Giovanni De Gara. Eldorato, stato alchemico
Dal 01 Luglio 2021 al 15 Settembre 2021
Perugia
Luogo: Indigo Art Gallery & Cafè
Indirizzo: Via Oberdan 51
L’artista fiorentino Giovanni de Gara torna in Umbria con il suo progetto Eldorato in occasione dell'apertura (giovedì 1 luglio) del nuovo spazio dedicato all'arte contemporanea Indigo Art Gallery & Cafè, in via Oberdan 51 a Perugia.
Il viaggio di Eldorato è iniziato il 28 giugno 2018 a Firenze, dalle tre porte dell’Abbazia di San Miniato al Monte - in occasione delle celebrazioni del millenario dalla sua fondazione – con l’obiettivo di promuovere una riflessione profonda sul tema dell’accoglienza verso ogni individuo, senza distinzione di razza, genere e credo e di dare un segno di calore e salvezza a partire dalla contemplazione di un oro che splende non per carati, ma per la bellezza e la semplicità del suo messaggio.
Il lavoro di De Gara approda nella galleria di Indigo in una veste diversa. L'esposizione, dal titolo “Eldorato, stato alchemico” e in mostra fino al 15 settembre 2021, analizza il topos della terra promessa, la terra dell’oro, attraverso una serie di dipinti, in parte inediti, che indagano il tema in maniera articolata, spaziando dalla geografia politica, all’alchimia, alla storia, utilizzando come supporto le coperte isotermiche, che hanno fatto parte del suo più ampio progetto di installazioni site-specific sui portali delle più importanti chiese e monumenti di tutta Italia, fra cui la Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi, nel settembre 2020. Un percorso eterogeneo, che nel denominatore comune del concetto di Terra, ne analizza le evoluzioni e i significati. Una terra che è terra d’origine, terra promessa ma anche Terra, intesa come il nostro pianeta.
Indigo Art Gallery & Cafè – Ideato e gestito dalle giovani imprenditrici e professioniste dell'arte Alessia Antonelli e Chiara Guidoni, Indigo è un nuovo spazio multifunzionale, nel centro storico di Perugia, in via Oberdan 51, all’interno di un palazzo storico del XIV secolo, dove scoprire e vivere i diversi linguaggi dell'arte contemporanea. Un progetto che ha l'ambizione di portare a Perugia artisti ed opere che stimolino il dibattito e la crescita personale e collettiva.
LA MOSTRA
In “USA e getta”, “Cuba Libre” e “Promise Kept”, ciascuna una bandiera di uno stato, si ritrova quella matrice geografica, ma anche politica e sociale, che ha delineato le terre promesse del nostro tempo: benché vivano di un immaginario denso di significati positivi, esse celano, a volte in maniera non troppo velata, insidie e pericoli. Dagli Stati Uniti, in cui l’immigrazione è un problema sociale, a Israele, la terra promessa per eccellenza, culla però di scontri e guerre, fino a Cuba, la terra promessa dell’Occidente ma rifuggita da chi la vive.
Si passa poi all’analisi di quello che è l’altro oro del nostro tempo, il petrolio, con “Eniway”, “Black Pope” e “Africa Nera”. Si parla dello sfruttamento di interi continenti da parte dei paesi cosiddetti occidentali, che genera però guerra e distruzione nei paesi sfruttati, vittime di carnefici che volgono lo sguardo dall’altra parte. La riflessione dell’artista giunge al significato spirituale dell’oro. Dalle pepite d’oro, un primo elemento che inizia a raccontare una storia alchemica, si raggiunge una soluzione perfetta, quella della forma essenziale, di “Globo 01” e “Globo 10”, che è fine ma anche principio, una meta della completezza, un uno assoluto.
La separazione dall’unità, il passaggio da un mondo delle idee verso un mondo delle cose, un mondo materiale, si inizia a palesare agli occhi di chi osserva con “Deriva dei continenti”: questa separazione è di fatto casuale, non conosce ragioni politiche o arbitrarie, ma per la prima volta si assiste alla creazione di confini, marcati dall’artista con una linea nera, che divide la terra dal mare e ne rimarca la separazione.
Il passo successivo di questo processo si reifica con le “Topografie alchemiche”, le isole, gli arcipelaghi dell’artista. La terra raffigurata in queste opere non è separata dal mare da nessuna linea, i due sistemi si compenetrano e tale compenetrazione fa cenno, in maniera più o meno velata, al punto di partenza, alla pepita. In queste opere il microcosmo e il macrocosmo sembrano confondersi e confondere lo spettatore, in una serie di rimandi che altro non sono che la dimostrazione della connessione che esiste fra tutte le cose, ma anche un richiamo alla terra dell’oro, alla terra promessa.
Il percorso si conclude nel suo inizio, nella forma assoluta, ma ribaltata di senso. Un movimento circolare in cui i punti di inizio e fine non coincidono ma si sovrappongono su piani e livelli diversi. L’artista si immedesima nei panni di un facilitatore, di un mediatore semantico, prendendo le mosse dal concetto di fondo dell’alchimia, secondo cui la Terra, la materia ha il potere di purificarsi spontaneamente per raggiungere il suo stato più alto, quello dell’oro. Il lavoro dell’alchimista è quello di favorire questo processo e l’artista ne veste spiritualmente i panni, in un percorso in cui il materiale è legato inscindibilmente allo spirituale.
L’utilizzo del colore è fondamentale in queste opere in cui all’oro vengono aggiunti pochi colori, in maggioranza il blu e il nero, carichi anch’essi di valenze. Il blu richiama il mare, ma anche il cielo, rappresenta la luce, così come il color oro: nelle rappresentazioni sacre care a diverse religioni questi due colori sono stati lungamente utilizzati con significati allegorici legati al mondo celeste, tanto che, per alcune religioni, il color oro era utilizzato per la rappresentazione del cielo.
Il nero invece è l’opposto della luce, è un nero opaco, che la assorbe e sta a indicare quella mancanza, quell’indifferenza alla spiritualità che connota il mondo prettamente materiale.
Giovanni de Gara, nato a Firenze nel 1977, ha partecipato a numerose mostre collettive e personali. Fra i suoi lavori si ricorda il progetto del 2010 A.N.A.S. “Lavori di asfaltatura”, “People are waiting to die”, iniziato nel 2012 a Berlino e tuttora in svolgimento. Nel 2013 inizia l’attività di editore, stampando e distribuendo i volumi de “La vera storia di un albero”, ricavati riciclando legname di scarto o mobili rotti. Seguono poi nel 2014 la mostra personale “Giovanni de Gara: Uno, nessuno, centomila”, alla galleria Spazio Testoni di Bologna, in cui presenta il progetto “Looking for the Pope”, o meglio “Due giapponesi cercano il Papa ma trovano il petrolio” e nel 2015, con altri artisti fiorentini, fonda il collettivo BenzoPlanet dedicato alla commercializzazione di prodotti concettuali. Sempre del 2015 è la performance “Spring is late”, in cui espone abusivamente i suoi quadri nel piazzale degli Uffizi, in Piazza della Signoria e nel cortile di Palazzo Strozzi. Nell’estate del 2016 idea il progetto FRAGILE, un aggiornamento – a colpi di revolver, fucile a pompa e mitragliatori – delle mappe e delle guide turistiche delle città colpite dagli attentati terroristici del 2015-16.
Nel 2018 inizia il suo lavoro sul progetto “Eldorato”.
Il viaggio di Eldorato è iniziato il 28 giugno 2018 a Firenze, dalle tre porte dell’Abbazia di San Miniato al Monte - in occasione delle celebrazioni del millenario dalla sua fondazione – con l’obiettivo di promuovere una riflessione profonda sul tema dell’accoglienza verso ogni individuo, senza distinzione di razza, genere e credo e di dare un segno di calore e salvezza a partire dalla contemplazione di un oro che splende non per carati, ma per la bellezza e la semplicità del suo messaggio.
Il lavoro di De Gara approda nella galleria di Indigo in una veste diversa. L'esposizione, dal titolo “Eldorato, stato alchemico” e in mostra fino al 15 settembre 2021, analizza il topos della terra promessa, la terra dell’oro, attraverso una serie di dipinti, in parte inediti, che indagano il tema in maniera articolata, spaziando dalla geografia politica, all’alchimia, alla storia, utilizzando come supporto le coperte isotermiche, che hanno fatto parte del suo più ampio progetto di installazioni site-specific sui portali delle più importanti chiese e monumenti di tutta Italia, fra cui la Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi, nel settembre 2020. Un percorso eterogeneo, che nel denominatore comune del concetto di Terra, ne analizza le evoluzioni e i significati. Una terra che è terra d’origine, terra promessa ma anche Terra, intesa come il nostro pianeta.
Indigo Art Gallery & Cafè – Ideato e gestito dalle giovani imprenditrici e professioniste dell'arte Alessia Antonelli e Chiara Guidoni, Indigo è un nuovo spazio multifunzionale, nel centro storico di Perugia, in via Oberdan 51, all’interno di un palazzo storico del XIV secolo, dove scoprire e vivere i diversi linguaggi dell'arte contemporanea. Un progetto che ha l'ambizione di portare a Perugia artisti ed opere che stimolino il dibattito e la crescita personale e collettiva.
LA MOSTRA
In “USA e getta”, “Cuba Libre” e “Promise Kept”, ciascuna una bandiera di uno stato, si ritrova quella matrice geografica, ma anche politica e sociale, che ha delineato le terre promesse del nostro tempo: benché vivano di un immaginario denso di significati positivi, esse celano, a volte in maniera non troppo velata, insidie e pericoli. Dagli Stati Uniti, in cui l’immigrazione è un problema sociale, a Israele, la terra promessa per eccellenza, culla però di scontri e guerre, fino a Cuba, la terra promessa dell’Occidente ma rifuggita da chi la vive.
Si passa poi all’analisi di quello che è l’altro oro del nostro tempo, il petrolio, con “Eniway”, “Black Pope” e “Africa Nera”. Si parla dello sfruttamento di interi continenti da parte dei paesi cosiddetti occidentali, che genera però guerra e distruzione nei paesi sfruttati, vittime di carnefici che volgono lo sguardo dall’altra parte. La riflessione dell’artista giunge al significato spirituale dell’oro. Dalle pepite d’oro, un primo elemento che inizia a raccontare una storia alchemica, si raggiunge una soluzione perfetta, quella della forma essenziale, di “Globo 01” e “Globo 10”, che è fine ma anche principio, una meta della completezza, un uno assoluto.
La separazione dall’unità, il passaggio da un mondo delle idee verso un mondo delle cose, un mondo materiale, si inizia a palesare agli occhi di chi osserva con “Deriva dei continenti”: questa separazione è di fatto casuale, non conosce ragioni politiche o arbitrarie, ma per la prima volta si assiste alla creazione di confini, marcati dall’artista con una linea nera, che divide la terra dal mare e ne rimarca la separazione.
Il passo successivo di questo processo si reifica con le “Topografie alchemiche”, le isole, gli arcipelaghi dell’artista. La terra raffigurata in queste opere non è separata dal mare da nessuna linea, i due sistemi si compenetrano e tale compenetrazione fa cenno, in maniera più o meno velata, al punto di partenza, alla pepita. In queste opere il microcosmo e il macrocosmo sembrano confondersi e confondere lo spettatore, in una serie di rimandi che altro non sono che la dimostrazione della connessione che esiste fra tutte le cose, ma anche un richiamo alla terra dell’oro, alla terra promessa.
Il percorso si conclude nel suo inizio, nella forma assoluta, ma ribaltata di senso. Un movimento circolare in cui i punti di inizio e fine non coincidono ma si sovrappongono su piani e livelli diversi. L’artista si immedesima nei panni di un facilitatore, di un mediatore semantico, prendendo le mosse dal concetto di fondo dell’alchimia, secondo cui la Terra, la materia ha il potere di purificarsi spontaneamente per raggiungere il suo stato più alto, quello dell’oro. Il lavoro dell’alchimista è quello di favorire questo processo e l’artista ne veste spiritualmente i panni, in un percorso in cui il materiale è legato inscindibilmente allo spirituale.
L’utilizzo del colore è fondamentale in queste opere in cui all’oro vengono aggiunti pochi colori, in maggioranza il blu e il nero, carichi anch’essi di valenze. Il blu richiama il mare, ma anche il cielo, rappresenta la luce, così come il color oro: nelle rappresentazioni sacre care a diverse religioni questi due colori sono stati lungamente utilizzati con significati allegorici legati al mondo celeste, tanto che, per alcune religioni, il color oro era utilizzato per la rappresentazione del cielo.
Il nero invece è l’opposto della luce, è un nero opaco, che la assorbe e sta a indicare quella mancanza, quell’indifferenza alla spiritualità che connota il mondo prettamente materiale.
Giovanni de Gara, nato a Firenze nel 1977, ha partecipato a numerose mostre collettive e personali. Fra i suoi lavori si ricorda il progetto del 2010 A.N.A.S. “Lavori di asfaltatura”, “People are waiting to die”, iniziato nel 2012 a Berlino e tuttora in svolgimento. Nel 2013 inizia l’attività di editore, stampando e distribuendo i volumi de “La vera storia di un albero”, ricavati riciclando legname di scarto o mobili rotti. Seguono poi nel 2014 la mostra personale “Giovanni de Gara: Uno, nessuno, centomila”, alla galleria Spazio Testoni di Bologna, in cui presenta il progetto “Looking for the Pope”, o meglio “Due giapponesi cercano il Papa ma trovano il petrolio” e nel 2015, con altri artisti fiorentini, fonda il collettivo BenzoPlanet dedicato alla commercializzazione di prodotti concettuali. Sempre del 2015 è la performance “Spring is late”, in cui espone abusivamente i suoi quadri nel piazzale degli Uffizi, in Piazza della Signoria e nel cortile di Palazzo Strozzi. Nell’estate del 2016 idea il progetto FRAGILE, un aggiornamento – a colpi di revolver, fucile a pompa e mitragliatori – delle mappe e delle guide turistiche delle città colpite dagli attentati terroristici del 2015-16.
Nel 2018 inizia il suo lavoro sul progetto “Eldorato”.
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