David Horvitz. Abbandonare il locale
Dal 12 Aprile 2024 al 23 Giugno 2024
Milano
Luogo: BiM - Dove Bicocca incontra Milano
Indirizzo: Viale dell’Innovazione 3
Orari: lunedì/domenica 11:00-20:00, giovedì 11:00-22:00. Dal 22.04 su appuntamento via mail
Curatori: Nicola Ricciardi
E-Mail info: info@bim-milano.com
Abbandonare il locale, la prima grande mostra personale in Italia dedicata a David Horvitz inaugurata in occasione della ventottesima edizione di miart e realizzata in collaborazione con BiM - Dove Bicocca incontra Milano, ambizioso progetto di rigenerazione urbana nel distretto Bicocca che sta trasformando un iconico edificio progettato da Vittorio Gregotti in una work destination all’avanguardia, è aperta al pubblico fino al 23 giugno 2024. Eccezionalmente allestita all’interno di un ufficio in disuso all’interno della stessa BiM, la mostra è curata da Nicola Ricciardi, direttore artistico di miart, che ha selezionato insieme a Horvitz oltre 20 opere che ripercorrono altrettanti anni della sua carriera.
Nato a Los Angeles, dove vive e lavora, Horvitz utilizza una disparità di media – dalla fotografia alla performance, dai libri d’artista al suono, dalla gastronomia alla mail art – per riflettere sulla nostra comune idea di distanza tra luoghi, tempi e persone e per testare le possibilità di appropriarsi, indebolire o cancellare queste distanze. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo, dal New Museum di New York al Palais de Tokyo di Parigi, e sono oggi presenti in alcune delle più prestigiose collezioni museali, dal LACMA di Los Angeles al MoMA di New York.
Mescolando un approccio site-specific con un’attitudine performativa, e alternando lavori storici con nuove produzioni e oggetti trovati, Abbandonare il locale nasce dalla volontà di dare una forma tangibile all’espressione no time no space, scelta come tema e titolo della nuova edizione di miart per rimarcare la volontà della fiera di allargare sempre di più i propri confini geografici e temporali. La scelta di un ufficio in disuso come luogo dell’esposizione sottolinea inoltre la curiosità e l’interesse da parte sia dell’artista che del curatore per gli spazi liminali e per i temi della transitorietà dell’impermanenza, evidente già dai primi lavori in mostra, come il progetto “Nostalgia” (2019) — in cui le fotografie dell’archivio digitale di Horvitz sono state trasformate in parole prima di venire cancellate definitivamente — o “I imagine I am looking into the eyes of someone looking at my eyes after my death” (2020), un autoritratto in cui l’artista immagina il futuro inafferrabile di una fotografia ed evoca l’impatto inconoscibile che ogni persona ha sulla vita degli altri.
Altri lavori qui presentati provano poi a complicare e sovvertire la nostra idea standardizzata di tempo — come nel caso dell’orologio manipolato di “A clock whose seconds are synchronized with your heartbeat” (2020) o della performance “Evidence of time travel” (2014), per la quale l’artista ha vissuto in Europa regolando la propria vita sul fuso orario della California. Un’altra poetica riflessione sul tema è offerta da “Lullaby for a landscape (Der Mond ist aufgegangen)” (2017), installazione che attraversa metà dello spazio espositivo e che lo spettatore è invitato a suonare, riproducendo una ninnananna ed evocando così il momento in cui ci si sta per addormentare: quando il tempo lineare lentamente si dissolve e immagini e ricordi perdono il loro ordine naturale.
Alcune opere tentano invece di scardinare confini e limiti spaziali, aprendo varchi verso nuove dimensioni. Ne sono un esempio “For Kiyoko” (2017), in cui Horvitz fotografa le stelle che immaginava sua nonna guardasse 75 anni prima dal campo di internamento giapponese in Colorado in cui era stata rinchiusa, oppure l’installazione “The Distance of a Day” (2013), in cui l’artista espone due video realizzati contemporaneamente da lui e da sua madre in California e alle Maldive, uno al sorgere e uno al tramontare del sole nella stessa giornata. Molte sono anche le finestre che si aprono sul futuro del nostro pianeta, come le riflessioni offerte da “Air de LA” (2020) e da “If you keep looking away there will soon be no other place to look” (2024), quest’ultima realizzata appositamente per la mostra, che rendono visibili e tangibili i segni del drammatico aumento di frequenza e intensità dei cambiamenti climatici.
Un ulteriore tema centrale rispetto al progetto è la rilettura dei codici, dell’etica e dell’estetica del luogo di lavoro, attraverso la creazione di immaginari alternativi e possibili vie d’uscita. Ad esempio, le bottigliette di plastica di “Imagined Clouds (Milan)” (2024) possono sembrare, nel contesto in cui si trovano, rifiuti abbandonati dopo una giornata di lavoro, ma offrono in realtà una riflessione sull’acqua come metafora dell’evasione — poiché passa dappertutto, non ha limiti e confini. Gioca invece sui cliché dello stress correlato all’attività lavorativa il progetto “Mood disorder” (2012): un autoscatto realizzato da Horvitz mentre ostenta uno stato di depressione che l’artista ha caricato sulla pagina di Wikipedia dedicata ai disturbi dell’umore (e che, in quanto libera da copyright, è stata per anni riutilizzata da siti di informazione, blog e riviste, circolando al di fuori del suo controllo).
Molte, infine, le opere che Horvitz ha realizzato appositamente per la mostra, come le due insegne neon che aprono e chiudono la mostra — “Abbandonare il locale” (2024) e “Abbandonare il tempo” (2024) — così come i segni dello smantellamento dell’ufficio — fori nei muri, cumuli di macerie, aperture nel soffitto— che sono stati integrati nel progetto finale. A rendere Abbandonare il locale ancora più attinente al luogo in cui ha lentamente preso forma vi è poi il progetto di allestimento e di illuminazione realizzato da SPECIFIC – laboratorio di progettazione e produzione creativa multidisciplinare formato da Patrick Tuttofuoco, Nic Bello, Alessandra Pallotta, Andrea Sala e Stefano D’Amelio – che ha lavorato nello spazio dando nuova vita elementi originali dell’edificio.
Mercoledì 19 giugno alle ore 18.30, sul palco del BiM Garden, Nicola Ricciardi e David Horvitz, discutono dei temi della mostra e a seguire invitano il pubblico ad una passeggiata tra le opere al 6° piano.
Abbandonare il locale è organizzata in collaborazione con BiM – Dove Bicocca incontra Milano, con il generoso sostegno di ChertLüdde, Berlino e il supporto di Neon-Art, Omega Microfusioni, OSLO FOODS e Variant3D.
David Horvitz (Los Angeles, 1982) è un artista concettuale americano la cui pratica abbraccia media e argomenti diversissimi. Ha studiato all'Università della California e alla Waseda University di Tokyo, e conseguito un MFA presso la Milton Avery Graduate School of the Arts del Bard College, New York, nel 2010. Tra le più recenti mostre personali figurano “Let Us Keep Our Own Noon”, a cura di Patrick Steffen, Centre Pompidou-Metz, Paris (2022); “lessons”, Nassauischer Kunstverein Wiesbaden, Wiesbaden (2021); “David Horvitz, une intervention à la Collection Lambert”, Musée d’Art Contemporain Avignon (2019); “The Shape of a Wave Inside of a Wave”, a cura di Sophie Kaplan, La Criée, Centre d’Art Contemporain, Rennes (2019). Il suo lavoro è stato inoltre presentato ed esposto in istituzioni quali come: High Line Art, New York; MoMA, New York; New Museum, New York; SF MOMA, San Francisco; Palais de Tokyo, Parigi; Pirelli HangarBicocca, Milano; Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, Vienna; S.M.A.K, Gent; The Israel Museum, Jerusalem; e Brooklyn Museum, New York, solo per citarne alcuni. L'artista è rappresentato da ChertLüdde, Berlino.
Nato a Los Angeles, dove vive e lavora, Horvitz utilizza una disparità di media – dalla fotografia alla performance, dai libri d’artista al suono, dalla gastronomia alla mail art – per riflettere sulla nostra comune idea di distanza tra luoghi, tempi e persone e per testare le possibilità di appropriarsi, indebolire o cancellare queste distanze. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo, dal New Museum di New York al Palais de Tokyo di Parigi, e sono oggi presenti in alcune delle più prestigiose collezioni museali, dal LACMA di Los Angeles al MoMA di New York.
Mescolando un approccio site-specific con un’attitudine performativa, e alternando lavori storici con nuove produzioni e oggetti trovati, Abbandonare il locale nasce dalla volontà di dare una forma tangibile all’espressione no time no space, scelta come tema e titolo della nuova edizione di miart per rimarcare la volontà della fiera di allargare sempre di più i propri confini geografici e temporali. La scelta di un ufficio in disuso come luogo dell’esposizione sottolinea inoltre la curiosità e l’interesse da parte sia dell’artista che del curatore per gli spazi liminali e per i temi della transitorietà dell’impermanenza, evidente già dai primi lavori in mostra, come il progetto “Nostalgia” (2019) — in cui le fotografie dell’archivio digitale di Horvitz sono state trasformate in parole prima di venire cancellate definitivamente — o “I imagine I am looking into the eyes of someone looking at my eyes after my death” (2020), un autoritratto in cui l’artista immagina il futuro inafferrabile di una fotografia ed evoca l’impatto inconoscibile che ogni persona ha sulla vita degli altri.
Altri lavori qui presentati provano poi a complicare e sovvertire la nostra idea standardizzata di tempo — come nel caso dell’orologio manipolato di “A clock whose seconds are synchronized with your heartbeat” (2020) o della performance “Evidence of time travel” (2014), per la quale l’artista ha vissuto in Europa regolando la propria vita sul fuso orario della California. Un’altra poetica riflessione sul tema è offerta da “Lullaby for a landscape (Der Mond ist aufgegangen)” (2017), installazione che attraversa metà dello spazio espositivo e che lo spettatore è invitato a suonare, riproducendo una ninnananna ed evocando così il momento in cui ci si sta per addormentare: quando il tempo lineare lentamente si dissolve e immagini e ricordi perdono il loro ordine naturale.
Alcune opere tentano invece di scardinare confini e limiti spaziali, aprendo varchi verso nuove dimensioni. Ne sono un esempio “For Kiyoko” (2017), in cui Horvitz fotografa le stelle che immaginava sua nonna guardasse 75 anni prima dal campo di internamento giapponese in Colorado in cui era stata rinchiusa, oppure l’installazione “The Distance of a Day” (2013), in cui l’artista espone due video realizzati contemporaneamente da lui e da sua madre in California e alle Maldive, uno al sorgere e uno al tramontare del sole nella stessa giornata. Molte sono anche le finestre che si aprono sul futuro del nostro pianeta, come le riflessioni offerte da “Air de LA” (2020) e da “If you keep looking away there will soon be no other place to look” (2024), quest’ultima realizzata appositamente per la mostra, che rendono visibili e tangibili i segni del drammatico aumento di frequenza e intensità dei cambiamenti climatici.
Un ulteriore tema centrale rispetto al progetto è la rilettura dei codici, dell’etica e dell’estetica del luogo di lavoro, attraverso la creazione di immaginari alternativi e possibili vie d’uscita. Ad esempio, le bottigliette di plastica di “Imagined Clouds (Milan)” (2024) possono sembrare, nel contesto in cui si trovano, rifiuti abbandonati dopo una giornata di lavoro, ma offrono in realtà una riflessione sull’acqua come metafora dell’evasione — poiché passa dappertutto, non ha limiti e confini. Gioca invece sui cliché dello stress correlato all’attività lavorativa il progetto “Mood disorder” (2012): un autoscatto realizzato da Horvitz mentre ostenta uno stato di depressione che l’artista ha caricato sulla pagina di Wikipedia dedicata ai disturbi dell’umore (e che, in quanto libera da copyright, è stata per anni riutilizzata da siti di informazione, blog e riviste, circolando al di fuori del suo controllo).
Molte, infine, le opere che Horvitz ha realizzato appositamente per la mostra, come le due insegne neon che aprono e chiudono la mostra — “Abbandonare il locale” (2024) e “Abbandonare il tempo” (2024) — così come i segni dello smantellamento dell’ufficio — fori nei muri, cumuli di macerie, aperture nel soffitto— che sono stati integrati nel progetto finale. A rendere Abbandonare il locale ancora più attinente al luogo in cui ha lentamente preso forma vi è poi il progetto di allestimento e di illuminazione realizzato da SPECIFIC – laboratorio di progettazione e produzione creativa multidisciplinare formato da Patrick Tuttofuoco, Nic Bello, Alessandra Pallotta, Andrea Sala e Stefano D’Amelio – che ha lavorato nello spazio dando nuova vita elementi originali dell’edificio.
Mercoledì 19 giugno alle ore 18.30, sul palco del BiM Garden, Nicola Ricciardi e David Horvitz, discutono dei temi della mostra e a seguire invitano il pubblico ad una passeggiata tra le opere al 6° piano.
Abbandonare il locale è organizzata in collaborazione con BiM – Dove Bicocca incontra Milano, con il generoso sostegno di ChertLüdde, Berlino e il supporto di Neon-Art, Omega Microfusioni, OSLO FOODS e Variant3D.
David Horvitz (Los Angeles, 1982) è un artista concettuale americano la cui pratica abbraccia media e argomenti diversissimi. Ha studiato all'Università della California e alla Waseda University di Tokyo, e conseguito un MFA presso la Milton Avery Graduate School of the Arts del Bard College, New York, nel 2010. Tra le più recenti mostre personali figurano “Let Us Keep Our Own Noon”, a cura di Patrick Steffen, Centre Pompidou-Metz, Paris (2022); “lessons”, Nassauischer Kunstverein Wiesbaden, Wiesbaden (2021); “David Horvitz, une intervention à la Collection Lambert”, Musée d’Art Contemporain Avignon (2019); “The Shape of a Wave Inside of a Wave”, a cura di Sophie Kaplan, La Criée, Centre d’Art Contemporain, Rennes (2019). Il suo lavoro è stato inoltre presentato ed esposto in istituzioni quali come: High Line Art, New York; MoMA, New York; New Museum, New York; SF MOMA, San Francisco; Palais de Tokyo, Parigi; Pirelli HangarBicocca, Milano; Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, Vienna; S.M.A.K, Gent; The Israel Museum, Jerusalem; e Brooklyn Museum, New York, solo per citarne alcuni. L'artista è rappresentato da ChertLüdde, Berlino.
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