Dante Ferretti, effimero per errore
Dal 24 Luglio 2021 al 19 Settembre 2021
Macerata
Luogo: Palazzo Ricci
Indirizzo: Via Domenico Ricci 1
Orari: dal martedì al sabato 15.30-19.30; domenica e festivi 10-13 / 15.30-19.30; chiuso il lunedì
Curatori: Pierfrancesco Giannangeli e Benito Leonori
Enti promotori:
- Fondazione Cassa di risparmio della provincia di Macerata
- Patrocinio di Regione Marche e Comune di Macerata
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0733 202942
E-Mail info: meridiana.mc@gmail.com
Sito ufficiale: http://www.palazzoricci.it
L’affascinante immaginario dello scenografo e costumista Dante Ferretti è protagonista assoluto della mostra “Dante Ferretti, effimero per errore”, allestita a Palazzo Ricci di Macerata dal 25 luglio al 19 settembre 2021. L’esposizione, a cura di Pierfrancesco Giannangeli e Benito Leonori con l’assistenza di Bianca Piacentini, è promossa dalla Fondazione Cassa di risparmio della provincia di Macerata (Carima), con il patrocinio della Regione Marche e del Comune di Macerata. L’organizzazione è affidata a Maggioli Cultura.
Dante Ferretti, originario di Macerata, è celebre a livello internazionale grazie alle sue numerose collaborazioni in importanti produzioni hollywoodiane ed è vincitore di vari riconoscimenti, tra cui tre premi Oscar per i film “The Aviator” e “Hugo Cabret”di Martin Scorsese e “Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street” di Tim Burton.
Nelle sale di Palazzo Ricci sono esposti 10 bozzetti a pastello su alluminio, carta, cartoncino, cartone, compensato e tela - tra cui quelli dei film premiati agli Oscar - e un modellino di resina, appartenenti alle collezioni della Fondazione Carima. L’allestimento della mostra è realizzato nei laboratori scenografici della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, coordinati da Benito Leonori.
Il visitatore si troverà immerso nel processo della creazione artistica, nella stessa situazione che vive il regista quando lo scenografo gli sottopone l’ipotesi creativa, attraverso bozzetti e modellini. La mostra è un emozionante viaggio tra il buio e la luce, per scoprire e rivivere come inizia il percorso di costruzione di quel film o spettacolo teatrale.
Da tutto ciò deriva il titolo della mostra: “effimero per errore”. «È un gioco di parole sull’essenza della pratica dello spettacolo – spiegano i curatori – a torto considerata un effimero che dura il tempo della rappresentazione o delle riprese. Al contrario, l’evento, quando accade, è un’esperienza di vita condivisa nell’attimo del suo farsi sia per l’artista che per lo spettatore, e la vita è un susseguirsi di momenti spesso effimeri che la caratterizzano e la rendono unica ed entusiasmante, eterna nel suo splendore. Considerare una scenografia un effimero è pertanto un errore, perché quel variegato mondo di immagini resta per sempre impresso nella memoria, intellettuale e affettiva, di uno spettatore».
L’apprendistato di Dante Ferretti avviene in area marchigiana nel lontano 1962, nella Baia di Portonovo in provincia di Ancona. «Ricordo che mi chiamavano l’architettino, con un certo rispetto per il mio ruolo. – scrive Ferretti – Con il mio amore per il cinema e con tutta l’incoscienza dei miei diciassette anni mi sono gettato in un’avventura che, a distanza di tempo, mi sembra davvero titanica». Questo singolare eroe scenografico dei due mondi è erede di una tradizione plurisecolare italiana di artigiani che negli Stati Uniti ha rappresentato un valore aggiunto.
Dal mondo pasoliniano, fuori tempo e fuori luogo, Ferretti si interfaccia con quello felliniano che recupera in extremis l’inconfondibile connotazione nazionale, per completarsi con quello scorsesiano di impronta americana. Ricorda lo stesso Ferretti: «Nella mia formazione ha poi influito molto la mia incontenibile passione per il cinema, soprattutto quello americano, da “Quarto potere” alle grandi ricostruzioni storiche come “Ben Hur” e “La tunica”. È stato in compagnia di questi film che da ragazzo ho trascorso interi pomeriggi nelle sale cinematografiche di Macerata».
A muovere la creatività di Ferretti è l’esigenza testarda di rendere ogni volta tangibile, ancorché visibile, l’inimmaginabile. Questa ossessione prende forma dalla traccia cartacea o similare in cui le linee e i colori lasciano a chi guarda il compito di elaborare mentalmente quel che persino sullo schermo rimane inafferrabile e suggestivo. «La scenografia per Ferretti non è che lo stadio terminale di un sogno sognato e poi reso cosciente da lasciarsi alle spalle per incominciare tutto daccapo, in un perenne esercizio da esordiente che si confronta con prove ulteriori», spiega Anton Giulio Mancino nel suo contributo nel catalogo di mostra, edito da Maggioli.
Sempre dal catalogo, l’intervento di Renzo Bellanca sulla scenografia cinematografica: “È un processo simile a quello che compie un attore che, letta la sua parte, deve entrare nel suo ruolo e nel contesto storico, facendolo vivere allo spettatore: in questo modo ti permette di viaggiare, inizialmente, stando al tavolo da disegno, restituendo al pubblico stesso il viaggio, i rumori, gli odori immaginati attraverso quegli elementi architettonici, colori, oggetti e arredi che hai selezionato, conducendolo a volte anche in quei luoghi interiori che molte volte sono soltanto atmosfere impalpabili ma che hai saputo rendere visibile anche se visibile non è”.
LE SCENOGRAFIE DI DANTE FERRETTI
Nei bozzetti della collezione della Fondazione Carima c’è l’Eden spoglio de “I racconti di Canterbury”, l’altra faccia sessualmente spregiudicata e liberata della medaglia di un’Italia vista da lontano, attraverso le trecentesche novelle licenziose di Geoffrey Chaucher. E la creatura aerea che gravita come spettro femminile tentacolare e plurivalente ne “La città delle donne”.
Nel bozzetto di “Ritorno a Cold Mountain”, di Anthony Minghella, si coglie immediatamente il segno e il senso nero fumante lasciato dalla Guerra di Secessione sugli ambienti; della “Carmen” di Bizet, che Ferretti allestisce e dirige in proprio per lo Sferisterio di Macerata, la scena teatrale è iscritta già su tela. Nei territori fisici shakespeariani si situano invece il Colosseo, ancora bidimensionale e pittorico di “Titus” di Julie Taymor, al quale fa da contraltare il modellino del castello di Elsinore dell’“Amleto” di Franco Zeffirelli. In una gabbia dorata si rinchiude, al colmo di se stesso, il magnate Howard Hughes interpretato da Leonardo Di Caprio in “The Aviator” di Scorsese, mentre ne “Le avventure del Barone di Muchausen” di Terry Gilliam Dante Ferretti imprigiona per intero nel ventre della balena un vecchio veliero, visualizzando la traccia letteraria di Rudolph Erich Raspe, già illustrata da Gustave Dorè.
I segreti e la storia di Georges Méliès vengono plasmati in “Hugo Cabret” con il viscerale e scuro tunnel cinematografico da cui sbuca agilmente il piccolo protagonista verso un fascio di luce spiovente, simile a quello che si ritrova nella più inquietante e claustrofobica sala da barba dell’assassino seriale del burtoniano “Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street”. E infine le atmosfere tibetane di “Kundun” di Martin Scorsese, con il Palazzo Reale Norbvunka.
Gli esemplari di Dante Ferretti che la Fondazione Carima espone nella mostra a Palazzo Ricci mettono in circolo storia e storie. Consentono di individuare sentieri e destini che si incrociano, attraverso una creatività visionaria che farà sognare il visitatore.
L’inaugurazione della mostra è prevista sabato 24 luglio alle ore 18
Dante Ferretti, originario di Macerata, è celebre a livello internazionale grazie alle sue numerose collaborazioni in importanti produzioni hollywoodiane ed è vincitore di vari riconoscimenti, tra cui tre premi Oscar per i film “The Aviator” e “Hugo Cabret”di Martin Scorsese e “Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street” di Tim Burton.
Nelle sale di Palazzo Ricci sono esposti 10 bozzetti a pastello su alluminio, carta, cartoncino, cartone, compensato e tela - tra cui quelli dei film premiati agli Oscar - e un modellino di resina, appartenenti alle collezioni della Fondazione Carima. L’allestimento della mostra è realizzato nei laboratori scenografici della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, coordinati da Benito Leonori.
Il visitatore si troverà immerso nel processo della creazione artistica, nella stessa situazione che vive il regista quando lo scenografo gli sottopone l’ipotesi creativa, attraverso bozzetti e modellini. La mostra è un emozionante viaggio tra il buio e la luce, per scoprire e rivivere come inizia il percorso di costruzione di quel film o spettacolo teatrale.
Da tutto ciò deriva il titolo della mostra: “effimero per errore”. «È un gioco di parole sull’essenza della pratica dello spettacolo – spiegano i curatori – a torto considerata un effimero che dura il tempo della rappresentazione o delle riprese. Al contrario, l’evento, quando accade, è un’esperienza di vita condivisa nell’attimo del suo farsi sia per l’artista che per lo spettatore, e la vita è un susseguirsi di momenti spesso effimeri che la caratterizzano e la rendono unica ed entusiasmante, eterna nel suo splendore. Considerare una scenografia un effimero è pertanto un errore, perché quel variegato mondo di immagini resta per sempre impresso nella memoria, intellettuale e affettiva, di uno spettatore».
L’apprendistato di Dante Ferretti avviene in area marchigiana nel lontano 1962, nella Baia di Portonovo in provincia di Ancona. «Ricordo che mi chiamavano l’architettino, con un certo rispetto per il mio ruolo. – scrive Ferretti – Con il mio amore per il cinema e con tutta l’incoscienza dei miei diciassette anni mi sono gettato in un’avventura che, a distanza di tempo, mi sembra davvero titanica». Questo singolare eroe scenografico dei due mondi è erede di una tradizione plurisecolare italiana di artigiani che negli Stati Uniti ha rappresentato un valore aggiunto.
Dal mondo pasoliniano, fuori tempo e fuori luogo, Ferretti si interfaccia con quello felliniano che recupera in extremis l’inconfondibile connotazione nazionale, per completarsi con quello scorsesiano di impronta americana. Ricorda lo stesso Ferretti: «Nella mia formazione ha poi influito molto la mia incontenibile passione per il cinema, soprattutto quello americano, da “Quarto potere” alle grandi ricostruzioni storiche come “Ben Hur” e “La tunica”. È stato in compagnia di questi film che da ragazzo ho trascorso interi pomeriggi nelle sale cinematografiche di Macerata».
A muovere la creatività di Ferretti è l’esigenza testarda di rendere ogni volta tangibile, ancorché visibile, l’inimmaginabile. Questa ossessione prende forma dalla traccia cartacea o similare in cui le linee e i colori lasciano a chi guarda il compito di elaborare mentalmente quel che persino sullo schermo rimane inafferrabile e suggestivo. «La scenografia per Ferretti non è che lo stadio terminale di un sogno sognato e poi reso cosciente da lasciarsi alle spalle per incominciare tutto daccapo, in un perenne esercizio da esordiente che si confronta con prove ulteriori», spiega Anton Giulio Mancino nel suo contributo nel catalogo di mostra, edito da Maggioli.
Sempre dal catalogo, l’intervento di Renzo Bellanca sulla scenografia cinematografica: “È un processo simile a quello che compie un attore che, letta la sua parte, deve entrare nel suo ruolo e nel contesto storico, facendolo vivere allo spettatore: in questo modo ti permette di viaggiare, inizialmente, stando al tavolo da disegno, restituendo al pubblico stesso il viaggio, i rumori, gli odori immaginati attraverso quegli elementi architettonici, colori, oggetti e arredi che hai selezionato, conducendolo a volte anche in quei luoghi interiori che molte volte sono soltanto atmosfere impalpabili ma che hai saputo rendere visibile anche se visibile non è”.
LE SCENOGRAFIE DI DANTE FERRETTI
Nei bozzetti della collezione della Fondazione Carima c’è l’Eden spoglio de “I racconti di Canterbury”, l’altra faccia sessualmente spregiudicata e liberata della medaglia di un’Italia vista da lontano, attraverso le trecentesche novelle licenziose di Geoffrey Chaucher. E la creatura aerea che gravita come spettro femminile tentacolare e plurivalente ne “La città delle donne”.
Nel bozzetto di “Ritorno a Cold Mountain”, di Anthony Minghella, si coglie immediatamente il segno e il senso nero fumante lasciato dalla Guerra di Secessione sugli ambienti; della “Carmen” di Bizet, che Ferretti allestisce e dirige in proprio per lo Sferisterio di Macerata, la scena teatrale è iscritta già su tela. Nei territori fisici shakespeariani si situano invece il Colosseo, ancora bidimensionale e pittorico di “Titus” di Julie Taymor, al quale fa da contraltare il modellino del castello di Elsinore dell’“Amleto” di Franco Zeffirelli. In una gabbia dorata si rinchiude, al colmo di se stesso, il magnate Howard Hughes interpretato da Leonardo Di Caprio in “The Aviator” di Scorsese, mentre ne “Le avventure del Barone di Muchausen” di Terry Gilliam Dante Ferretti imprigiona per intero nel ventre della balena un vecchio veliero, visualizzando la traccia letteraria di Rudolph Erich Raspe, già illustrata da Gustave Dorè.
I segreti e la storia di Georges Méliès vengono plasmati in “Hugo Cabret” con il viscerale e scuro tunnel cinematografico da cui sbuca agilmente il piccolo protagonista verso un fascio di luce spiovente, simile a quello che si ritrova nella più inquietante e claustrofobica sala da barba dell’assassino seriale del burtoniano “Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street”. E infine le atmosfere tibetane di “Kundun” di Martin Scorsese, con il Palazzo Reale Norbvunka.
Gli esemplari di Dante Ferretti che la Fondazione Carima espone nella mostra a Palazzo Ricci mettono in circolo storia e storie. Consentono di individuare sentieri e destini che si incrociano, attraverso una creatività visionaria che farà sognare il visitatore.
L’inaugurazione della mostra è prevista sabato 24 luglio alle ore 18
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