Hortus Artis

Hortus Artis, Palazzo Bufalini, Città di Castello (PG)
Dal 03 Ottobre 2014 al 12 Ottobre 2014
Città di Castello | Perugia
Luogo: Palazzo Bufalini
Indirizzo: piazza Giacomo Matteotti
Curatori: Guido Maraspin
Enti promotori:
- Comune di Città di Castello
Telefono per informazioni: +39 0758 522920
E-Mail info: info@altrocioccolato.it
Sito ufficiale: http://www.altrocioccolato.it/hortus-artis/
Un orto d’arte, “hortus artis”, alla riscoperta della ruralità che è dentro di noi.
Altrocioccolato trasmette impellente questo senso di ruralità, di terra, di alberi enormi, di posti lontani, in cui se devo trovare un’immagine vedo crescere il cacao sotto l’ombra protettiva delle palme e dei banani, e al tempo stesso anche la fatica del contadino nei campi, allegro se il raccolto è buono ma subito angosciato se le messi scarseggiano, in perenne instabile equilibrio con la natura.
Proprio a partire da questo fondamentale snodo etico tra cibo-terra-sostenibilità-solidarietà e insicurezza alimentare, 21 artiste ed artisti, italiani e non, hanno dato l’impulso alla terza edizione di Opposto/Contrario, prendendo parte con i propri lavori alle istanze etiche globali di Altrocioccolato 2014, dedicato appunto alla nudità del cibo, alla sua essenza primaria, e misurarsi in scienza e coscienza – come si dice in medicina – con la salute del pianeta.
L’arte è davvero la medicina dell’anima — è un fatto difficile da negare — e con questo scopo nel quadrilatero di palazzo Bufalini si sono riuniti in un orto concluso alcuni tra i migliori specialisti a kilometro zero (ma non solo, perché in realtà la provenienza dei convenuti include oltre al belpaese anche Turchia, Germania, Inghilterra, Argentina e Stati Uniti d’America), per offrire il proprio punto di vista sulla questione del cibo, dell’anima, della terra, dei solchi, dei segni, dei frutti, dell’industria della frutta, e del cacao, del lavoro salariato, del lavoro minorile, dei signori della guerra, dei contadini massacrati, di altri contadini che diventano guerriglieri e anche di Beuys, che un po’ guerrigliero lo è stato, e che secondo Harald Lemke ha incarnato la leadership della gastrosofia, una filosofia basata sul cibo e sulla cucina, “eat art” la definisce Lemke, basandosi – a suo dire – sul rapporto viscerale del grande tedesco con gli elementi naturali, dalla terra agli animali, e con il cibo, sul quale scrisse poi davvero nel 1984 il libro “The art of cooking” durante il suo soggiorno a Pescara, dove aveva fondato tra le altre cose l’Istituto per la Rinascita dell’Agricoltura ed era nel frattempo incappato nella tradizione culinaria italica profonda.
“Noi possiamo comunicare con la terra, la terra è viva, la terra può parlarci, basta cominciare ad ascoltare”, ricordava Joseph Beuys. In questo “Hortus Artis” (orto d’arte/orto dell’arte) convivono specie diverse, rispettando il principio appunto della “biodiversità” messo oggi a repentaglio dalla massificazione dell’industria alimentare e cognitiva, che tende ad ignorare per interesse economico le concrete distruttive tensioni tra l’uomo e il suo ambiente e soprattutto a far pagare il conto ai più deboli, siano essi animali, vegetali o esseri umani.
Il concetto di “orto” in senso filosofico e artistico non è sicuramente nuovo ed anzi si fa risalire alla letteratura religiosa medievale ed ancora prima alla Genesi e ai Vangeli. In epoca contemporanea, Mimmo Paladino ha realizzato nel 1992 nel Convento di San Domenico a Benevento il proprio “Hortus Conclusus”, mentre dodici anni prima è Alberto Burri a cimentarsi su questo tema, realizzando nel 1980 gli Orti, i nove spettacolari pezzi realizzati per la Fabbrica di Orsanmichele di Firenze, e più recentemente Anselm Kiefer, allievo di Beuys, transitato lo scorso anno agli ex Seccatoi di Burri, metteva in mostra tra aprile e maggio del 2009 alla Galleria Gagosian di Roma il suo “Hortus Philosophorum”, gruppo di otto sculture raffiguranti pile irregolari di massicci libri di piombo, che evocano alcuni dei temi centrali del suo lavoro, poesia, mitologia e storia.
Senza entrare nello specifico dei singoli lavori, il tragitto che all’interno di “hortus artis” unisce i 20 personali “vivai” di Josè Carlos Araoz, Silvia Bistacchia, Polly Brooks, Antonella Capponi, Nadia Casini, Luca Costantini, Danilo Fiorucci, Benedetta Galli, Karpüseeler, Robert Lang, Serenella Lupparelli, Francesca Manfredi, Vittoria Mazzoni, Roberta Meccoli, Laura Patacchia, Roberto Pierini, Lucilla Ragni, Sandford&Gosti, Paolo Tramontana, Beste Ural, tenderà a creare, così ci aspettiamo, una metafora visiva in cui il precario equilibrio, la perenne instabilità della materia e delle emozioni, giungano a comunicare per un attimo – il più lungo possibile – il respiro della terra.
Sab 4 e Dom 5 ottobre 10.30-13 / 17-20
Lun 6, Mar 7, Mer 8, Gio 9, Ven 10 ottobre 17-20
Altrocioccolato trasmette impellente questo senso di ruralità, di terra, di alberi enormi, di posti lontani, in cui se devo trovare un’immagine vedo crescere il cacao sotto l’ombra protettiva delle palme e dei banani, e al tempo stesso anche la fatica del contadino nei campi, allegro se il raccolto è buono ma subito angosciato se le messi scarseggiano, in perenne instabile equilibrio con la natura.
Proprio a partire da questo fondamentale snodo etico tra cibo-terra-sostenibilità-solidarietà e insicurezza alimentare, 21 artiste ed artisti, italiani e non, hanno dato l’impulso alla terza edizione di Opposto/Contrario, prendendo parte con i propri lavori alle istanze etiche globali di Altrocioccolato 2014, dedicato appunto alla nudità del cibo, alla sua essenza primaria, e misurarsi in scienza e coscienza – come si dice in medicina – con la salute del pianeta.
L’arte è davvero la medicina dell’anima — è un fatto difficile da negare — e con questo scopo nel quadrilatero di palazzo Bufalini si sono riuniti in un orto concluso alcuni tra i migliori specialisti a kilometro zero (ma non solo, perché in realtà la provenienza dei convenuti include oltre al belpaese anche Turchia, Germania, Inghilterra, Argentina e Stati Uniti d’America), per offrire il proprio punto di vista sulla questione del cibo, dell’anima, della terra, dei solchi, dei segni, dei frutti, dell’industria della frutta, e del cacao, del lavoro salariato, del lavoro minorile, dei signori della guerra, dei contadini massacrati, di altri contadini che diventano guerriglieri e anche di Beuys, che un po’ guerrigliero lo è stato, e che secondo Harald Lemke ha incarnato la leadership della gastrosofia, una filosofia basata sul cibo e sulla cucina, “eat art” la definisce Lemke, basandosi – a suo dire – sul rapporto viscerale del grande tedesco con gli elementi naturali, dalla terra agli animali, e con il cibo, sul quale scrisse poi davvero nel 1984 il libro “The art of cooking” durante il suo soggiorno a Pescara, dove aveva fondato tra le altre cose l’Istituto per la Rinascita dell’Agricoltura ed era nel frattempo incappato nella tradizione culinaria italica profonda.
“Noi possiamo comunicare con la terra, la terra è viva, la terra può parlarci, basta cominciare ad ascoltare”, ricordava Joseph Beuys. In questo “Hortus Artis” (orto d’arte/orto dell’arte) convivono specie diverse, rispettando il principio appunto della “biodiversità” messo oggi a repentaglio dalla massificazione dell’industria alimentare e cognitiva, che tende ad ignorare per interesse economico le concrete distruttive tensioni tra l’uomo e il suo ambiente e soprattutto a far pagare il conto ai più deboli, siano essi animali, vegetali o esseri umani.
Il concetto di “orto” in senso filosofico e artistico non è sicuramente nuovo ed anzi si fa risalire alla letteratura religiosa medievale ed ancora prima alla Genesi e ai Vangeli. In epoca contemporanea, Mimmo Paladino ha realizzato nel 1992 nel Convento di San Domenico a Benevento il proprio “Hortus Conclusus”, mentre dodici anni prima è Alberto Burri a cimentarsi su questo tema, realizzando nel 1980 gli Orti, i nove spettacolari pezzi realizzati per la Fabbrica di Orsanmichele di Firenze, e più recentemente Anselm Kiefer, allievo di Beuys, transitato lo scorso anno agli ex Seccatoi di Burri, metteva in mostra tra aprile e maggio del 2009 alla Galleria Gagosian di Roma il suo “Hortus Philosophorum”, gruppo di otto sculture raffiguranti pile irregolari di massicci libri di piombo, che evocano alcuni dei temi centrali del suo lavoro, poesia, mitologia e storia.
Senza entrare nello specifico dei singoli lavori, il tragitto che all’interno di “hortus artis” unisce i 20 personali “vivai” di Josè Carlos Araoz, Silvia Bistacchia, Polly Brooks, Antonella Capponi, Nadia Casini, Luca Costantini, Danilo Fiorucci, Benedetta Galli, Karpüseeler, Robert Lang, Serenella Lupparelli, Francesca Manfredi, Vittoria Mazzoni, Roberta Meccoli, Laura Patacchia, Roberto Pierini, Lucilla Ragni, Sandford&Gosti, Paolo Tramontana, Beste Ural, tenderà a creare, così ci aspettiamo, una metafora visiva in cui il precario equilibrio, la perenne instabilità della materia e delle emozioni, giungano a comunicare per un attimo – il più lungo possibile – il respiro della terra.
Sab 4 e Dom 5 ottobre 10.30-13 / 17-20
Lun 6, Mar 7, Mer 8, Gio 9, Ven 10 ottobre 17-20
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