Aniello Barone. Paesaggio
Dal 16 Marzo 2013 al 10 Aprile 2013
Napoli
Luogo: Nea Artgallery
Indirizzo: via Costantinopoli 53
Orari: da lunedì a sabato 10-13/ 14-19
Curatori: Pasquale Lettieri
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 081 451358/ 335 240465
E-Mail info: info@spazionea.it
Sito ufficiale: http://www.spazionea.it
Tra i più stimati fotografi italiani, Aniello Barone ha sviluppato negli anni una personale visione su territori marginali, realtà immerse in un problematico degrado al centro da sempre di progetti di riqualificazione urbana e territoriale. Fanno parte di questa ricerca fotografica anche i mostruosi cumuli di immondizia che hanno trasformato, negli ultimi decenni, il paesaggio dell'hinterland napoletano e casertano e che adesso sono il filo conduttore degli scatti che saranno esposti dal 15 marzo (vernissage ore 18.30) al 10 aprile 2013 allo Spazio Nea di Napoli. Con Paesaggio, questo il titolo della mostra curata da Pasquale Lettieri e allestita da Tonino Di Ronza, terzo appuntamento del progetto espositivo ed editoriale (Iemme Edizioni) Pelle & Pellicola, il fotografo partenopeo, classe 1965, svela nei contrasti tra il bianco e il nero e nelle sfumature di grigio dei suoi lavori e nella scelta del soggetto il suo intimo bisogno di confrontarsi con una realtà complessa, documentandola e allo stesso modo contemplandola emotivamente.
Barone può essere considerato tra gli eredi di una grande tradizione di reporter, che hanno raccontato Napoli e il Sud oltre lo stereotipo. È un sostenitore della necessità della ricerca sociale, fondamento culturale della creatività, da unire a un percorso di profonda riscoperta del linguaggio fotografico. L'arte di raccontare per immagini deve, infatti, “pagare” sempre l’onere di un doppio registro, che comporta ora primato della forma, ora primato del contenuto, in una escursione perenne tra teoria e prassi, tra linguistica generale del mezzo e concreta manifestazione fenomenica, “costringendo” sia ad una contemplazione estetica, sia ad una interpretazione filologica. Aniello Barone, che è sempre al limite di una composta spregiudicatezza, parla di rigore, di scelta, che metropolitane, di astrazioni e figurazioni date dalle misure della distanza. L'artista sposta l’asse della visione fotografica sempre più verso una connotazione inquietante, facendo recitare al suo paesaggio ed agli inconsapevoli protagonisti umani (compresi gli spettatori), una parte febbrile: proprio quando sembra non succedere niente e tutto è sospeso in una dimensione spaziale e temporale fissa, ecco che il non accadere diventa il suo esatto contrario. Avviene così che questa idea sociale della visibilità, in cui il fotografo si gioca il tutto per tutto, diventi un affascinante contenitore di cose del caso, di robe vecchie, sottratte alla morte o alla discarica e messi in un nuovo circolo arterioso, dando una indicazione di civiltà, sulla durata e sull’ordine delle cose, che non è neutralità nei confronti degli accadimenti, ma una presa di posizione dell’arte sull’espressione e sulla comunicazione, sull’individualità e sulla speranza, facendo della disperazione l’extrema ratio, una leva, per far nascere un’idea, per generare un progetto.
Barone può essere considerato tra gli eredi di una grande tradizione di reporter, che hanno raccontato Napoli e il Sud oltre lo stereotipo. È un sostenitore della necessità della ricerca sociale, fondamento culturale della creatività, da unire a un percorso di profonda riscoperta del linguaggio fotografico. L'arte di raccontare per immagini deve, infatti, “pagare” sempre l’onere di un doppio registro, che comporta ora primato della forma, ora primato del contenuto, in una escursione perenne tra teoria e prassi, tra linguistica generale del mezzo e concreta manifestazione fenomenica, “costringendo” sia ad una contemplazione estetica, sia ad una interpretazione filologica. Aniello Barone, che è sempre al limite di una composta spregiudicatezza, parla di rigore, di scelta, che metropolitane, di astrazioni e figurazioni date dalle misure della distanza. L'artista sposta l’asse della visione fotografica sempre più verso una connotazione inquietante, facendo recitare al suo paesaggio ed agli inconsapevoli protagonisti umani (compresi gli spettatori), una parte febbrile: proprio quando sembra non succedere niente e tutto è sospeso in una dimensione spaziale e temporale fissa, ecco che il non accadere diventa il suo esatto contrario. Avviene così che questa idea sociale della visibilità, in cui il fotografo si gioca il tutto per tutto, diventi un affascinante contenitore di cose del caso, di robe vecchie, sottratte alla morte o alla discarica e messi in un nuovo circolo arterioso, dando una indicazione di civiltà, sulla durata e sull’ordine delle cose, che non è neutralità nei confronti degli accadimenti, ma una presa di posizione dell’arte sull’espressione e sulla comunicazione, sull’individualità e sulla speranza, facendo della disperazione l’extrema ratio, una leva, per far nascere un’idea, per generare un progetto.
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