Il design italiano incontra il gioiello
Dal 03 Luglio 2013 al 08 Settembre 2013
Milano
Luogo: Triennale di Milano
Indirizzo: viale Alemagna 6
Orari: da martedì a domenica 10.30-20.30
Curatori: Alba Cappellieri, Marco Romanelli
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 72434241
E-Mail info: damiano.gulli@triennale.org
Sito ufficiale: http://www.triennale.it/it/
Triennale Design Museum presenta un’ampia rassegna dedicata al gioiello dei designer italiani.
La mostra percorre un arco temporale che va dagli anni Cinquanta a oggi, attraversa stili e momenti differenti, dal Razionalismo al Post Moderno fino al Minimalismo: un percorso con salti generazionali che includono grandi maestri e giovani designer, produzione industriale e pezzi unici.
L’ipotesi curatoriale si compone di due parti: una rassegna storica con numerosi progetti inediti presentati per la prima volta a Milano e una sezione con gioielli progettati e realizzati ad hoc per la mostra.
Afferma Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum: ”Fin dagli anni Trenta del secolo scorso la storia della Triennale di Milano è densa di episodi emblematici e intelligentemente precursori nel rivendicare un rapporto non convenzionale del design con l’oreficeria e, soprattutto, con la gioielleria. Riprendendo questa grande tradizione, Triennale Design Museum ha reintrodotto con la mostra Il Design della Gioia, nel 2004, una particolare attenzione al tema del gioiello, negli anni successivi di nuovo protagonista nella sezione dedicata ai jewels designer in The New Italian Design (mostra itinerante dal 2007 a oggi), e nelle mostre Gioielli di Carta (2009), Gioielli per Milano (2011) fino a Il gioiello sostenibile di Riccardo Dalisi (2012). Per lungo tempo il mondo del design ha fatto finta di non vedere i gioielli.
Li ha relegati nel limbo dell’ornamento o nella gratuità del decoro, e li ha espunti da sé e dal proprio universo progettuale come tentazioni pericolose, come deviazioni eretiche, come indizi di quella ‘delittuosità’ che Adolf Loos denunciava in ogni deragliamento del designer verso la sfera dell’ornamentale, del superfluo, dell’orpello. In realtà, se il gioiello serve (ed è servito storicamente) a definire l’identità di chi lo indossa, risulta molto discutibile il tentativo di relegarlo nella sfera del superfluo, a meno di non ritenere tutto ciò che è funzionale alla costruzione dell’identità meno utile o meno nobile di ciò che è funzionale al soddisfacimento dei bisogni “primari” del corpo. Di quello stesso corpo, per altro, che oltre a nutrirsi, sedersi, dormire e abitare da sempre fa progetti intorno a sé e alla propria immagine, e trova spesso proprio nei gioielli alcuni dei vocaboli più preziosi per costruire un linguaggio con cui cercare di dirci cos’è, cosa vorrebbe essere, come vorrebbe apparire”.
Per la curatrice Alba Cappellieri, professore di Design del Gioiello al Politecnico di Milano “Questa mostra presenta la più ampia rassegna mai dedicata ai gioielli dei designer italiani, progettisti cioè abituati a confrontarsi con tipologie che vanno dall’arredo all’illuminazione ma che non hanno mai considerato il gioiello come una sfida in cui cimentarsi. Certo, i padri del design italiano progettarono anche gioielli ma ciò avvenne nel privato degli affetti, come doni per familiari e amici e non come ambito di ricerca professionale. Da Roberto Sambonet a Ettore Sottsass e Michele de Lucchi, da Gianfranco Frattini, Sergio Asti, Alessandro Mendini o Gae Aulenti fino a Mario Bellini, Antonio Citterio, Fabio Novembre questa mostra interseca generazioni e linguaggi, maestri e giovani talenti nel segno del gioiello. La mostra presenta 72 designer che definiscono l’intelligenza del design italiano in un gioiello. Al centro del progetto vi è l’uomo, il rispetto della sua anatomia, la preferenza per il comfort piuttosto che per lo choc, l’evoluzione piuttosto che la rivoluzione, la bellezza e la qualità piuttosto che l’astrazione o il concetto. I gioielli, con il loro pluralismo semantico, rappresentano in questo scenario la perfetta intersezione tra eterno ed effimero, materia e concetto, tradizione e sperimentazione, business e bellezza”.
Per il curatore Marco Romanelli, designer e critico del design: “Tra i molti pezzi presentati, che cercano di costituire un vero censimento dei rapporti intercorsi tra il mondo del gioiello e quello del design italiano tra il 1950 e il 2013, ve ne sono diciotto disegnati espressamente in occasione di questa mostra. L’‘invito a progettare’ appare uno strumento necessario sia per sbloccare situazioni inerziali stereotipate che per scattare un’istantanea in tempo reale di un certo ambito. Nel caso specifico entrambe le ipotesi sono valide. La prima perché oggi, esattamente come nel 1979 o nel 1985 (date di altre importanti ‘chiamate progettuali’ ad architetti o designer relativamente al gioiello), la situazione non appare sostanzialmente modificata: i due mondi, il design e il gioiello, restano, come erano, lontani: ignari uno dell’altro.
La seconda perché solo l’invito, nel suo essere mirato, consente di riempire un campo di cui si sono delimitati a priori, scientemente, i contorni: volevamo appunto verificare una situazione molto specifica ovvero la posizione del design italiano nei confronti del gioiello. Abbiamo così deciso di selezionare 18 progettisti che rispondessero ad alcune precise condizioni: essere italiani, appartenere a generazioni differenti, operare come designer a 360°. Se le prime due condizioni sono chiare per default, la terza significa ‘rinunciare agli specialisti’ ovvero a ai jewellery designer. Niente di personale naturalmente contro i “professionisti” del gioiello, ma “applicarsi a tutte le scale progettuali” è una dimensione tipicamente italiana che credo abbia storicamente avuto, e possa ancora avere, una grande rilevanza”.
La mostra percorre un arco temporale che va dagli anni Cinquanta a oggi, attraversa stili e momenti differenti, dal Razionalismo al Post Moderno fino al Minimalismo: un percorso con salti generazionali che includono grandi maestri e giovani designer, produzione industriale e pezzi unici.
L’ipotesi curatoriale si compone di due parti: una rassegna storica con numerosi progetti inediti presentati per la prima volta a Milano e una sezione con gioielli progettati e realizzati ad hoc per la mostra.
Afferma Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum: ”Fin dagli anni Trenta del secolo scorso la storia della Triennale di Milano è densa di episodi emblematici e intelligentemente precursori nel rivendicare un rapporto non convenzionale del design con l’oreficeria e, soprattutto, con la gioielleria. Riprendendo questa grande tradizione, Triennale Design Museum ha reintrodotto con la mostra Il Design della Gioia, nel 2004, una particolare attenzione al tema del gioiello, negli anni successivi di nuovo protagonista nella sezione dedicata ai jewels designer in The New Italian Design (mostra itinerante dal 2007 a oggi), e nelle mostre Gioielli di Carta (2009), Gioielli per Milano (2011) fino a Il gioiello sostenibile di Riccardo Dalisi (2012). Per lungo tempo il mondo del design ha fatto finta di non vedere i gioielli.
Li ha relegati nel limbo dell’ornamento o nella gratuità del decoro, e li ha espunti da sé e dal proprio universo progettuale come tentazioni pericolose, come deviazioni eretiche, come indizi di quella ‘delittuosità’ che Adolf Loos denunciava in ogni deragliamento del designer verso la sfera dell’ornamentale, del superfluo, dell’orpello. In realtà, se il gioiello serve (ed è servito storicamente) a definire l’identità di chi lo indossa, risulta molto discutibile il tentativo di relegarlo nella sfera del superfluo, a meno di non ritenere tutto ciò che è funzionale alla costruzione dell’identità meno utile o meno nobile di ciò che è funzionale al soddisfacimento dei bisogni “primari” del corpo. Di quello stesso corpo, per altro, che oltre a nutrirsi, sedersi, dormire e abitare da sempre fa progetti intorno a sé e alla propria immagine, e trova spesso proprio nei gioielli alcuni dei vocaboli più preziosi per costruire un linguaggio con cui cercare di dirci cos’è, cosa vorrebbe essere, come vorrebbe apparire”.
Per la curatrice Alba Cappellieri, professore di Design del Gioiello al Politecnico di Milano “Questa mostra presenta la più ampia rassegna mai dedicata ai gioielli dei designer italiani, progettisti cioè abituati a confrontarsi con tipologie che vanno dall’arredo all’illuminazione ma che non hanno mai considerato il gioiello come una sfida in cui cimentarsi. Certo, i padri del design italiano progettarono anche gioielli ma ciò avvenne nel privato degli affetti, come doni per familiari e amici e non come ambito di ricerca professionale. Da Roberto Sambonet a Ettore Sottsass e Michele de Lucchi, da Gianfranco Frattini, Sergio Asti, Alessandro Mendini o Gae Aulenti fino a Mario Bellini, Antonio Citterio, Fabio Novembre questa mostra interseca generazioni e linguaggi, maestri e giovani talenti nel segno del gioiello. La mostra presenta 72 designer che definiscono l’intelligenza del design italiano in un gioiello. Al centro del progetto vi è l’uomo, il rispetto della sua anatomia, la preferenza per il comfort piuttosto che per lo choc, l’evoluzione piuttosto che la rivoluzione, la bellezza e la qualità piuttosto che l’astrazione o il concetto. I gioielli, con il loro pluralismo semantico, rappresentano in questo scenario la perfetta intersezione tra eterno ed effimero, materia e concetto, tradizione e sperimentazione, business e bellezza”.
Per il curatore Marco Romanelli, designer e critico del design: “Tra i molti pezzi presentati, che cercano di costituire un vero censimento dei rapporti intercorsi tra il mondo del gioiello e quello del design italiano tra il 1950 e il 2013, ve ne sono diciotto disegnati espressamente in occasione di questa mostra. L’‘invito a progettare’ appare uno strumento necessario sia per sbloccare situazioni inerziali stereotipate che per scattare un’istantanea in tempo reale di un certo ambito. Nel caso specifico entrambe le ipotesi sono valide. La prima perché oggi, esattamente come nel 1979 o nel 1985 (date di altre importanti ‘chiamate progettuali’ ad architetti o designer relativamente al gioiello), la situazione non appare sostanzialmente modificata: i due mondi, il design e il gioiello, restano, come erano, lontani: ignari uno dell’altro.
La seconda perché solo l’invito, nel suo essere mirato, consente di riempire un campo di cui si sono delimitati a priori, scientemente, i contorni: volevamo appunto verificare una situazione molto specifica ovvero la posizione del design italiano nei confronti del gioiello. Abbiamo così deciso di selezionare 18 progettisti che rispondessero ad alcune precise condizioni: essere italiani, appartenere a generazioni differenti, operare come designer a 360°. Se le prime due condizioni sono chiare per default, la terza significa ‘rinunciare agli specialisti’ ovvero a ai jewellery designer. Niente di personale naturalmente contro i “professionisti” del gioiello, ma “applicarsi a tutte le scale progettuali” è una dimensione tipicamente italiana che credo abbia storicamente avuto, e possa ancora avere, una grande rilevanza”.
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