Un presepe di carta del ‘700. Le figurine dipinte da Vito D’Anna, Collezione Burgio
Dal 21 Dicembre 2012 al 31 Gennaio 2013
Palermo
Luogo: Palazzo Ajutamicristo
Indirizzo: via Garibaldi 41
Orari: da martedì a sabato 9-17.30; domenica e festivi 9-13
Enti promotori:
- Soprintendenza per i Beni culturali di Palermo
- Credito Siciliano
Telefono per informazioni: +39 091 7071232/ 404
E-Mail info: licata.filippo@creval.it
La Soprintendenza per i Beni culturali di Palermo, in collaborazione con il Credito Siciliano, in occasione del Natale 2012 cura l’esposizione di una delle più singolari e affascinanti creazioni del ‘700 artistico palermitano: il presepe in cartone dipinto, forte di circa 200 pezzi, realizzato dal pittore Vito D’Anna (1718-1769) per un committente ignoto, lasciato alla sua morte ai padri Filippini dell’Olivella, passato con la soppressione degli ordini religiosi del 1866 alla famiglia Mazzarino e infine acquistato nel 1966, in una celebre asta, dall’antiquario Nicolò Burgio, alla cui famiglia oggi appartiene.
Il Presepe di D’Anna non viene mostrato al pubblico, nella sua interezza, da molti anni: l’esposizione più recente risale al 1994.
Oltre che una straordinaria opera in miniatura di un artista che coi suoi vasti affreschi decorò nel XVIII secolo numerose chiese e palazzi di Palermo improntando del suo stile tutta un’epoca; oltre che una rarità assoluta nel ‘700 europeo, che conobbe presepi di carta dipinti e ritagliati solo in ambito popolare; il Presepe di D’Anna costituisce un affascinante documento della vita del tempo, in quanto – eccettuate le figure sacre e gli angeli baroccheggianti – tutti i numerosissimi personaggi sono rappresentati, con vivacità e accuratezza, in costume settecentesco.
È presumibile che un capitolo della storia dell’arte siciliana debba essere riscritto a proposito di Vito D’Anna e del suo presepe dipinto. Il pittore (1718-1769), già ricordato per l’alunnato presso Pietro Paolo Vasta e per il viaggio a Roma presso il Giaquinto, da cui apprende la levità della pittura rococò, desumendovi anche la lezione classicista del Maratta, che esplicherà nella sua pittura sacra, esprime nel suo presepe dipinto un mondo tutto nuovo, laico e naturalistico, pittoresco e popolareggiante, che, nella mancanza di un simile genere di pittura in ambito isolano, apre nuovi scenari storico-artistici. Nuove istanze culturali infatti si colgono nell’iter del pittore palermitano, probabilmente apprese durante il suo soggiorno romano, che si delinea quindi più variegato e produttivo di quello che finora si supponeva. Una probabile desunzione dalla pittura dei Bamboccianti, per le scene di genere e di costume, sebbene riplasmate con una eleganza di tocco tutta settecentesca; una rimeditazione sui bolognesi seicenteschi presenti a Roma, per il naturalismo con cui delinea magistralmente animali e vegetazione, di lontana ascendenza fiammingo-olandese; ma pure una adesione al paesaggio classico e idealizzato, quale si poteva scorgere ad esempio nella lunetta Aldobrandini di Annibale Carracci, e ancora quel gusto proto-romantico per i monumenti classici e le rovine che si andava elaborando nella stessa capitale e che avrebbe portato di lì a poco alle invenzioni fantastiche di Piranesi.
Il tutto uniformato e come filtrato dal clima galante e ameno delle pastorellerie arcadiche alla Watteau, che mantiene il tutto nel registro di un’arte colta e raffinata, impedendole di scadere nel genere.
Il presepe del D’Anna, eseguito a tempera su cartoncino sagomato e ritagliato, con delicate e trasparenti tinte pastello, che doveva rendere nella bidimensionalità della pittura ciò che la tradizione presepiale siciliana e meridionale in genere, ha da sempre reso nella tridimensionalità della plastica e della statuaria, presenta, oltre alle figure sacre principali e agli angeli baroccheggianti, un vero repertorio di mestieri – dalla venditrice d’uova alla filatrice, dai pastori ai taglialegna, dai venditori di frutta ai cacciatori; di suonatori di strumenti musicali – il doppio flauto,la tromba, il flauto, la zampogna; di costumi inevitabilmente settecenteschi – i gilet e le marsine di personaggi regali e paggi, i corpetti stringati e le gonne delle popolane, o le bardature gallonate e frangiate dei cavalli e gli oggetti preziosi dei Magi. E ancora ricchissimo è il repertorio di animali, delineati con sorprendente maestria - dalle pecore ai cinghiali, dai cani alle capre, dai cavalli ai cammelli, dalle mucche ai maiali. Il tutto realizzato con una levità di tocco e una grazia, che apriranno la via alla pittura di paesaggio e di costume di Alessandro D’Anna, suo possibile collaboratore nel presepe, la cui ideazione e orchestrazione però, come avveniva per le grandi imprese decorative, va addebitata interamente a Vito.
L’opera, composta da alcune centinaia di pezzi di diverse dimensioni, che dovevano variamente articolarsi a seconda dello spazio a disposizione, rientra certo nell’attività matura del pittore palermitano, il più richiesto frescante delle famiglie nobiliari del suo tempo, nonché degli ordini religiosi palermitani, che ora si rivela anche un perfetto e inaspettato scenografo. È ricordata già dal contemporaneo p. Fedele da S. Biagio per la sua originalità: “per Paesista ed Architetto si distinse in uno devotissimo suo capriccio pittoresco di due presepi, che volle inventare di nuova idea, dei quali alla sua morte divennero padroni i pp. Filippini dell’Olivella. Uno rappresenta la Nascita nella Grotta di Betlemme del commun Redentore; e l’altro li tre Re magi nella città di Gerusalemme, avanti al magnifico palazzo del re Erode…” La credenza che si trattasse di due presepi si spiega forse col fatto che le figure sacre sono talora ripetute, per rappresentare le varie fasi della Natività.
Esso passò poi dalla casa dei pp. Filippini dell’Olivella, sua sede originaria, a palazzo Mazzarino, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi (1866); quindi nel 1966 fu acquistata all’asta in massima parte dall’antiquario Nicolò Burgio. Altre parti finirono a G. Lanza Tomasi e a R. Piraino.
Esso è stato studiato e parzialmente pubblicato da Maria Concetta Di Natale nel 1994, in occasione della mostra “Il Natale nel presepe artistico”.
Il Presepe di D’Anna non viene mostrato al pubblico, nella sua interezza, da molti anni: l’esposizione più recente risale al 1994.
Oltre che una straordinaria opera in miniatura di un artista che coi suoi vasti affreschi decorò nel XVIII secolo numerose chiese e palazzi di Palermo improntando del suo stile tutta un’epoca; oltre che una rarità assoluta nel ‘700 europeo, che conobbe presepi di carta dipinti e ritagliati solo in ambito popolare; il Presepe di D’Anna costituisce un affascinante documento della vita del tempo, in quanto – eccettuate le figure sacre e gli angeli baroccheggianti – tutti i numerosissimi personaggi sono rappresentati, con vivacità e accuratezza, in costume settecentesco.
È presumibile che un capitolo della storia dell’arte siciliana debba essere riscritto a proposito di Vito D’Anna e del suo presepe dipinto. Il pittore (1718-1769), già ricordato per l’alunnato presso Pietro Paolo Vasta e per il viaggio a Roma presso il Giaquinto, da cui apprende la levità della pittura rococò, desumendovi anche la lezione classicista del Maratta, che esplicherà nella sua pittura sacra, esprime nel suo presepe dipinto un mondo tutto nuovo, laico e naturalistico, pittoresco e popolareggiante, che, nella mancanza di un simile genere di pittura in ambito isolano, apre nuovi scenari storico-artistici. Nuove istanze culturali infatti si colgono nell’iter del pittore palermitano, probabilmente apprese durante il suo soggiorno romano, che si delinea quindi più variegato e produttivo di quello che finora si supponeva. Una probabile desunzione dalla pittura dei Bamboccianti, per le scene di genere e di costume, sebbene riplasmate con una eleganza di tocco tutta settecentesca; una rimeditazione sui bolognesi seicenteschi presenti a Roma, per il naturalismo con cui delinea magistralmente animali e vegetazione, di lontana ascendenza fiammingo-olandese; ma pure una adesione al paesaggio classico e idealizzato, quale si poteva scorgere ad esempio nella lunetta Aldobrandini di Annibale Carracci, e ancora quel gusto proto-romantico per i monumenti classici e le rovine che si andava elaborando nella stessa capitale e che avrebbe portato di lì a poco alle invenzioni fantastiche di Piranesi.
Il tutto uniformato e come filtrato dal clima galante e ameno delle pastorellerie arcadiche alla Watteau, che mantiene il tutto nel registro di un’arte colta e raffinata, impedendole di scadere nel genere.
Il presepe del D’Anna, eseguito a tempera su cartoncino sagomato e ritagliato, con delicate e trasparenti tinte pastello, che doveva rendere nella bidimensionalità della pittura ciò che la tradizione presepiale siciliana e meridionale in genere, ha da sempre reso nella tridimensionalità della plastica e della statuaria, presenta, oltre alle figure sacre principali e agli angeli baroccheggianti, un vero repertorio di mestieri – dalla venditrice d’uova alla filatrice, dai pastori ai taglialegna, dai venditori di frutta ai cacciatori; di suonatori di strumenti musicali – il doppio flauto,la tromba, il flauto, la zampogna; di costumi inevitabilmente settecenteschi – i gilet e le marsine di personaggi regali e paggi, i corpetti stringati e le gonne delle popolane, o le bardature gallonate e frangiate dei cavalli e gli oggetti preziosi dei Magi. E ancora ricchissimo è il repertorio di animali, delineati con sorprendente maestria - dalle pecore ai cinghiali, dai cani alle capre, dai cavalli ai cammelli, dalle mucche ai maiali. Il tutto realizzato con una levità di tocco e una grazia, che apriranno la via alla pittura di paesaggio e di costume di Alessandro D’Anna, suo possibile collaboratore nel presepe, la cui ideazione e orchestrazione però, come avveniva per le grandi imprese decorative, va addebitata interamente a Vito.
L’opera, composta da alcune centinaia di pezzi di diverse dimensioni, che dovevano variamente articolarsi a seconda dello spazio a disposizione, rientra certo nell’attività matura del pittore palermitano, il più richiesto frescante delle famiglie nobiliari del suo tempo, nonché degli ordini religiosi palermitani, che ora si rivela anche un perfetto e inaspettato scenografo. È ricordata già dal contemporaneo p. Fedele da S. Biagio per la sua originalità: “per Paesista ed Architetto si distinse in uno devotissimo suo capriccio pittoresco di due presepi, che volle inventare di nuova idea, dei quali alla sua morte divennero padroni i pp. Filippini dell’Olivella. Uno rappresenta la Nascita nella Grotta di Betlemme del commun Redentore; e l’altro li tre Re magi nella città di Gerusalemme, avanti al magnifico palazzo del re Erode…” La credenza che si trattasse di due presepi si spiega forse col fatto che le figure sacre sono talora ripetute, per rappresentare le varie fasi della Natività.
Esso passò poi dalla casa dei pp. Filippini dell’Olivella, sua sede originaria, a palazzo Mazzarino, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi (1866); quindi nel 1966 fu acquistata all’asta in massima parte dall’antiquario Nicolò Burgio. Altre parti finirono a G. Lanza Tomasi e a R. Piraino.
Esso è stato studiato e parzialmente pubblicato da Maria Concetta Di Natale nel 1994, in occasione della mostra “Il Natale nel presepe artistico”.
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