Walter Davanzo. Bobi Bazlen
Dal 21 Gennaio 2023 al 09 Febbraio 2023
Mantova
Luogo: Galleria Arianna Sartori
Indirizzo: Via Ippolito Nievo 10
Orari: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso Domeniche e Festivi
Telefono per informazioni: +39 0376 324260
WALTER DAVANZO: OMAGGIO A BOBI BAZLEN
di Eugenio Manzato
Walter Davanzo è trevigiano verace: nato nel 1952 nel quartiere di Fiera – il nonno Giulio lavorava nella antica lavanderia Iseppi –, “emigrato” da bambino in Borgo Cavour, frequenta le elementari alla De Amicis con il mitico maestro Piazza; quindi le medie alla Stefanini, e infine l'Istituto tecnico industriale a Lancenigo.
Ma in famiglia vigeva una mentalità tutt'altro che provinciale: il padre Dino, motorista e collaudatore all'aeroporto di Istrana, conosceva e frequentava gli aviatori della royal air force; nella famiglia della madre era rimasto vivo il ricordo del bisnonno Antonio Salvini, nativo di Istrana e in relazione con l'avvocato Lattes: pianista e compositore aveva avuto un contratto con la Columbia e aveva vissuto per un lungo periodo a Buenos Aires, ma era stato per diversi anni anche direttore al teatro alla Scala a Milano; la zia Bruna, sorella della madre, era soprano e si esibiva nei teatri di tutta Italia, ma entrò nelle cronache nazionali per una vincita miliardaria all'Enalotto; e Walter, rimasto poco più che bambino orfano del padre, fu più volte suo ospite nella casa di Roma e nella villa in Val d'Orcia.
Dopo la maturità tecnica Walter, appassionato di fotografia, si iscrive al DAMS – Dipartimento Arte Musica Spettacolo – a Bologna, una facoltà recente, nuova nell'approccio a culture diverse, aperta alla modernità: qui avrà tra i suoi professori Renato Barilli e Luciano Anceschi, che lasceranno segni profondi nella sua preparazione. Seguirà un impegno professionale articolato fra cinema – realizza alcuni documentari – teatro, per il quale inventa prodigiose scenografie, fotografia, design e “pittura”: laddove le virgolette sono d'obbligo per lavori che spesso trascendono i dati tradizionali del genere.
Questo complesso percorso di vita e di formazione porta Davanzo a un approdo stilistico che rifiuta e supera il naturalismo in favore di una espressività caricata, comune anche ad altri artisti trevigiani della sua generazione: in un saggio del 2006 dedicato alla pittura del '900 a Treviso, nel tentativo di trovare affinità e distinzioni tra i pittori che avevano studio nel territorio trevigiano alla fine del millennio, avevo rilevato una comune carica d'inquietudine quale caratteristica di artisti sia pur di varia ascendenza e diversi nei risultati; e una connotazione decisamente espressionista notavo in Walter Davanzo, che si avvaleva “di segni tribali, del grafismo infantile, per esprimere una bellezza deformata e inquietante”. Sono proprio di questo periodo alcuni cicli di opere che l'artista propone attraverso mostre dal raffinato ordinamento allestitivo e dotate di cataloghi attentissimi alla cura editoriale, veri e propri “libri d'arte”. Tra di esse trovo particolarmente importante la mostra di Palazzo Piazzoni a Vittorio Veneto – “Die Berliner Bahnhofe” – in cui erano esposte le opere realizzate tra il 2005 e il 2006 a seguito di reiterati soggiorni a Berlino: la città, da pochi anni riunificata, si presenta animata e vitale agli occhi dell'artista; in particolare Davanzo è affascinato dalle stazioni della metropolitana, luoghi di “speranza” e di “lavoro” secondo le impressioni che egli annota accanto agli schizzi con cui ne ritrae gli aspetti, in cui è “un continuo andare e venire” di persone che egli agilmente e intensamente riprende. Sono vedute nello stile che da tempo gli è proprio e lo connota: “visioni evocate, e mai semplicemente riprodotte”, in cui la tensione al movimento esprime “l'errare del dubbio della ricerca” (Ranzi).
L'empatia per il mondo mitteleuropeo rimane una costante nella produzione artistica degli anni successivi. Non è dunque un caso la fascinazione che esercita su di lui un personaggio come Roberto Bazlen: triestino di nascita (1902), la madre Clotilde Levi Minzi appartiene alla buona borghesia ebraica cittadina; il padre, tedesco di Stoccarda, è luterano; Roberto – per tutti “Bobi” – studia al Realgymnasium, scuola di lingua tedesca, e dunque cresce bilingue, ma studierà in seguito anche inglese e francese; la sua cultura vastissima lo porterà a frequentare e a lavorare nel mondo dell'editoria tanto che, insieme a Luciano Foà, fonderà la casa editrice Adelphi.
Il personaggio era noto fino a pochi anni fa a una ristretta cerchia di studiosi: udii per la prima volta il suo nome da Franca Malabotta a Trieste nel '95 – preparavo in quel periodo per il Museo Bailo la mostra dei de Pisis della collezione del marito notaio – incuriosito dalla fotografia di un giovane supino a braccia allargate su un prato fiorito:
“E' Bobi Bazlen”.
“E chi è?”
Scosse la testa e fece un gesto con la mano come a dire: sarebbe troppo lunga da spiegare.
Al ritorno a Treviso ne cercai il nome nel Dizionario Biografico degli Italiani, quasi certo tuttavia di non trovarlo: invece la voce vi era, curata da Aldo Grasso, così che ne ebbi una prima inquadratura storica.
Nel 2017 Roberto Bazlen ha avuto finalmente una completa biografia per merito e cura di una raffinata scrittrice come Cristina Battocletti, e l'opera ha vinto il premio per la biografia alla XXXVII edizione del Premio Comisso nel 2018.
Walter Davanzo è un appassionato lettore dai gusti rari e raffinati: nell'affascinante labirinto del suo studio una delle stanze ospita una vasta biblioteca, dotata di una comoda poltrona degli anni '40 dai braccioli di legno incurvato in ottima posizione di luce; e vi ha trovato posto immediatamente il libro della Battocletti.
Di certo la maggiore affinità tra Walter e Bobi Bazlen è la comune passione per i libri; ma anche le atmosfere mitteleuropee di Trieste hanno giocato a favore di un fertile innamoramento: fertile perché la conoscenza delle vicende biografiche e l'approfondimento della cultura di Bazlen hanno ispirato al nostro artista una serie di opere di rara intensità.
Sono dipinti su carta, ma una carta speciale: Davanzo ha infatti utilizzato vecchi mappali del territorio triestino risalenti ai primi anni del Novecento; e le scritte traspaiono o sotto i colori o in campi liberi, rafforzando il carattere mitteleuropeo dei lavori. Ovviamente egli ha tratto spunto dalle fotografie che corredano il libro della Battocletti, trasfigurando tuttavia le immagini delle persone – sono tutti in qualche modo dei “ritratti” – secondo il suo personale stile antinaturalistico e “antigrazioso”. Ne sortisce un ciclo di grande fascino, in cui la sua rilettura rende attuale e vivo il personaggio di Bazlen.
Anche la scelta delle immagini è significativa: se i “dipinti” tratti dalle foto di Bobi bambinetto con la madre, o quelle da adulto con Luciano Foà o con Adriano Olivetti, sembrano assecondare in qualche modo una narrazione biografica, i soggetti ricavati dai ritratti in cui Bazlen compare da solo raggiungono risultati di intensa trasfigurazione poetica. Una foto ritrae Bobi da bimbo – all'età apparente di non più di quattro o cinque anni – vestito, secondo una usanza abbastanza diffusa all'epoca a Trieste, in divisa da soldato austroungarico; ma, nonostante l'elmetto con la punta aguzza, l'atteggiamento è tutt'altro che marziale: la testa leggermente piegata e l'espressione timida ne denunciano l'animo tenero, e prefigurano l'intellettuale un po' schivo che egli diventerà da adulto. Da questa immagine Walter Davanzo trae uno sparuto ritratto a colori, ricavandone poi una sagoma, quasi da tirassegno, ripetuta sul fondo di una carta puntinata.
La foto che più colpisce Davanzo è tuttavia uno scatto di Bazlen adulto – probabilmente della fine degli anni venti – eseguito dall'amica Gerti, alias Margarete Frankl, figlia di un ricchissimo banchiere ebreo di Graz, ragazza libera e scanzonata di cui Bobi era forse innamorato senza speranza, perché fidanzata, e in seguito moglie, dell'amico Carlo Tolazzi. Nella foto Bazlen appare in figura – tagliato alle ginocchia – elegantissimo in completo tre pezzi e cravatta contro un muro: il formato è orizzontale e il campo è occupato per tre quarti dal muro con effetto straniante e metafisico. Bazlen, le mani in tasca, la giacca aperta ad evidenziare il gilè – si intuisce un taglio d'alta sartoria – guarda l'obiettivo spingendo leggermente in avanti la testa con espressione un po' stralunata. Conquistato da questa foto Davanzo ne sottolinea la forza e l'intensità replicando più e più volte il ritratto, ma senza ossessione, con varianti che ne rinnovano ogni volta la vitalità, quasi delle “variazioni Goldberg” trasferite in pittura: del resto Walter è un appassionato intenditore di musica – si vedano al proposito i notevoli precedenti famigliari – e un'altra stanza del suo studio-labirinto, dotata di impianto e ricca di una scelta collezione di dischi, è dedicata all'ascolto.
Anche la tecnica è particolarmente studiata: olio, pennarello, resina, vernice industriale, stesi per sovrapposizione, formano spessori e stratigrafie che conferiscono a queste “pitture su carta” pregnanza materica.
A suggello e riassunto del ciclo una grande carta geografica dell'Europa – una di quelle vecchie carte fisico-politiche corredo imprescindibile delle aule scolastiche d'epoca – è ricoperta da un esercito di sagome in serigrafia di “Bobi-soldatino”; ma il carattere giocosamente ironico della composizione è svelato dalla sequenza – omaggio agli scatti ripetuti dei pionieri della fotografia – di ritratti in piedi del “Bazlen-intellettuale” nella parte inferiore della composizione. Sulla carta geografica, appena individuata nella dissolvente opacità data dalle figurine sovrapposte, risaltano Italia e Austria ritoccate coi colori della reciproca bandiera: a indicare le due patrie che hanno fornito il supporto culturale all'intelligenza del protagonista.
Walter Davanzo
Pittore, fotografo, designer, art director.
Nato a Treviso il 1° marzo, si è dedicato fin dagli anni giovanili alla fotografia e alla pittura iniziando l’attività espositiva nel 1970 nella propria città.
Dopo la maturità scientifica, si iscrive al D.A.M.S. di Bologna con indirizzo pittorico, la vera passione dei suoi anni giovanili.
Si interessa soprattutto all’espressionismo tedesco, sia nella pittura che nel cinema. Diversi viaggi lo portano a visitare famose gallerie di capitali Europee, per 5 anni ritorna in Francia soprattutto a Parigi, poi in Bretagna e in Normandia.
Altri viaggi studio lo portano in Africa, nell’area mediterranea, Kenya e Marocco rafforzando così il suo interesse per i segni primitivi, per il grafismo infantile, primitivo appunto.
Resta molto colpito dai dipinti di F.Bacon, Munch, Henri Manguin, Varlin, Enry Matisse, Kess Van Dogen, M. de Vlamick di come rappresentano sulla tela le vicende umane, e l’uso del colore.
Inizialmente espone in numerose mostre personali fotografiche in varie città Italiane, poi solamente mostre di pittura.
Dopo una prima fase astratto-informale, indirizza la sua ricerca pittorica con forti componenti gestuali ad una figurazione libera e ingenua, fatta di immagini oniriche e grottesche tra sogno e realtà con riferimenti all’infanzia dando vita a delle figure di impianto fauve-espressionista.
La sua è una continua ricerca dei segni dell’uomo nella natura e della sua esistenza, attraverso una pittura fotografica fatta di sequenze, didascalica, che riproduce fedelmente in forma pittorica.
Figure con colori molto decisi, grafismo infantile, la gioia del vivere dell’uomo ma anche la tragedia nel divenire.
Le tematiche sono cicliche: gambe, aerei, cani, paesaggi urbani, colonie, ritratti prevalentemente beige, indaco, nero, bianco, bitume di giudea e resina.
Il voler recuperare tutti quei grafismi e vecchie fotografie, carte geografiche, spartiti musicali del bisnonno musicista, vecchie mappe catastali, carte vecchie, è una reviviscenza dell’infanzia perduta e ritrovata.
Ricordiamo la personale del 2008 a Madrid all’Istituto Italiano di Cultura in occasione della NOCHE in BLANCO.
Collabora come Art Director all’Asolo Art Film FESTIVAL, Happiness, Replay, i-SENS, Rude Riders, Dhea, Meeting, Opificio Bikers, Technogel.
Le sue opere si trovano nei musei e collezioni private, la documentazione dell’attività presso l’ASAC della Biennale di Venezia e presso Ludwig Forum fur internationale Kunst Bibliothek, Aachen.
Nella bibliografia va segnalata la presenza dell’artista nella collana “La Pittura nel Veneto, il novecento”, dizionario degli artisti, tre volumi Electa Milano.
Walter Davanzo vive a Povegliano (TV) e a Berlino.
di Eugenio Manzato
Walter Davanzo è trevigiano verace: nato nel 1952 nel quartiere di Fiera – il nonno Giulio lavorava nella antica lavanderia Iseppi –, “emigrato” da bambino in Borgo Cavour, frequenta le elementari alla De Amicis con il mitico maestro Piazza; quindi le medie alla Stefanini, e infine l'Istituto tecnico industriale a Lancenigo.
Ma in famiglia vigeva una mentalità tutt'altro che provinciale: il padre Dino, motorista e collaudatore all'aeroporto di Istrana, conosceva e frequentava gli aviatori della royal air force; nella famiglia della madre era rimasto vivo il ricordo del bisnonno Antonio Salvini, nativo di Istrana e in relazione con l'avvocato Lattes: pianista e compositore aveva avuto un contratto con la Columbia e aveva vissuto per un lungo periodo a Buenos Aires, ma era stato per diversi anni anche direttore al teatro alla Scala a Milano; la zia Bruna, sorella della madre, era soprano e si esibiva nei teatri di tutta Italia, ma entrò nelle cronache nazionali per una vincita miliardaria all'Enalotto; e Walter, rimasto poco più che bambino orfano del padre, fu più volte suo ospite nella casa di Roma e nella villa in Val d'Orcia.
Dopo la maturità tecnica Walter, appassionato di fotografia, si iscrive al DAMS – Dipartimento Arte Musica Spettacolo – a Bologna, una facoltà recente, nuova nell'approccio a culture diverse, aperta alla modernità: qui avrà tra i suoi professori Renato Barilli e Luciano Anceschi, che lasceranno segni profondi nella sua preparazione. Seguirà un impegno professionale articolato fra cinema – realizza alcuni documentari – teatro, per il quale inventa prodigiose scenografie, fotografia, design e “pittura”: laddove le virgolette sono d'obbligo per lavori che spesso trascendono i dati tradizionali del genere.
Questo complesso percorso di vita e di formazione porta Davanzo a un approdo stilistico che rifiuta e supera il naturalismo in favore di una espressività caricata, comune anche ad altri artisti trevigiani della sua generazione: in un saggio del 2006 dedicato alla pittura del '900 a Treviso, nel tentativo di trovare affinità e distinzioni tra i pittori che avevano studio nel territorio trevigiano alla fine del millennio, avevo rilevato una comune carica d'inquietudine quale caratteristica di artisti sia pur di varia ascendenza e diversi nei risultati; e una connotazione decisamente espressionista notavo in Walter Davanzo, che si avvaleva “di segni tribali, del grafismo infantile, per esprimere una bellezza deformata e inquietante”. Sono proprio di questo periodo alcuni cicli di opere che l'artista propone attraverso mostre dal raffinato ordinamento allestitivo e dotate di cataloghi attentissimi alla cura editoriale, veri e propri “libri d'arte”. Tra di esse trovo particolarmente importante la mostra di Palazzo Piazzoni a Vittorio Veneto – “Die Berliner Bahnhofe” – in cui erano esposte le opere realizzate tra il 2005 e il 2006 a seguito di reiterati soggiorni a Berlino: la città, da pochi anni riunificata, si presenta animata e vitale agli occhi dell'artista; in particolare Davanzo è affascinato dalle stazioni della metropolitana, luoghi di “speranza” e di “lavoro” secondo le impressioni che egli annota accanto agli schizzi con cui ne ritrae gli aspetti, in cui è “un continuo andare e venire” di persone che egli agilmente e intensamente riprende. Sono vedute nello stile che da tempo gli è proprio e lo connota: “visioni evocate, e mai semplicemente riprodotte”, in cui la tensione al movimento esprime “l'errare del dubbio della ricerca” (Ranzi).
L'empatia per il mondo mitteleuropeo rimane una costante nella produzione artistica degli anni successivi. Non è dunque un caso la fascinazione che esercita su di lui un personaggio come Roberto Bazlen: triestino di nascita (1902), la madre Clotilde Levi Minzi appartiene alla buona borghesia ebraica cittadina; il padre, tedesco di Stoccarda, è luterano; Roberto – per tutti “Bobi” – studia al Realgymnasium, scuola di lingua tedesca, e dunque cresce bilingue, ma studierà in seguito anche inglese e francese; la sua cultura vastissima lo porterà a frequentare e a lavorare nel mondo dell'editoria tanto che, insieme a Luciano Foà, fonderà la casa editrice Adelphi.
Il personaggio era noto fino a pochi anni fa a una ristretta cerchia di studiosi: udii per la prima volta il suo nome da Franca Malabotta a Trieste nel '95 – preparavo in quel periodo per il Museo Bailo la mostra dei de Pisis della collezione del marito notaio – incuriosito dalla fotografia di un giovane supino a braccia allargate su un prato fiorito:
“E' Bobi Bazlen”.
“E chi è?”
Scosse la testa e fece un gesto con la mano come a dire: sarebbe troppo lunga da spiegare.
Al ritorno a Treviso ne cercai il nome nel Dizionario Biografico degli Italiani, quasi certo tuttavia di non trovarlo: invece la voce vi era, curata da Aldo Grasso, così che ne ebbi una prima inquadratura storica.
Nel 2017 Roberto Bazlen ha avuto finalmente una completa biografia per merito e cura di una raffinata scrittrice come Cristina Battocletti, e l'opera ha vinto il premio per la biografia alla XXXVII edizione del Premio Comisso nel 2018.
Walter Davanzo è un appassionato lettore dai gusti rari e raffinati: nell'affascinante labirinto del suo studio una delle stanze ospita una vasta biblioteca, dotata di una comoda poltrona degli anni '40 dai braccioli di legno incurvato in ottima posizione di luce; e vi ha trovato posto immediatamente il libro della Battocletti.
Di certo la maggiore affinità tra Walter e Bobi Bazlen è la comune passione per i libri; ma anche le atmosfere mitteleuropee di Trieste hanno giocato a favore di un fertile innamoramento: fertile perché la conoscenza delle vicende biografiche e l'approfondimento della cultura di Bazlen hanno ispirato al nostro artista una serie di opere di rara intensità.
Sono dipinti su carta, ma una carta speciale: Davanzo ha infatti utilizzato vecchi mappali del territorio triestino risalenti ai primi anni del Novecento; e le scritte traspaiono o sotto i colori o in campi liberi, rafforzando il carattere mitteleuropeo dei lavori. Ovviamente egli ha tratto spunto dalle fotografie che corredano il libro della Battocletti, trasfigurando tuttavia le immagini delle persone – sono tutti in qualche modo dei “ritratti” – secondo il suo personale stile antinaturalistico e “antigrazioso”. Ne sortisce un ciclo di grande fascino, in cui la sua rilettura rende attuale e vivo il personaggio di Bazlen.
Anche la scelta delle immagini è significativa: se i “dipinti” tratti dalle foto di Bobi bambinetto con la madre, o quelle da adulto con Luciano Foà o con Adriano Olivetti, sembrano assecondare in qualche modo una narrazione biografica, i soggetti ricavati dai ritratti in cui Bazlen compare da solo raggiungono risultati di intensa trasfigurazione poetica. Una foto ritrae Bobi da bimbo – all'età apparente di non più di quattro o cinque anni – vestito, secondo una usanza abbastanza diffusa all'epoca a Trieste, in divisa da soldato austroungarico; ma, nonostante l'elmetto con la punta aguzza, l'atteggiamento è tutt'altro che marziale: la testa leggermente piegata e l'espressione timida ne denunciano l'animo tenero, e prefigurano l'intellettuale un po' schivo che egli diventerà da adulto. Da questa immagine Walter Davanzo trae uno sparuto ritratto a colori, ricavandone poi una sagoma, quasi da tirassegno, ripetuta sul fondo di una carta puntinata.
La foto che più colpisce Davanzo è tuttavia uno scatto di Bazlen adulto – probabilmente della fine degli anni venti – eseguito dall'amica Gerti, alias Margarete Frankl, figlia di un ricchissimo banchiere ebreo di Graz, ragazza libera e scanzonata di cui Bobi era forse innamorato senza speranza, perché fidanzata, e in seguito moglie, dell'amico Carlo Tolazzi. Nella foto Bazlen appare in figura – tagliato alle ginocchia – elegantissimo in completo tre pezzi e cravatta contro un muro: il formato è orizzontale e il campo è occupato per tre quarti dal muro con effetto straniante e metafisico. Bazlen, le mani in tasca, la giacca aperta ad evidenziare il gilè – si intuisce un taglio d'alta sartoria – guarda l'obiettivo spingendo leggermente in avanti la testa con espressione un po' stralunata. Conquistato da questa foto Davanzo ne sottolinea la forza e l'intensità replicando più e più volte il ritratto, ma senza ossessione, con varianti che ne rinnovano ogni volta la vitalità, quasi delle “variazioni Goldberg” trasferite in pittura: del resto Walter è un appassionato intenditore di musica – si vedano al proposito i notevoli precedenti famigliari – e un'altra stanza del suo studio-labirinto, dotata di impianto e ricca di una scelta collezione di dischi, è dedicata all'ascolto.
Anche la tecnica è particolarmente studiata: olio, pennarello, resina, vernice industriale, stesi per sovrapposizione, formano spessori e stratigrafie che conferiscono a queste “pitture su carta” pregnanza materica.
A suggello e riassunto del ciclo una grande carta geografica dell'Europa – una di quelle vecchie carte fisico-politiche corredo imprescindibile delle aule scolastiche d'epoca – è ricoperta da un esercito di sagome in serigrafia di “Bobi-soldatino”; ma il carattere giocosamente ironico della composizione è svelato dalla sequenza – omaggio agli scatti ripetuti dei pionieri della fotografia – di ritratti in piedi del “Bazlen-intellettuale” nella parte inferiore della composizione. Sulla carta geografica, appena individuata nella dissolvente opacità data dalle figurine sovrapposte, risaltano Italia e Austria ritoccate coi colori della reciproca bandiera: a indicare le due patrie che hanno fornito il supporto culturale all'intelligenza del protagonista.
Walter Davanzo
Pittore, fotografo, designer, art director.
Nato a Treviso il 1° marzo, si è dedicato fin dagli anni giovanili alla fotografia e alla pittura iniziando l’attività espositiva nel 1970 nella propria città.
Dopo la maturità scientifica, si iscrive al D.A.M.S. di Bologna con indirizzo pittorico, la vera passione dei suoi anni giovanili.
Si interessa soprattutto all’espressionismo tedesco, sia nella pittura che nel cinema. Diversi viaggi lo portano a visitare famose gallerie di capitali Europee, per 5 anni ritorna in Francia soprattutto a Parigi, poi in Bretagna e in Normandia.
Altri viaggi studio lo portano in Africa, nell’area mediterranea, Kenya e Marocco rafforzando così il suo interesse per i segni primitivi, per il grafismo infantile, primitivo appunto.
Resta molto colpito dai dipinti di F.Bacon, Munch, Henri Manguin, Varlin, Enry Matisse, Kess Van Dogen, M. de Vlamick di come rappresentano sulla tela le vicende umane, e l’uso del colore.
Inizialmente espone in numerose mostre personali fotografiche in varie città Italiane, poi solamente mostre di pittura.
Dopo una prima fase astratto-informale, indirizza la sua ricerca pittorica con forti componenti gestuali ad una figurazione libera e ingenua, fatta di immagini oniriche e grottesche tra sogno e realtà con riferimenti all’infanzia dando vita a delle figure di impianto fauve-espressionista.
La sua è una continua ricerca dei segni dell’uomo nella natura e della sua esistenza, attraverso una pittura fotografica fatta di sequenze, didascalica, che riproduce fedelmente in forma pittorica.
Figure con colori molto decisi, grafismo infantile, la gioia del vivere dell’uomo ma anche la tragedia nel divenire.
Le tematiche sono cicliche: gambe, aerei, cani, paesaggi urbani, colonie, ritratti prevalentemente beige, indaco, nero, bianco, bitume di giudea e resina.
Il voler recuperare tutti quei grafismi e vecchie fotografie, carte geografiche, spartiti musicali del bisnonno musicista, vecchie mappe catastali, carte vecchie, è una reviviscenza dell’infanzia perduta e ritrovata.
Ricordiamo la personale del 2008 a Madrid all’Istituto Italiano di Cultura in occasione della NOCHE in BLANCO.
Collabora come Art Director all’Asolo Art Film FESTIVAL, Happiness, Replay, i-SENS, Rude Riders, Dhea, Meeting, Opificio Bikers, Technogel.
Le sue opere si trovano nei musei e collezioni private, la documentazione dell’attività presso l’ASAC della Biennale di Venezia e presso Ludwig Forum fur internationale Kunst Bibliothek, Aachen.
Nella bibliografia va segnalata la presenza dell’artista nella collana “La Pittura nel Veneto, il novecento”, dizionario degli artisti, tre volumi Electa Milano.
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