Alfabeto segnico. Sergi Barnils, Giuseppe Capogrossi, Achille Perilli e Joan Hernández Pijuan
Dal 15 Settembre 2017 al 29 Ottobre 2017
Milano
Luogo: Fondazione Stelline
Indirizzo: corso Magenta 61
Orari: Martedì – Domenica, 10 - 20 (chiuso il lunedì)
Curatori: Alberto Fiz
Enti promotori:
- Regione Lombardia
- Comune di Milano
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39.02.45462.411
E-Mail info: fondazione@stelline.it
Sito ufficiale: http://www.stelline.it/
Fino al 29 ottobre 2017, alla Fondazione Stelline, un progetto espositivo che coinvolge Italia e Spagna con quattro artisti di generazioni differenti impegnati nella ricerca di un segno primario.
Sergi Barnils, Giuseppe Capogrossi, Achille Perilli e Joan Hernández Pijuan sono i protagonisti di Alfabeto segnico, mostra a cura di Alberto Fiz, che ha lo scopo di rintracciare le strutture testuali che si celano all’interno dell’immagine in base a un percorso che parte dal 1950 per arrivare sino a oggi.
Non scrittura, ma una forma-segno che si pone come atto creativo superando il dato appartenente alla realtà sensibile. Gli artisti in mostra, pur nelle differenze dei loro percorsi stilistici, sono legati da un sottile filo rosso evidenziato dall’aggregazione costante degli elementi in una continua rivitalizzazione del segno archetipale che determina un progressivo allargamento dello spazio dipinto.
Sono circa 40 le opere esposte, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, attraverso cui indagare un processo linguistico in continua evoluzione che sviluppa, nel tempo, una serie di varianti e combinazioni riscontrabili nelle opere di Sergi Barnils e Joan Hernández Pijuan, due artisti che hanno saputo reinterpretare la lezione dell’immediato dopoguerra rinnovando la dimensione germinale e primaria di un immaginario libero da condizionamenti ideologici. Le trame irregolari di Pijuan, che evocano i percorsi di un paesaggio scavato nella materia pittorica, sono accostabili ai graffiti di Perilli, intesi come mappe segrete. Barnils, invece, affolla la superficie di un segno miniaturizzato che si ripete in un mantra liberatorio in cui la pittura contiene emozioni, ironia e un’infinità di combinazioni imprevedibili. Pur partendo da presupposti differenti rispetto a Capogrossi, non c’è dubbio che si ritrovi in entrambi la tensione verso un’ars combinatoria che conduce verso “la proliferante molteplicità di ciò che ci circonda, imponendo la riorganizzazione spaziale con l’uso sapiente di un segno che assume significato e valore universale”.
Dopo Milano, la mostra si sposterà al CaMeC di La Spezia.
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