System
Dal 04 Gennaio 2013 al 13 Gennaio 2013
Bellano | Lecco
Luogo: Ex Chiesa San Nicolao
Indirizzo: via San Nicolao
Orari: lun, mart, merc, giov e ven 15-19; sab e dom 10.30-13/ 15-19
Curatori: Martina Corbetta
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 339 2005291/ 0341 821124
E-Mail info: martina.corbetta@gmail.com
“Ogni parte di un insieme deve essere proporzionato all'insieme” diceva Leonardo Da Vinci nel bel mezzo del Rinascimento italiano; e di insieme di elementi interconnessi tra loro è composta questa mostra. System è una rassegna dedicata a cinque artisti: Jacopo Ghislanzoni, Marco Grassi, Andrea Greco, Marco Minotti e Fabrizio Musa, a cura di Martina Corbetta. La mostra propone un percorso all’interno di un sistema che, affacciandosi sulla contemporaneità, ne estrapola, per mezzo di raffinate tecniche pittoriche, l’essenza. Natura, figura umana e ambiente, interagiscono e si confrontano fino a tracciare un interlocutorio filo conduttore: la ricerca di equilibrio e l’armonia, attraverso il sensibile sguardo dell’artista verso la società. Consideriamo sistema una moltitudine di elementi combinati tra di loro, o con l’ambiente esterno, che, seguendo specifiche regole, si relazionano e plasmano l’esistenza. Con uno sguardo dall’alto possiamo raggruppare le opere degli artisti in insiemi, i quali, intersecandosi, generano a loro volta subsets aperti. Jacopo Ghislanzoni proietta le sue immagini sulla tela con interesse verso l’ambiente, ed è proprio la contestualizzazione dei suoi soggetti l’oggetto dell’opera. Tele corrose dall’acido esemplificano la contaminazione di una società inquinata dall’ambiente stesso. Il deterioramento della tela fa da sfondo a paesaggi, narrati da campiture piene, e delineati da obbligatorie linee nere, quasi Pop. Il contrasto tra la scenografia bruciata e i primi piani delle vedute ben definite, colorate vivacemente, lascia trasparire un pensiero di fiducia.
Le sperimentazioni continue dell’artista, tutto lasciano intendere tranne che un senso di abbandono e sgomento. Luoghi, come miraggi, conducono il nostro sguardo oltre il reale e suggeriscono positive prospettive. Marco Grassi mette in primo piano la donna: unico soggetto dell’opera. Ammiriamo la bellezza femminile attraverso corpi, mai rappresentati per intero, e volti ammiccanti. Le figure di donne si frammentano, sulla superficie pittorica, in una dimensione eccessivamente passionale. Sensualità e sessualità, carnalità e seduzione, si fondono e sagomano immagini amabili. Spatolate decise e colori fluo dipingono labbra piene e seni scoperti, capelli sciolti su schiene nude e occhi provocanti. Le linee di Grassi sono l’espressione di canoni estetici contemporanei e di schemi di bellezza pubblicitari, rafforzati da inquadrature tipiche della fotografica: ricerca della posa e del punto di vista, preferibilmente obliquo, e dello sguardo, meglio se diretto. Tutto ciò a ricordare che il sistema ci impone modelli di bellezza che sono il risultato dell’armonia delle forme e, spesso, ci costringono all’eccessiva ricerca di tale equilibrio. Andrea Greco esprime, attraverso fiori che piangono lacrime, disistima verso la società corrente. Riconosciamo nature morte, davanti ai nostri occhi, solo attraverso una lettura profonda dell’opera, solo osservando con attenzione il contorno dal tratto marcato delle pennellate di bitume. Fiori, privi di contestualizzazione, lasciano cadere gocce di colore, lacrime umane, su uno sfondo piatto, dai colori freddi e malinconici. Greco sintetizza la sua riflessione con una natura morta schiacciata e seccata direttamente sulla tela, come ad appiattire ogni speranza. Sono solo verticali linee, di caldo color arancio, a lasciarci sperare in un grido di positività. La verticalità inaspettata di questi segni porta a credere che non tutto è negativo e ostile. Marco Minotti volge parte del suo interesse alla natura, ma è la figura umana a muoversi nello spazio, vuoto e decontestualizzato, del quadro.
Uomini e donne, con colore o assenza di esso, si alternano e si susseguono, si scambiano e si confrontano con i diversi stati dell’animo. Istantanee fotografiche catturano sguardi, rubano sorrisi e smorfie. Guardiamo donne ritratte in posa, con lo sguardo in camera, o donne ritratte assorte e assenti. Uomini che ridono esageratamente o uomini che urlano. Taglio di tre quarti o frontale, non ha importanza, è il volto il soggetto del quadro. Il gioco di toni, oltre che di espressione, è ovvio: dal colore più vivo, al rimando del fascino del rullino in bianco e nero (con soggetti però assolutamente odierni). Thanatos è la fine di questo divertente percorso. Un teschio per ricordare che sotto la pelle siamo tutti uguali. Fabrizio Musa elimina tutti gli elementi: animali, natura e figura lasciando il posto ad aree architettoniche, a superfici all’interno delle quali convivono, in una realtà dinamica, tutti gli elementi del sistema. Le nuove tecnologie, sempre al passo con il pensiero contemporaneo, fanno da spalla a Musa, il quale trasforma le sue fotografie in file di testo per reinterpretarle pittoricamente.
Il bianco e il nero dominano la superficie, ma è la luce del colore, anche in questo caso arancione, a marcare le differenze tra una serigrafia e l’altra. Uno scorcio della città di Bellano chiude il percorso di questa mostra, ponendo una riflessione su piccole realtà, forse, non ancora contagiate dal sistema evoluto che ci impone troppi modi di essere. Gli artisti convivono in equilibrio nel percorso iconografico di System, considerando e ragionando sulla società odierna e su ciascun elemento che la compone. Sorge spontaneo chiedersi: come dovrebbero essere le sostanze del sistema per renderlo euritmico ed equilibrato e, conseguentemente, ideale? Gli elementi che possiamo osservare all’interno del percorso sono elementi non imperfetti, o troppo perfetti, di cui l’artista si serve per dar vita al proprio pensiero.
Le sperimentazioni continue dell’artista, tutto lasciano intendere tranne che un senso di abbandono e sgomento. Luoghi, come miraggi, conducono il nostro sguardo oltre il reale e suggeriscono positive prospettive. Marco Grassi mette in primo piano la donna: unico soggetto dell’opera. Ammiriamo la bellezza femminile attraverso corpi, mai rappresentati per intero, e volti ammiccanti. Le figure di donne si frammentano, sulla superficie pittorica, in una dimensione eccessivamente passionale. Sensualità e sessualità, carnalità e seduzione, si fondono e sagomano immagini amabili. Spatolate decise e colori fluo dipingono labbra piene e seni scoperti, capelli sciolti su schiene nude e occhi provocanti. Le linee di Grassi sono l’espressione di canoni estetici contemporanei e di schemi di bellezza pubblicitari, rafforzati da inquadrature tipiche della fotografica: ricerca della posa e del punto di vista, preferibilmente obliquo, e dello sguardo, meglio se diretto. Tutto ciò a ricordare che il sistema ci impone modelli di bellezza che sono il risultato dell’armonia delle forme e, spesso, ci costringono all’eccessiva ricerca di tale equilibrio. Andrea Greco esprime, attraverso fiori che piangono lacrime, disistima verso la società corrente. Riconosciamo nature morte, davanti ai nostri occhi, solo attraverso una lettura profonda dell’opera, solo osservando con attenzione il contorno dal tratto marcato delle pennellate di bitume. Fiori, privi di contestualizzazione, lasciano cadere gocce di colore, lacrime umane, su uno sfondo piatto, dai colori freddi e malinconici. Greco sintetizza la sua riflessione con una natura morta schiacciata e seccata direttamente sulla tela, come ad appiattire ogni speranza. Sono solo verticali linee, di caldo color arancio, a lasciarci sperare in un grido di positività. La verticalità inaspettata di questi segni porta a credere che non tutto è negativo e ostile. Marco Minotti volge parte del suo interesse alla natura, ma è la figura umana a muoversi nello spazio, vuoto e decontestualizzato, del quadro.
Uomini e donne, con colore o assenza di esso, si alternano e si susseguono, si scambiano e si confrontano con i diversi stati dell’animo. Istantanee fotografiche catturano sguardi, rubano sorrisi e smorfie. Guardiamo donne ritratte in posa, con lo sguardo in camera, o donne ritratte assorte e assenti. Uomini che ridono esageratamente o uomini che urlano. Taglio di tre quarti o frontale, non ha importanza, è il volto il soggetto del quadro. Il gioco di toni, oltre che di espressione, è ovvio: dal colore più vivo, al rimando del fascino del rullino in bianco e nero (con soggetti però assolutamente odierni). Thanatos è la fine di questo divertente percorso. Un teschio per ricordare che sotto la pelle siamo tutti uguali. Fabrizio Musa elimina tutti gli elementi: animali, natura e figura lasciando il posto ad aree architettoniche, a superfici all’interno delle quali convivono, in una realtà dinamica, tutti gli elementi del sistema. Le nuove tecnologie, sempre al passo con il pensiero contemporaneo, fanno da spalla a Musa, il quale trasforma le sue fotografie in file di testo per reinterpretarle pittoricamente.
Il bianco e il nero dominano la superficie, ma è la luce del colore, anche in questo caso arancione, a marcare le differenze tra una serigrafia e l’altra. Uno scorcio della città di Bellano chiude il percorso di questa mostra, ponendo una riflessione su piccole realtà, forse, non ancora contagiate dal sistema evoluto che ci impone troppi modi di essere. Gli artisti convivono in equilibrio nel percorso iconografico di System, considerando e ragionando sulla società odierna e su ciascun elemento che la compone. Sorge spontaneo chiedersi: come dovrebbero essere le sostanze del sistema per renderlo euritmico ed equilibrato e, conseguentemente, ideale? Gli elementi che possiamo osservare all’interno del percorso sono elementi non imperfetti, o troppo perfetti, di cui l’artista si serve per dar vita al proprio pensiero.
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