Xu Hong Fei Incontra Giovanni Fattori allo Studio Bolzani
Dal 20 Dicembre 2014 al 23 Dicembre 2014
Milano
Luogo: Studio Bolzani
Indirizzo: Galleria Strasburgo 3
Telefono per informazioni: +39 02 76001335
E-Mail info: studiobolzani@libero.it
Sito ufficiale: http://www.studiobolzani.com
Studio Bolzani presenta, come in un salotto, Disegni e Sculture di Xu Hong Fei , in un dialogo immaginario con i disegni di Giovanni Fattori, nei giorni 20 -21-22-23 dicembre.
Le opere resteranno esposte fino al 15 Gennaio 2015.
Giovanni Fattori e Xu Hong Fei si incontrano all’ora del tè
Gli appunti figurali nati dalla matita fulminea ed esatta di Giovanni Fattori, cronista d’eccezione del conflitto bellico risorgimentale, e i disegni dello scultore cinese Xu Hong Fei, si sono dati appuntamento all’ora del tè presso Studio Bolzani a Milano. Immaginario è il dialogo tra i due autori, ma concreto è quello tra le loro opere. Saranno i convenuti a dar loro voce attraverso il proprio sguardo, le proprie impressioni e riflessioni, nell’atmosfera più piacevole e distesa che un piccolo rito possa contemplare.
L’abitudine più british che l’Europa conosca, quella del tè pomeridiano, è di origine orientale. Dalle foglie di tè i Cinesi trassero non solo una bevanda tonificante, ma una cerimonia, un rito: qualcosa cioè che dà valore, in questo caso allo stare insieme, alla convivialità.
Studio Bolzani ospita le opere di Giovanni Fattori e Xu Hong Fei nel proprio spazio espositivo che da sempre è luogo di incontro, salotto, occasione di scambio di idee, affinché attraverso le loro differenze espressive, dialoghino a partire da ciò che è loro comune: il disegno. Soltanto guardandone i lavori, si coglie con immediatezza un denotante tratto in comune, quello della figuratività. Se la cosa ci appare piuttosto scontata per Fattori, appartenuto a un’epoca storica in cui le Avanguardie artistiche europee si affacciavano impetuose per sconvolgere i canoni pittorici e scultorei della tradizione, non lo è affatto per Xu Hong Fei che appartiene al nostro oggi, quando l’arte è quasi senza opera. Virtualità, installazioni, digitalizzazione, stanno facendo svaporare corpo e figura dall’orizzonte della fruizione estetica.
Le Avanguardie in Cina si sono affermate a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, con l’intento di riappropriarsi di valori culturali identitari di un popolo cui la Rivoluzione culturale, nella sua spietatezza ed efferatezza, li aveva semplicemente repressi, cancellati, ammutoliti. Prima di questi ultimi decenni, l’arte cinese poteva essere soltanto propagandistica rispetto al regime, con le caratteristiche descrittivo-realistiche che ogni espressività riporta come una cicatrice quando è spiata e sfruttata da un governo dispotico. Liberatasi da quel giogo per volontà degli artisti prima ancora che per effettive concessioni politiche, l’arte si è però affrettata a “occidentalizzarsi” alla ricerca di un mondo comune, non del proprio, a rincorrere le mode e le tendenze seppur con virtuosismo a volte, indugiando nel feticismo Pop, nella fotografia pittorica, nel Cartoon e nel Neo- conceptual.
Hongfei, invece, è perfettamente consapevole di appartenere a una cultura e a una tradizione grandiose, plurimillenarie, e senza citazionismi nostalgici dei tempi antichi e arcaici, li riassume in sé e letteralmente dà corpo alla propria identità, non solo personale, ma anche civile, antropologica, in una parola: culturale.
L’autore parte dal corpo, dalla figura del corpo considerato nel suo occupare una porzione di spazio, nella sua datità inaggirabile, nella materialità, nel suo volume. Lo ingrandisce, lo arrotonda con tratti curvilinei decisi e nitidi, a volte insistiti, a definire la morbidezza, la maestosità insieme alla dolcezza, l’accoglienza insieme all’imponenza, di corpi femminili in movimento. La dinamicità per Hongfei è sempre affiorante, anche nelle figure assise o sdraiate. Un gomito che si alza svelando l’incavo ascellare e la lieve asimmetria dei seni, un ginocchio piegato, la chioma sciolta che ha appena finito di ondeggiare sulle spalle, le anche che giocano di chiasmo con l’assetto del busto, sono il movimento sotteso, accennato, bisbigliato, che verrà amplificato nel vociare gioioso delle bambine con le trecce al vento mentre saltano felici oltre la schiena di una florida donna flessa, disponibile a farsi gioco senza niente altro che se stessa.
Simbolo universale ed eterno della generatività, la donna è scelta dall’artista per alludere alla creazione, sempre inesausta dell’arte, alla rinascita del proprio mondo dentro il mondo tutto, in armonia e non in opposizione con altre etnie, Stati e tradizioni.
I soggetti femminili di Hongfei sono pacatamente immersi in un paesaggio interiore di calma assaporata, a palpebre chiuse, o radiosamente sorridenti. Ridono anzi a volte, vivacissime, apertamente, sfrecciano con la gonnellina corta a piedi nudi su una bicicletta nata per trasportare eserciti di operai al lavoro, e rinata per far scoprire velocità, ebbrezza, vento sul viso e destinazioni scelte, non obbligate. Richiamano con l’immediatezza più spigliata l’importanza della leggerezza d’animo, della piacevolezza e del gusto nell’intraprendere anche le imprese e i compiti più ardui. Lao Zi, antico esponente del sorgente confucianesimo cinese, scriveva che “reggere un grande Stato è come friggere i pesciolini”, alludendo al fatto che intervenendo con manovre incaute la minuta pietanza si romperebbe, si guasterebbe.
Ancora, le donne siedono rilassate su una panchina incrociando la gamba come gli uomini, senza perdere di grazia e spontaneità, di gaiezza e convivialità a causa della disinvoltura della posa. Al pieno del proprio corpo si affianca la presenza più importante: quella del vuoto. ? lo spazio lasciato libero per gli altri, per noi, se vorremo accomodarci e dividere pensieri e silenzi, anche quelli che ci inquietano sulle prime, cui non siamo più abituati.
Giovanni Fattori non ha esitato. Sono assortamente silenziosi i suoi paesaggi minuti e accennati, i campanili che pungono la densità di un cielo fiordaliso, i taciturni musi dei cavalli obbedienti che non nitriscono, le sagome di soldati assiepati che parlano, tacendo, la lingua eloquente dei ricordi.
Cristina Muccioli
Le opere resteranno esposte fino al 15 Gennaio 2015.
Giovanni Fattori e Xu Hong Fei si incontrano all’ora del tè
Gli appunti figurali nati dalla matita fulminea ed esatta di Giovanni Fattori, cronista d’eccezione del conflitto bellico risorgimentale, e i disegni dello scultore cinese Xu Hong Fei, si sono dati appuntamento all’ora del tè presso Studio Bolzani a Milano. Immaginario è il dialogo tra i due autori, ma concreto è quello tra le loro opere. Saranno i convenuti a dar loro voce attraverso il proprio sguardo, le proprie impressioni e riflessioni, nell’atmosfera più piacevole e distesa che un piccolo rito possa contemplare.
L’abitudine più british che l’Europa conosca, quella del tè pomeridiano, è di origine orientale. Dalle foglie di tè i Cinesi trassero non solo una bevanda tonificante, ma una cerimonia, un rito: qualcosa cioè che dà valore, in questo caso allo stare insieme, alla convivialità.
Studio Bolzani ospita le opere di Giovanni Fattori e Xu Hong Fei nel proprio spazio espositivo che da sempre è luogo di incontro, salotto, occasione di scambio di idee, affinché attraverso le loro differenze espressive, dialoghino a partire da ciò che è loro comune: il disegno. Soltanto guardandone i lavori, si coglie con immediatezza un denotante tratto in comune, quello della figuratività. Se la cosa ci appare piuttosto scontata per Fattori, appartenuto a un’epoca storica in cui le Avanguardie artistiche europee si affacciavano impetuose per sconvolgere i canoni pittorici e scultorei della tradizione, non lo è affatto per Xu Hong Fei che appartiene al nostro oggi, quando l’arte è quasi senza opera. Virtualità, installazioni, digitalizzazione, stanno facendo svaporare corpo e figura dall’orizzonte della fruizione estetica.
Le Avanguardie in Cina si sono affermate a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, con l’intento di riappropriarsi di valori culturali identitari di un popolo cui la Rivoluzione culturale, nella sua spietatezza ed efferatezza, li aveva semplicemente repressi, cancellati, ammutoliti. Prima di questi ultimi decenni, l’arte cinese poteva essere soltanto propagandistica rispetto al regime, con le caratteristiche descrittivo-realistiche che ogni espressività riporta come una cicatrice quando è spiata e sfruttata da un governo dispotico. Liberatasi da quel giogo per volontà degli artisti prima ancora che per effettive concessioni politiche, l’arte si è però affrettata a “occidentalizzarsi” alla ricerca di un mondo comune, non del proprio, a rincorrere le mode e le tendenze seppur con virtuosismo a volte, indugiando nel feticismo Pop, nella fotografia pittorica, nel Cartoon e nel Neo- conceptual.
Hongfei, invece, è perfettamente consapevole di appartenere a una cultura e a una tradizione grandiose, plurimillenarie, e senza citazionismi nostalgici dei tempi antichi e arcaici, li riassume in sé e letteralmente dà corpo alla propria identità, non solo personale, ma anche civile, antropologica, in una parola: culturale.
L’autore parte dal corpo, dalla figura del corpo considerato nel suo occupare una porzione di spazio, nella sua datità inaggirabile, nella materialità, nel suo volume. Lo ingrandisce, lo arrotonda con tratti curvilinei decisi e nitidi, a volte insistiti, a definire la morbidezza, la maestosità insieme alla dolcezza, l’accoglienza insieme all’imponenza, di corpi femminili in movimento. La dinamicità per Hongfei è sempre affiorante, anche nelle figure assise o sdraiate. Un gomito che si alza svelando l’incavo ascellare e la lieve asimmetria dei seni, un ginocchio piegato, la chioma sciolta che ha appena finito di ondeggiare sulle spalle, le anche che giocano di chiasmo con l’assetto del busto, sono il movimento sotteso, accennato, bisbigliato, che verrà amplificato nel vociare gioioso delle bambine con le trecce al vento mentre saltano felici oltre la schiena di una florida donna flessa, disponibile a farsi gioco senza niente altro che se stessa.
Simbolo universale ed eterno della generatività, la donna è scelta dall’artista per alludere alla creazione, sempre inesausta dell’arte, alla rinascita del proprio mondo dentro il mondo tutto, in armonia e non in opposizione con altre etnie, Stati e tradizioni.
I soggetti femminili di Hongfei sono pacatamente immersi in un paesaggio interiore di calma assaporata, a palpebre chiuse, o radiosamente sorridenti. Ridono anzi a volte, vivacissime, apertamente, sfrecciano con la gonnellina corta a piedi nudi su una bicicletta nata per trasportare eserciti di operai al lavoro, e rinata per far scoprire velocità, ebbrezza, vento sul viso e destinazioni scelte, non obbligate. Richiamano con l’immediatezza più spigliata l’importanza della leggerezza d’animo, della piacevolezza e del gusto nell’intraprendere anche le imprese e i compiti più ardui. Lao Zi, antico esponente del sorgente confucianesimo cinese, scriveva che “reggere un grande Stato è come friggere i pesciolini”, alludendo al fatto che intervenendo con manovre incaute la minuta pietanza si romperebbe, si guasterebbe.
Ancora, le donne siedono rilassate su una panchina incrociando la gamba come gli uomini, senza perdere di grazia e spontaneità, di gaiezza e convivialità a causa della disinvoltura della posa. Al pieno del proprio corpo si affianca la presenza più importante: quella del vuoto. ? lo spazio lasciato libero per gli altri, per noi, se vorremo accomodarci e dividere pensieri e silenzi, anche quelli che ci inquietano sulle prime, cui non siamo più abituati.
Giovanni Fattori non ha esitato. Sono assortamente silenziosi i suoi paesaggi minuti e accennati, i campanili che pungono la densità di un cielo fiordaliso, i taciturni musi dei cavalli obbedienti che non nitriscono, le sagome di soldati assiepati che parlano, tacendo, la lingua eloquente dei ricordi.
Cristina Muccioli
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