Quinto Ghermandi. La Forma delle Cose
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Quinto Ghermandi, L'Eclisse, 1961. Bronzo, 52x43x25 cm.
Dal 03 Dicembre 2022 al 25 Febbraio 2023
Prato
Luogo: Galleria Open Art
Indirizzo: Viale della Repubblica 24
Orari: da lunedì a venerdì 15.00-19.30, sabato 10.30-12.30 / 15.00-19.30. Chiuso domenica e festivi
Curatori: Mauro Stefanini
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0547 538003
E-Mail info: galleria@openart.it
Sito ufficiale: http://www.openart.it
La Galleria Open Art di Prato presenta, dal 3 dicembre 2022 al 25 febbraio 2023, "La Forma delle Cose" di Quinto Ghermandi (Crevalcore, 1916 - San Lazzaro di Savena, 1994), artista anomalo all'interno di un contesto spesso ricco di pregiudizi e di preclusioni, che ha attraversato con ammirevole determinazione e con sottile ironia il teatro delle forme plastiche per oltre un quarantennio.
La mostra, che sarà inaugurata sabato 3 dicembre alle ore 17.30, è accompagnata da una monografia curata da Mauro Stefanini con un testo di Beatrice Buscaroli, che ricostruisce per la prima volta l'intera vicenda critica di Quinto Ghermandi, attraverso le partecipazioni alla Biennale di Venezia, le esposizioni internazionali, i premi, le collezioni, le opere d’arte installate negli spazi pubblici e l’importante esperienza di Villa Baldissera a Pianoro.
Dalla Babele dei linguaggi, Ghermandi emerge lentamente, dopo una formazione che lo vede allievo di due maestri - Cleto Tomba prima, Ercole Drei poi - che amano plasmare la materia, immergere con piacere fisico in essa le mani. La terracotta e la ceramica dei primi anni creativi sono debitrici di quell'insegnamento; un gusto, una piacevolezza che in realtà non abbandonerà mai Ghermandi. Così come non abbandonerà il gusto di cimentarsi con le prove in apparenza meno "nobili" delle rappresentazioni tematiche dei carri carnevaleschi di San Giovanni in Persiceto.
Scultore comunque e sempre, anche nei passaggi cruciali degli anni Sessanta, allorché si compie il passaggio dalle immagini metamorfiche di una natura che pare dissolvere ogni immediatezza a richiami empirici, dove il rimando naturalistico si traduce in vago riferimento per liberare l'immagine nelle forme plastiche "pure" dei cicli delle "Foglie", dei "Voli" e delle "Ali".
Con ogni probabilità Ghermandi non è mai stato conquistato dalle sollecitazioni dell'"ultimo naturalismo" profetato da Francesco Arcangeli; ha vissuto il clima informale come una gabbia concettuale che lentamente, ma in modo inesorabile, si dissolve.
Nella sua pratica è il tempo narrativo a dilatarsi; la ricerca tesa a individuare strutture all'interno delle quali il valore "totemico" dell'immagine possa essere amplificato; la costruzione di oggetti non consumabili dall'immediatezza della percezione. Nessun ritorno all'inquietudine di una natura tormentata, vitale, che sfugge alle certezze della ragione, che travalica i confini della definizione concettuale a favore dell'imprevedibilità, del caso. Ma piuttosto sforzo teso a eliminare ogni determinismo, ogni "immediatezza" formale, e, allo stesso tempo, tentativo di imporre all'opera una morfologia che metta in discussione ogni principio di organizzazione geometrica, ogni stabilità.
I suoi oggetti instabili vivono all'interno di un tempo asimmetrico; progetto, creazione e percezione solo nell'opera possono rendere ragione del "respiro delle cose".
Il percorso espositivo comprende oltre venti sculture, alcune delle quali di grandi dimensioni, tutte realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta. La Galleria Open Art promuove il lavoro di Quinto Ghermandi dal 2001, anno di inizio della propria attività, attraverso esposizioni collettive, fiere d'arte e pubblicazioni dedicate alla scultura contemporanea.
Catalogo Edizioni Masso delle Fate, Firenze, 2022, con ampia antologia critica e apparato iconografico.
Quinto Ghermandi nasce a Crevalcore (BO) nel 1916. Frequenta il Liceo Artistico e l'Accademia Belle Arti di Bologna. Partecipa alla Seconda Guerra Mondiale come paracadutista, è catturato ad El Alamein dagli inglesi e trascorre quattro anni di prigionia nei campi di concentramento in Egitto e nel Medio Oriente. Ritornato dalla prigionia, si dedica alla caricatura ed effettua viaggi a Parigi, Bruxelles e Amsterdam. Dopo un primo periodo dedicato alla ceramica, rivolge la sua attenzione alla scultura in ferro e successivamente al bronzo a cera persa. Da segnalare, tra le altre, le partecipazioni alla Biennale di Venezia (1950, 1956, 1960, 1966), alla Quadriennale di Roma (1952, 1965, 1986) e alla Biennale del Mediterraneo (Alessandria d'Egitto, 1963). Tra il 1954 e il 1963 realizza più di cinquanta sculture informali per la villa e il parco del collezionista Giona Cesare Baldissera a Pianoro (BO), esperienza che influisce positivamente sulla sua carriera artistica. È presente alle più importanti mostre di scultura in Italia e all'estero, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Le sue opere sono collocate in spazi pubblici e sono presenti nelle collezioni di numerosi musei ed istituzioni. Muore a San Lazzaro di Savena (BO) nel 1994.
Dalla Babele dei linguaggi, Ghermandi emerge lentamente, dopo una formazione che lo vede allievo di due maestri - Cleto Tomba prima, Ercole Drei poi - che amano plasmare la materia, immergere con piacere fisico in essa le mani. La terracotta e la ceramica dei primi anni creativi sono debitrici di quell'insegnamento; un gusto, una piacevolezza che in realtà non abbandonerà mai Ghermandi. Così come non abbandonerà il gusto di cimentarsi con le prove in apparenza meno "nobili" delle rappresentazioni tematiche dei carri carnevaleschi di San Giovanni in Persiceto.
Scultore comunque e sempre, anche nei passaggi cruciali degli anni Sessanta, allorché si compie il passaggio dalle immagini metamorfiche di una natura che pare dissolvere ogni immediatezza a richiami empirici, dove il rimando naturalistico si traduce in vago riferimento per liberare l'immagine nelle forme plastiche "pure" dei cicli delle "Foglie", dei "Voli" e delle "Ali".
Con ogni probabilità Ghermandi non è mai stato conquistato dalle sollecitazioni dell'"ultimo naturalismo" profetato da Francesco Arcangeli; ha vissuto il clima informale come una gabbia concettuale che lentamente, ma in modo inesorabile, si dissolve.
Nella sua pratica è il tempo narrativo a dilatarsi; la ricerca tesa a individuare strutture all'interno delle quali il valore "totemico" dell'immagine possa essere amplificato; la costruzione di oggetti non consumabili dall'immediatezza della percezione. Nessun ritorno all'inquietudine di una natura tormentata, vitale, che sfugge alle certezze della ragione, che travalica i confini della definizione concettuale a favore dell'imprevedibilità, del caso. Ma piuttosto sforzo teso a eliminare ogni determinismo, ogni "immediatezza" formale, e, allo stesso tempo, tentativo di imporre all'opera una morfologia che metta in discussione ogni principio di organizzazione geometrica, ogni stabilità.
I suoi oggetti instabili vivono all'interno di un tempo asimmetrico; progetto, creazione e percezione solo nell'opera possono rendere ragione del "respiro delle cose".
Il percorso espositivo comprende oltre venti sculture, alcune delle quali di grandi dimensioni, tutte realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta. La Galleria Open Art promuove il lavoro di Quinto Ghermandi dal 2001, anno di inizio della propria attività, attraverso esposizioni collettive, fiere d'arte e pubblicazioni dedicate alla scultura contemporanea.
Catalogo Edizioni Masso delle Fate, Firenze, 2022, con ampia antologia critica e apparato iconografico.
Quinto Ghermandi nasce a Crevalcore (BO) nel 1916. Frequenta il Liceo Artistico e l'Accademia Belle Arti di Bologna. Partecipa alla Seconda Guerra Mondiale come paracadutista, è catturato ad El Alamein dagli inglesi e trascorre quattro anni di prigionia nei campi di concentramento in Egitto e nel Medio Oriente. Ritornato dalla prigionia, si dedica alla caricatura ed effettua viaggi a Parigi, Bruxelles e Amsterdam. Dopo un primo periodo dedicato alla ceramica, rivolge la sua attenzione alla scultura in ferro e successivamente al bronzo a cera persa. Da segnalare, tra le altre, le partecipazioni alla Biennale di Venezia (1950, 1956, 1960, 1966), alla Quadriennale di Roma (1952, 1965, 1986) e alla Biennale del Mediterraneo (Alessandria d'Egitto, 1963). Tra il 1954 e il 1963 realizza più di cinquanta sculture informali per la villa e il parco del collezionista Giona Cesare Baldissera a Pianoro (BO), esperienza che influisce positivamente sulla sua carriera artistica. È presente alle più importanti mostre di scultura in Italia e all'estero, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Le sue opere sono collocate in spazi pubblici e sono presenti nelle collezioni di numerosi musei ed istituzioni. Muore a San Lazzaro di Savena (BO) nel 1994.
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