sacra e liturgica, collaborazioni con architetti.
Negli anni ’50 era la promessa della scultura italiana, per i numerosi premi ottenuti: nel 1938 aveva vinto i “Littoriali del Lavoro” a Torino e nel 1939 era stato segnalato ai “Ludi Juveniles” a Firenze. Seguirono: Primo Premio Y.M.C.A. 1950, presidente della giuria Mario Radice; Primo Premio ex aequo alla Sindacale Regionale allestita all’Arengario a Milano; presenza alla Quadriennale romana del 1951; segnalazione in una collettiva per giovani alla Galleria San Fedele a Milano, presidente della giuria Carlo Carrà; Premio alla Selettiva del Mobile di Cantù nel 1956; la “personale” alla Galleria Bergamini di via Senato a Milano nel 1953; un Primo Premio a Diano Marina, Imperia.
Così si esprimeva il critico Agnoldomenico Pica nel 1953 recensendo la mostra alla Galleria Bergamini di Via Senato a Milano: “Eli Riva ama la pietra, ha confidenza con il marmo, non si spaventa per la durezza del porfido o dei graniti. Sono buone qualità, anzi fondamentali e oggi rare, per uno scultore. In tempi di amori per eteree figurazioni sospese, di deliquescenze e premi internazionali per "statue" di fil di ferro e per vanissimi congegni di latta verniciata, questo giovane scultore conferma, nella mostra della Galleria Bergamini, la sua fede nel volume, non dubita della vocazione plastica della scultura.
La più palese ambizione di Riva è di attuare una sorta di continuità formale, una sorta di fluire senza fine dei volumi, in una successione di piani morbidamente raccordati, a tal punto che possono perfino ricordare, in talune sculture, il colare della cera. Sono ambizioni non estranee, ad esempio, alla scultura di Calò e di Cappello. Fra le opere migliori segnaliamo alcune ceramiche smaltate e quelle Due Teste "lunari" riunite e nettamente scolpite nel porfido.”
In seguito i riconoscimenti spontanei e le gratificazioni iniziali vennero meno per motivi imprecisati: gelosie locali, disattenzione dei critici, un suo cosiddetto “cattivo carattere” che era intransigente moralità e non-propensione al compromesso, anche politico. Eli Riva era vivo solo lavorando, e ... non ebbe tempo di badare al successo e curare la propria immagine. Rivendicava la sua filiazione da Medardo Rosso, così come l’eredità dai Maestri Comacini, per quel suo lavorare “a taglio diretto” con scalpello e mazzuolo, vedendo entro il marmo senza un modello preparatorio.
Quanto al cesello, è da notare la specificità di Eli Riva: fu il primo a portarlo a grandi dimensioni, dapprima nella “Via Crucis” per la chiesa di Madrona (Como, 1953), una lastra di rame di 7 metri quadri; poi nei portali di due Chiese a Diano Marina (Imperia, 1956). In uno di questi Riva, come già nella “Via Crucis” di Madrona aveva eliminato le tradizionali ‘stazioni’, superò la convenzionale divisione in ‘quadrotti’, realizzando sulla superficie una stesura unitaria del discorso sacro. Il Portale in bronzo della Chiesa Arcipretale di Chiasso (Svizzera), del 1967, sintetizza e porta a compimento i frutti di queste scoperte.
Scultore e virtualmente architetto, si occupò di urbanistica (progetti per piazze e aree dismesse, salvaguardia del territorio); del vivere cittadino, con numerosi interventi e interviste sui quotidiani locali (fu nella commissione edilizia del Comune di Como negli anni’50). Collaborò con architetti per soluzioni presbiteriali delle nuove chiese post-conciliari, provvedendo anche all’arredo sacro ( Sant’Agata in Como, dove realizzò anche le vetrate, Blevio e Lipomo ).
Realizzò una copiosissima opera grafica, di cui nel gennaio 2009 è stata fatta una prima mostra postuma, al Salone Civico di Carimate, con relativo catalogo. Lasciò numerosi scritti e teorie sull’arte che non si è avuto ancora tempo di analizzare. E’ in corso invece la catalogazione completa della sua opera.
(Enza Coratolo)
La città di Como per aprire EXPO2015 ha deciso di puntare sulla valorizzazione di questo artista che costituisce uno dei patrimoni della propria storia culturale. All’intero percorso della ricerca scultorea di Eli Riva, dalla figurazione all’astrazione, viene dedicata una grande mostra antologica promossa dal Comune di Como e realizzata, con la collaborazione del critico Luciano Caramel, nella storica cornice di Villa Olmo.
L’esposizione del Maestro comasco rappresenta la volontà di porgere un tributo ad un grande artista, un cesellatore della materia e della vita, che ha saputo raccogliere antiche eredità, quali quelle dei Maestri Cumacini e trasferirle, con una visione del tutto originale e personale, nel suo Lavoro inteso come energia incanalata verso un fine determinato. Quel fine che lo ha portato a prendere posizioni decise nel fare arte e coniugare il quotidiano con l’assoluto e che ha caratterizzato il suo impegno civile sia all’interno della Amministrazione nei contributi dati nella Commissione Edilizia, sia all’esterno nei principali dibattiti legati alla riqualificazione del contesto urbano. La scelta della sede di Villa Olmo non è casuale; fa riflettere ancora una volta sul tema della città, sviluppato in tutte le sue molteplici declinazioni in questi ultimi tre anni di grandi eventi, inaugurati con Sant’Elia, ed ampiamente valorizzato dal Maestro Riva. “io mi sento comasco”… e Como attraverso questa importante esposizione non lo dimentica.
Poche frasi bastano ad Eli Riva per definirsi: "Quanto al lavoro personale, la cosiddetta "ricerca", mi pregio di avere portato, in un lungo giro di anni, la scultura all’astrazione, al di là della visione naturalistica. E di averlo fatto in modo personale, anche se coincidente con la tensione di tutta l’arte contemporanea europea verso l’interiorizzazione delle motivazioni espressive. Non si diventa astratti dalla sera alla mattina. Io l’ho fatto gradualmente o per strappi, come nelle ‘Piastre’ del 1956; l’ho fatto percorrendo tutto l’iter di scoperta e di necessità del fenomeno."
“Avevo fin da giovane dei pensieri fissi: liberare la scultura dal suo limite, dalla monumentalità, dal gigantismo; defisicizzare la scultura; portare il volume in altezza; liberare la scultura dalla base. Ho realizzato le ‘Due Teste’ negli anni ’50 a volume pieno, e sono approdato negli ultimi anni al vuoto con le ‘Case degli Angeli’, aeree e spaziali”.
Quanto ai materiali: “Ci vuole il sentimento della materia. Ho utilizzato di tutto, dal porfido egizio delle “Due Teste”, ai marmi di varia durezza e colore, sfrontati a taglio diretto, cioè non inviando a Carrara il modellino come alcuni colleghi artisti usano fare. Poi sono passato al legno; e ora al le cere, adeguando ai materiali la mia forza fisica nel corso degli anni.”
E, infine, annota: “Io mi sento comasco, irresistibilmente, con le pietre di casa, con il “sasso di Moltrasio”, scabro e duro. Il carattere comacino è tutto qui, linearità e semplicità, ottenuta vincendo la durezza, gli ostacoli della materia. Linearità e semplicità vuol dire essere concreti. Qui le maestranze erano esse stesse architetti. Questi sono i valori semantici della nostra città, le torri, le porte, le mura in sasso di Moltrasio".
Sul suo valore Luciano Caramel scrive che Eli Riva possiede “la capacità di comporre il rispetto della qualità dei materiali con le esigenze dell’invenzione, la struttura con l’articolazione libera delle masse, il vuoto con il pieno, l’intrusione nell’ambiente con la difesa dell’integrità del nucleo plastico entro la sfida che è della scultura moderna. (…) Ed è in Riva scommessa vincente”. E conclude che è “Un artista che onora la scultura contemporanea per la serietà dell’impegno e la felicità dei risultati” .
ELI RIVA, scultore “a taglio diretto”, erede dei Magistri Comacini, nasce a Rovenna di Cernobbio (Como) nel 1921 e muore nella sua città il 12 febbraio 2007. Dotato di una manualità eccezionale, valore oggi in disuso, Eli Riva affrontava tutti i materiali inventandosi anche le tecniche per lavorarli: dal metallo, nello sbalzo e cesello appresi nelle botteghe artigiane, al marmo (perfino al porfido) quando fu chiara la sua vocazione alla scultura, al legno nelle grandi “Fionde”, alla cera delle ultime opere (il monumento a Papa Innocenzo XI e le “Case degli Angeli”). Per cera deve intendersi la “cera persa”, cioè da perdersi, mandata in fonderia saltando il passaggio del calco in gesso.
Alla manualità aggiungeva la dimensione culturale, una completa consapevolezza del fenomeno arte e del suo divenire, dalla tradizione alla contemporaneità. Nella sua lunga carriera portò infatti la scultura, in una maniera paradigmatica e personalissima, dalla pienezza delle opere del “Novecento storico”, da cui era partito nei primi anni ’50, a forme piú leggere e spaziali: dalla forma chiusa all’ “opera aperta” (i “Situs”, o “Case degli Angeli”, degli ultimi anni ’90), e dal “figurativo” all’“astratto”. Diceva: “Non si diventa astratti dalla sera alla mattina”. Visse del suo lavoro - cosa non facile per un artista - grazie alle numerose committenze, per opere pubbliche, interventi condominiali, monumenti cimiteriali, arte sacra e liturgica, collaborazioni con architetti.
Negli anni ’50 era la promessa della scultura italiana, per i numerosi premi ottenuti: nel 1938 aveva vinto i “Littoriali del Lavoro” a Torino e nel 1939 era stato segnalato ai “Ludi Juveniles” a Firenze. Seguirono: Primo Premio Y.M.C.A. 1950, presidente della giuria Mario Radice; Primo Premio ex aequo alla Sindacale Regionale allestita all’Arengario a Milano; presenza alla Quadriennale romana del 1951; segnalazione in una collettiva per giovani alla Galleria San Fedele a Milano, presidente della giuria Carlo Carrà; Premio alla Selettiva del Mobile di Cantù nel 1956; la “personale” alla Galleria Bergamini di via Senato a Milano nel 1953; un Primo Premio a Diano Marina, Imperia.
Così si esprimeva il critico Agnoldomenico Pica nel 1953 recensendo la mostra alla Galleria Bergamini di Via Senato a Milano: “Eli Riva ama la pietra, ha confidenza con il marmo, non si spaventa per la durezza del porfido o dei graniti. Sono buone qualità, anzi fondamentali e oggi rare, per uno scultore. In tempi di amori per eteree figurazioni sospese, di deliquescenze e premi internazionali per "statue" di fil di ferro e per vanissimi congegni di latta verniciata, questo giovane scultore conferma, nella mostra della Galleria Bergamini, la sua fede nel volume, non dubita della vocazione plastica della scultura.
La più palese ambizione di Riva è di attuare una sorta di continuità formale, una sorta di fluire senza fine dei volumi, in una successione di piani morbidamente raccordati, a tal punto che possono perfino ricordare, in talune sculture, il colare della cera. Sono ambizioni non estranee, ad esempio, alla scultura di Calò e di Cappello. Fra le opere migliori segnaliamo alcune ceramiche smaltate e quelle Due Teste "lunari" riunite e nettamente scolpite nel porfido.”
In seguito i riconoscimenti spontanei e le gratificazioni iniziali vennero meno per motivi imprecisati: gelosie locali, disattenzione dei critici, un suo cosiddetto “cattivo carattere” che era intransigente moralità e non-propensione al compromesso, anche politico. Eli Riva era vivo solo lavorando, e ... non ebbe tempo di badare al successo e curare la propria immagine. Rivendicava la sua filiazione da Medardo Rosso, così come l’eredità dai Maestri Comacini, per quel suo lavorare “a taglio diretto” con scalpello e mazzuolo, vedendo entro il marmo senza un modello preparatorio.
Quanto al cesello, è da notare la specificità di Eli Riva: fu il primo a portarlo a grandi dimensioni, dapprima nella “Via Crucis” per la chiesa di Madrona (Como, 1953), una lastra di rame di 7 metri quadri; poi nei portali di due Chiese a Diano Marina (Imperia, 1956). In uno di questi Riva, come già nella “Via Crucis” di Madrona aveva eliminato le tradizionali ‘stazioni’, superò la convenzionale divisione in ‘quadrotti’, realizzando sulla superficie una stesura unitaria del discorso sacro. Il Portale in bronzo della Chiesa Arcipretale di Chiasso (Svizzera), del 1967, sintetizza e porta a compimento i frutti di queste scoperte.
Scultore e virtualmente architetto, si occupò di urbanistica (progetti per piazze e aree dismesse, salvaguardia del territorio); del vivere cittadino, con numerosi interventi e interviste sui quotidiani locali (fu nella commissione edilizia del Comune di Como negli anni’50). Collaborò con architetti per soluzioni presbiteriali delle nuove chiese post-conciliari, provvedendo anche all’arredo sacro ( Sant’Agata in Como, dove realizzò anche le vetrate, Blevio e Lipomo ).
Realizzò una copiosissima opera grafica, di cui nel gennaio 2009 è stata fatta una prima mostra postuma, al Salone Civico di Carimate, con relativo catalogo. Lasciò numerosi scritti e teorie sull’arte che non si è avuto ancora tempo di analizzare. E’ in corso invece la catalogazione completa della sua opera.
(Enza Coratolo)
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