Andrea G. De Marchi. Mola. Il disegno e la pittura. Psicologia e filologia a confronto
Dal 20 Febbraio 2014 al 20 Febbraio 2014
Roma
Luogo: Galleria Nazionale d'Arte Antica - Palazzo Barberini
Indirizzo: via delle Quattro Fontane 13
Orari: dalle 17.30
Enti promotori:
- Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma
- Skira editore
Telefono per informazioni: +39 06 69994218 / 06 69994294
E-Mail info: sspsae-rm.uffstampa@beniculturali.it
La Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma, diretta da Daniela Porro, e Skira editore – giovedì 20 febbraio alle h. 17.30, presenteranno nel Salone di Pietro da Cortona della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini il volume Mola. Il disegno e la pittura. Psicologia e filologia a confronto, di Andrea G. De Marchi.
Con l’autore partecipano Cinzia Amnmannato, responsabile Galleria Barberini, Matteo Lafranconi, responsabile scientifico Scuderie del Quirinale, Vittorio Sermonti, scrittore.
Il volume su Pier Francesco Mola parla anche di molto altro, uscendo da quel che ci si aspetta in genere dalla storia dell'arte, aprendosi addirittura al tema vasto dell'espressione umana. Svela un lato finora nascosto del gran pittore ticinese vissuto a Roma, che fu autonomo da militanze nei contrapposti schieramenti del Barocco e del Classicismo, per anni vagante nell'Italia del nord, eppure ben inserito a livello internazionale.
La nuova decifrazione di sue strane scene disegnate – alle quali fino adesso non è mai stata data spiegazione persuasiva – mette a fuoco soggetti direttamente legati alla sfera familiare e a quella lavorativa. Ne emerge un legame esplicito fra vita e soggetti d'autore, che non trova confronto nel panorama del tempo. Si tratta di una vera primizia, che sarebbe entrata nell'arte figurata (e letteraria) solo più tardi, come dato-chiave del Romanticismo ottocentesco. La rassegna di quella specie di vignette descrive un sorprendente diario intimo, che viene esaminato da De Marchi con semplicità, evitando con cura la cosiddetta psicoanalisi dell'arte. Scene dai toni comici e tragici descrivono i rapporti difficili con il padre e col committente – il principe Camillo Pamphilj –culminati in un processo che fece epoca, lasciando il segno anche nella storia contrattuale fra artisti e patroni. Quel caso viene qui riaperto grazie a nuove tracce istruttorie. Ogni deduzione poggia sulla rilettura di cose note e su nuove scoperte, compiute fra archivi, altre fonti e opere d'arte.
Sempre su base filologica, ma con ricadute più consuete alla storia dell'arte, il volume riesce pure a far luce sulla formazione di Mola, finora giudicato erroneamente quasi un “bamboccione” ritardatario. Altri chiarimenti riguardano la sua partecipazione al campo del paesaggio, nonché i termini di uno scandalo forse pilotato, che creò allarme fra critici, collezionisti e mercanti: si allude al proliferare di quadri della bottega venduti come suoi autografi.
Sono comunque le opere a restare al centro di quest'indagine, benché vengano sempre più trascurate dalla storia dell'arte, che tende a rivolgersi soprattutto a se stessa.
Il volume svela alcuni misteri sull’arte del Seicento partendo dalla decifrazione di immagini legate alla sfera familiare e lavorativa di Pier Francesco Mola, gran pittore nato in Ticino ma vissuto a Roma. Emerge un nesso fra vita e soggetti d’autore che è una vera primizia e sarebbe entrato nell’arte figurata (e letteraria) solo più tardi, come dato-chiave del Romanticismo ottocentesco. Lo strano diario intimo si esamina con semplicità, evitando la cosiddetta psicoanalisi dell’arte. Vignette dai toni comici e tragici illustrano i difficili rapporti con il padre e con il noto committente, Camillo Pamphilj, culminati in un processo che fece epoca e qui riaperto grazie a nuove tracce istruttorie. Si riesce pure a far luce sulla formazione dell’artista, finora giudicato erroneamente un ritardatario e quasi un “bamboccione”.
Ogni deduzione poggia sulla rilettura di cose note e su nuove scoperte, compiute fra archivi, altre fonti e opere d’arte. Chiarimenti riguardano pure il campo del paesaggio, l’eccesso di quadri molto presto assegnati a Mola e altro ancora.
Le opere d’arte restano al centro dell’indagine, benché vengano sempre più trascurate dalla storia dell’arte, che tende a rivolgersi soprattutto a se stessa.
Andrea G. De Marchi è nato nel 1960 a Roma; qui e a Losanna ha preso laurea, specializzazione e dottorato, ma si è formato soprattutto collaborando a lungo con Federico Zeri. Sviluppava così la connoisseurship, conducendo pure studi in archivio e indagini sulla materia di cui sono fatte le opere d’arte. Per queste vie ha aumentato parecchio le conoscenze sulle opere della Galleria Doria Pamphilj, che ha diretto per molti anni. Funzionario ministeriale in part time, nel tempo si è progressivamente de-specializzato, affrontando molti temi di pittura italiana fra i secoli XIV e XVIII, ma anche questioni tecniche e di falsificazione dell’arte. Ha pubblicato diversi volumi, fra cataloghi di musei e saggi, insieme a molti articoli su quasi tutte le principali riviste specializzate del mondo.
Con l’autore partecipano Cinzia Amnmannato, responsabile Galleria Barberini, Matteo Lafranconi, responsabile scientifico Scuderie del Quirinale, Vittorio Sermonti, scrittore.
Il volume su Pier Francesco Mola parla anche di molto altro, uscendo da quel che ci si aspetta in genere dalla storia dell'arte, aprendosi addirittura al tema vasto dell'espressione umana. Svela un lato finora nascosto del gran pittore ticinese vissuto a Roma, che fu autonomo da militanze nei contrapposti schieramenti del Barocco e del Classicismo, per anni vagante nell'Italia del nord, eppure ben inserito a livello internazionale.
La nuova decifrazione di sue strane scene disegnate – alle quali fino adesso non è mai stata data spiegazione persuasiva – mette a fuoco soggetti direttamente legati alla sfera familiare e a quella lavorativa. Ne emerge un legame esplicito fra vita e soggetti d'autore, che non trova confronto nel panorama del tempo. Si tratta di una vera primizia, che sarebbe entrata nell'arte figurata (e letteraria) solo più tardi, come dato-chiave del Romanticismo ottocentesco. La rassegna di quella specie di vignette descrive un sorprendente diario intimo, che viene esaminato da De Marchi con semplicità, evitando con cura la cosiddetta psicoanalisi dell'arte. Scene dai toni comici e tragici descrivono i rapporti difficili con il padre e col committente – il principe Camillo Pamphilj –culminati in un processo che fece epoca, lasciando il segno anche nella storia contrattuale fra artisti e patroni. Quel caso viene qui riaperto grazie a nuove tracce istruttorie. Ogni deduzione poggia sulla rilettura di cose note e su nuove scoperte, compiute fra archivi, altre fonti e opere d'arte.
Sempre su base filologica, ma con ricadute più consuete alla storia dell'arte, il volume riesce pure a far luce sulla formazione di Mola, finora giudicato erroneamente quasi un “bamboccione” ritardatario. Altri chiarimenti riguardano la sua partecipazione al campo del paesaggio, nonché i termini di uno scandalo forse pilotato, che creò allarme fra critici, collezionisti e mercanti: si allude al proliferare di quadri della bottega venduti come suoi autografi.
Sono comunque le opere a restare al centro di quest'indagine, benché vengano sempre più trascurate dalla storia dell'arte, che tende a rivolgersi soprattutto a se stessa.
Il volume svela alcuni misteri sull’arte del Seicento partendo dalla decifrazione di immagini legate alla sfera familiare e lavorativa di Pier Francesco Mola, gran pittore nato in Ticino ma vissuto a Roma. Emerge un nesso fra vita e soggetti d’autore che è una vera primizia e sarebbe entrato nell’arte figurata (e letteraria) solo più tardi, come dato-chiave del Romanticismo ottocentesco. Lo strano diario intimo si esamina con semplicità, evitando la cosiddetta psicoanalisi dell’arte. Vignette dai toni comici e tragici illustrano i difficili rapporti con il padre e con il noto committente, Camillo Pamphilj, culminati in un processo che fece epoca e qui riaperto grazie a nuove tracce istruttorie. Si riesce pure a far luce sulla formazione dell’artista, finora giudicato erroneamente un ritardatario e quasi un “bamboccione”.
Ogni deduzione poggia sulla rilettura di cose note e su nuove scoperte, compiute fra archivi, altre fonti e opere d’arte. Chiarimenti riguardano pure il campo del paesaggio, l’eccesso di quadri molto presto assegnati a Mola e altro ancora.
Le opere d’arte restano al centro dell’indagine, benché vengano sempre più trascurate dalla storia dell’arte, che tende a rivolgersi soprattutto a se stessa.
Andrea G. De Marchi è nato nel 1960 a Roma; qui e a Losanna ha preso laurea, specializzazione e dottorato, ma si è formato soprattutto collaborando a lungo con Federico Zeri. Sviluppava così la connoisseurship, conducendo pure studi in archivio e indagini sulla materia di cui sono fatte le opere d’arte. Per queste vie ha aumentato parecchio le conoscenze sulle opere della Galleria Doria Pamphilj, che ha diretto per molti anni. Funzionario ministeriale in part time, nel tempo si è progressivamente de-specializzato, affrontando molti temi di pittura italiana fra i secoli XIV e XVIII, ma anche questioni tecniche e di falsificazione dell’arte. Ha pubblicato diversi volumi, fra cataloghi di musei e saggi, insieme a molti articoli su quasi tutte le principali riviste specializzate del mondo.
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