Africa Tunes
Dal 20 Gennaio 2024 al 17 Marzo 2024
Pietrasanta | Lucca
Luogo: Chiesa e Chiostro di Sant’Agostino
Indirizzo: Via Sant’Agostino 1
Orari: dal martedì al venerdì dalle 16 alle 19, sabato e domenica 10-13 / 16-19. Chiuso il lunedì
Curatori: Alessandro Romanini
Enti promotori:
- Comune di Pietrasanta in collaborazione con la galleria The Project Space e Lis10 Gallery
Telefono per informazioni: +39 0584795500
Sito ufficiale: http://www.museodeibozzetti.it
“Africa Tunes” è il titolo della mostra collettiva che si apre sabato 20 gennaio – opening alle ore 18 – a Pietrasanta (Lu) nella Chiesa e Chiostro di Sant’Agostino curata da Alessandro Romanini prodotta dal Comune di Pietrasanta in collaborazione con la galleria The Project Space e Lis10 Gallery.
Un gruppo di 17 artisti africani, appartenenti alle ultime due generazioni creative, ci dimostrano con le loro opere - pittura, scultura e fotografia -, come l’Africa non sia più un continente sconnesso dalla mappa geoculturale e socio-politica internazionale, ma che addirittura si sia inserita da protagonista ai vertici del dibattito creativo mondiale dalla musica al cinema, dal fashion design alla letteratura, per arrivare alle arti visive dove ormai i creativi delle varie discipline giocano un ruolo di protagonisti in biennali, fiere d‘arte, aste, musei e fondazioni. Oltre a questo, ci sono i conflitti che stanno affliggendo i nostri tempi, l’uguaglianza dei diritti, di razza, genere, religione e cultura. Tematiche rese ancora più cogenti in relazione a un duplice anniversario che rende ancora più pertinente la riflessione attivata dalla mostra. Nel 1994 infatti, si consumava uno dei più drammatici genocidi a cui l’umanità abbia mai assistito, quello del Ruanda. A poche settimane di distanza si tennero in Sud Africa le prime elezioni con suffragio universale, senza discriminazioni razziali, che elessero Presidente Nelson Mandela. Gli artisti più giovani che hanno vissuto da vicino questi eventi sono quindi messi a confronto con coloro che si sono formati culturalmente nell’ambito dell’indipendenza coloniale conquistata negli anni 60’ che hanno portato avanti una rivendicazione identitaria dopo la colonizzazione.
Il percorso espositivo inizia sul sagrato della Chiesa di Sant’Agostino con una scultura dell’ivoriano Brice Esso, un’artista che fonde temi africani con la tradizione tecnica della plastica rinascimentale italiana, per poi entrare all’interno della chiesa con le opere di un altro ivoriano: Aboudia. Si tratta di lavoridallo stileinconfondibile mutuati dalle forme espressive con cui i bambini di strada a Abidjan – quasi sempre protagonisti dei suoi dipinti - “decoravano” i muri della città, animandoli con status symbols, fuoriserie, televisioni, autoritratti e “statements”, unico modo per testimoniare la loro esistenza.Nelle altre saledella sede espositivas’incontra l’opera di Esther Mahlangu in rappresentanza del Sud Africa, portabandiera del secolare stile pittorico Ndebele, che testimoniano l’impegno politico e sociale: dalla difesa dell’infanzia, alla sensibilità ambientale tra le altre, passando per le rivendicazioni dei diritti di genere. L’attitudine magica, e rituale per l’arte, oltre alla volontà di mantenere viva la tradizione artistica identitaria delle radici, rielaborata in una formula armonica che la lega all’iconografia internazionale contemporanea, sono i temi nei lavori di Mederic Turay basato a Marrakech, Ajarb Bernard Ategwa (Camerun), Tope Fatunmbi, Ebenezer Akinola e Oluwole Omofemi (Nigeria), Tafadzwa Tega (Zimbawe), Nù Barreto (Guinea Bissau) e del giovanissimo ivoriano Nanglè. Troviamo poi artisti di fama internazionale che hanno partecipato all’ultima Biennale di Venezia come gli ivoriani, Armand Boua,Yeanzi e Laetitia Ky, che ha saputo dar vita – quest’ultima – a un linguaggio che fonde body art e fotografia che si abbina perfettamente a un attivismo per i diritti femminili incessante. Su una linea simile si muove anche la giovane artista nigeriana Michel Okpare che propone pattern cromatici etnici, che rappresentano alfabeti espressivi di un linguaggio non verbale. E la senegalese Seni Awa Camara già presente all’epocale mostra Magiciens de la Terre nel 1989 a Parigi con le sue sculture in terracotta dalle valenze rituali e identitarie mentre il mozambichiano Gonçalo Mabunda, testimonia con le sue sculture composte da residuati bellici, il potere taumaturgico dell’arte, la sua capacità di trasformare le cicatrici in poesia e monito.
Si ringraziano inoltre: La Fondazione TG RESIDENCY, l’Associazione culturale L’Umanità, l’associazione umanitaria Marta Onlus e le aziende Camporignano e High Tech Aluminium.
Un gruppo di 17 artisti africani, appartenenti alle ultime due generazioni creative, ci dimostrano con le loro opere - pittura, scultura e fotografia -, come l’Africa non sia più un continente sconnesso dalla mappa geoculturale e socio-politica internazionale, ma che addirittura si sia inserita da protagonista ai vertici del dibattito creativo mondiale dalla musica al cinema, dal fashion design alla letteratura, per arrivare alle arti visive dove ormai i creativi delle varie discipline giocano un ruolo di protagonisti in biennali, fiere d‘arte, aste, musei e fondazioni. Oltre a questo, ci sono i conflitti che stanno affliggendo i nostri tempi, l’uguaglianza dei diritti, di razza, genere, religione e cultura. Tematiche rese ancora più cogenti in relazione a un duplice anniversario che rende ancora più pertinente la riflessione attivata dalla mostra. Nel 1994 infatti, si consumava uno dei più drammatici genocidi a cui l’umanità abbia mai assistito, quello del Ruanda. A poche settimane di distanza si tennero in Sud Africa le prime elezioni con suffragio universale, senza discriminazioni razziali, che elessero Presidente Nelson Mandela. Gli artisti più giovani che hanno vissuto da vicino questi eventi sono quindi messi a confronto con coloro che si sono formati culturalmente nell’ambito dell’indipendenza coloniale conquistata negli anni 60’ che hanno portato avanti una rivendicazione identitaria dopo la colonizzazione.
Il percorso espositivo inizia sul sagrato della Chiesa di Sant’Agostino con una scultura dell’ivoriano Brice Esso, un’artista che fonde temi africani con la tradizione tecnica della plastica rinascimentale italiana, per poi entrare all’interno della chiesa con le opere di un altro ivoriano: Aboudia. Si tratta di lavoridallo stileinconfondibile mutuati dalle forme espressive con cui i bambini di strada a Abidjan – quasi sempre protagonisti dei suoi dipinti - “decoravano” i muri della città, animandoli con status symbols, fuoriserie, televisioni, autoritratti e “statements”, unico modo per testimoniare la loro esistenza.Nelle altre saledella sede espositivas’incontra l’opera di Esther Mahlangu in rappresentanza del Sud Africa, portabandiera del secolare stile pittorico Ndebele, che testimoniano l’impegno politico e sociale: dalla difesa dell’infanzia, alla sensibilità ambientale tra le altre, passando per le rivendicazioni dei diritti di genere. L’attitudine magica, e rituale per l’arte, oltre alla volontà di mantenere viva la tradizione artistica identitaria delle radici, rielaborata in una formula armonica che la lega all’iconografia internazionale contemporanea, sono i temi nei lavori di Mederic Turay basato a Marrakech, Ajarb Bernard Ategwa (Camerun), Tope Fatunmbi, Ebenezer Akinola e Oluwole Omofemi (Nigeria), Tafadzwa Tega (Zimbawe), Nù Barreto (Guinea Bissau) e del giovanissimo ivoriano Nanglè. Troviamo poi artisti di fama internazionale che hanno partecipato all’ultima Biennale di Venezia come gli ivoriani, Armand Boua,Yeanzi e Laetitia Ky, che ha saputo dar vita – quest’ultima – a un linguaggio che fonde body art e fotografia che si abbina perfettamente a un attivismo per i diritti femminili incessante. Su una linea simile si muove anche la giovane artista nigeriana Michel Okpare che propone pattern cromatici etnici, che rappresentano alfabeti espressivi di un linguaggio non verbale. E la senegalese Seni Awa Camara già presente all’epocale mostra Magiciens de la Terre nel 1989 a Parigi con le sue sculture in terracotta dalle valenze rituali e identitarie mentre il mozambichiano Gonçalo Mabunda, testimonia con le sue sculture composte da residuati bellici, il potere taumaturgico dell’arte, la sua capacità di trasformare le cicatrici in poesia e monito.
Si ringraziano inoltre: La Fondazione TG RESIDENCY, l’Associazione culturale L’Umanità, l’associazione umanitaria Marta Onlus e le aziende Camporignano e High Tech Aluminium.
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