Disegni e pitture di Dino Piazza. 1940 - 1953
Dal 15 Marzo 2014 al 22 Marzo 2014
Roma
Luogo: Galleria Il Mondo dell’Arte - Palazzo Margutta
Indirizzo: via Margutta 55
Orari: da martedì a domenica dalle 10.30-13 / 16-20
Curatori: Elvino Echeoni, Remo Panacchia
Telefono per informazioni: +39 338 2715138 / 347 1223254
E-Mail info: paola_pacchiani@yahoo.it
Sito ufficiale: http://www.ilmondodellarte.com
Dal 15 al 22 marzo, la Galleria “Il Mondo dell’Arte” ospita a Palazzo Margutta (Via Margutta, 55) una mostra antologica dal titolo “Disegni e pitture di Dino Piazza. 1940 - 1953” dedicata a Dino Piazza (1899-1953), personalità artistica tanto eccezionale quanto affascinante, dotata di una straordinaria capacità tecnica, ma soprattutto “narratore dal temperamento avventuroso, curioso e, allo stesso tempo, incontentabile”, come ricorda Ugo Moretti, che di lui dice “è il più stupefacente risultato di una serie di incroci, innesti e contaminazioni, il più curioso prodotto di una selezione eclettica che si possa trovare nei dintorni di Villa Strohl-Fern”.
Capace di avvicinarsi alle cose e alle persone con la partecipazione affettuosa della loro realtà e, allo stesso tempo, con la lucidità fatale di un clinico, Piazza è dotato di una curiosità intellettuale e di un’autentica vocazione pittorica sulla quale lasciano traccia l’arte di Matisse, Van Gogh ma anche Picasso, Morandi, Cacciagrossi e il Monachesi del periodo più fauve e che va oltre la tela, trovando sfogo nell’apertura verso linguaggi diversi: nelle tempere, che riverberano il mondo perduto di Cezanne e di Proust, come nell’acquarello; nel disegno a china come nella fotografia.
Artista estremamente eclettico, questo pittore geniale e sensibile sembra trarre spunto da un'infinita varietà di tematiche per arrivare alla creazione di uno stile personale e originale che esce dagli schemi tradizionali. Capace di scandagliare senza remore né timori l’animo umano, che diventa protagonista assoluto del suo percorso, Dino Piazza realizza una pittura che è, allo stesso tempo, narrazione di un’indagine paziente ed elaborata e risultato di una ricerca artistica millimetrata e ricca di sperimentazioni che parte dallo schizzo e dal disegno per arrivare all’acquerello, al ritratto, al paesaggio, alle forme astratte.
Ora decorativo, ora lirico, ora viaggiatore nel mondo delle sensazioni, ora ironico, egli anatomizza la realtà travalicandone i limiti oggettivi: non si limita, infatti, a fissare materialmente sulla tela l’attimo compositivo, ma lo fa diventare testimonianza di come la vita possa assumere significati essenziali se misurata e valutata nei suoi contenuti interiori.
A curare l’esposizione, che ripercorre i tre periodi pittorici dell’artista, così come le tre fasi significative della sua vita e della sua opera, il Maestro Elvino Echeoni e Remo Panacchia, soci fondatori de “Il Mondo dell’Arte”,che da anni propone, nella sede espositiva di Via Margutta, Maestri che hanno portato l’arte italiana nel mondo. L’allestimento della mostra è stato, invece, curato dal gallerista Adriano Chiusuri.
L’appuntamento per il vernissage è fissato per sabato 15 marzo 2014 dalle 18.30 alle 21.30.
Nell’esposizione con la quale la famiglia ha scelto di rendergli omaggio un’ampia raccolta di opere pittoriche caratterizzate dal senso del colore, reso ancora più acuto dai toni discreti della sua tavolozza, da un’originale ed elegante immaginazione della forma, dal potere di evocare e aprire nel piano dello spazio trasparenze e profondità. Tutti elementi, questi, che contribuiscono a rendere oggi l’opera di Piazza ancora viva, fremente e capace di conservare il proprio slancio e la propria intenzione. Realizzati con tecniche diverse e spesso miste, compresi oli su tela, disegni a china, bozzetti e acquerelli che ritraggono composizioni figurative e floreali, ritratti o semplici figure isolate, che siano mendicanti, zingari, baiadere o arlecchini, questi lavori offrono al pubblico la possibilità di ammirare uno spaccato importante della vasta e ricca attività di quest’esponente di spicco della scuola romana generando un percorso che dagli esordi arriva fino alla piena maturità artistica e testimonia la crescita stilistica del pittore.
Figlio di famiglia mista, padre ebreo e madre cattolica, David Italo Piazza nasce a Roma nel 1899. Le possibilità economiche dei genitori gli consentono di studiare e di laurearsi, dopo la conclusione degli eventi bellici, in ingegneria edile. Nella guerra del 1915-1918 milita nell’arma degli Alpini: dell’esperienza riporterà toccante testimonianza in un esteso diario di guerra, sua unica opera letteraria, che ne preannuncia la personalità pittorica. Dopo la laurea e il matrimonio con Natalina Luzi, da cui nasce la figlia Elena, si trasferisce a Milano e lì esercita fino al 1924 la professione di ingegnere edile. Rientra nella Roma neorealista dell’immediato dopoguerra e la sua casa diventa meta di molti artisti e intellettuali: i pittori Savelli, Avenali, Minei e Guttuso, gli scultori Daini, Petrone, Peikof, i letterati Moravia, Flaiano, Moretti, Silvana Giorgetti, il poeta Lorenzo Ercole Lanza di Trabia, la critica d’arte Lorenza Trucchi, i giornalisti Jolena Baldini (Berenice), Antonio Bonavita, i cineasti Roberto Rossellini, l’attrice Ione Salinas e il marito Antonio Musu, produttore. Intanto, a partire dagli anni ’30, si dedica alla fotografia, che gli permette una ricerca appassionata e indagatrice della realtà. Questi scatti, quadri già di per sé, colpiranno l’amico pittore Marino Mazzacurati, che, intuendone le grandi capacità e la sottile sensibilità, incoraggerà Piazza, assieme ad altri artisti amici, tra cui lo scultore ungherese Amerigo Tot, a dedicarsi alla pittura. Pur sopperendo al padre nell'attività di famiglia, Piazza inizia a dipingere assiduamente e segue con attenzione la pittura italiana e straniera contemporanea, lasciandosi ispirare, fra gli altri, da Van Gogh, di cui lo attrae la forza del colore, Matisse, che influenza soprattutto i suoi ritratti a olio, Gauguin, Cézanne, Modigliani, Klee, Kandisky e Marc. A segnare simbolicamente il debutto pittorico sarà un suo autoritratto del 1939 a cui seguiranno altri ritratti: in questi l’espressione interna della personalità viene delineata attraverso varie sperimentazioni stilistiche e tecniche ed è forte l’influsso e la fascinazione di grandi maestri del passato. Nel 1941 Dino Piazza partecipa a una collettiva a Viareggio. In questa fase la ricerca è indirizzata alla rappresentazione di figure, spesso donne, o interni in cui spicca l’influenza cezanniana. Immediatamente dopo iniziano lo studio e la rappresentazione del nudo femminile. Emerge così la figura della “donna-fiore” o della “baiadera” a cui darà evoluzione nel corso della sua pittura, mentre oggetti e forme perdono peso rimanendo sospesi in uno spazio etereo. La svolta astratta, verso il 1948, l’artista la compie come necessità di proseguimento e continuazione rispetto al suo cammino stilistico. L’uso dei toni freddi, dei colori “lunari” accentuano il carattere metafisico, irreale dei soggetti presenti nelle sue tele, e la narrazione prosegue su un terreno che reinventa la realtà ma che non ne è via di fuga. Tra il 1948 e il 1953, anno della sua morte, Piazza partecipa a poche esposizioni pubbliche (la personale alla galleria La Margherita del 1948 e due quadriennali, quella del1948 e quella del 1951), ma lavora intensamente e verifica i sistemi espressivi tradizionali e d’avanguardia saggiati in funzione del rapporto con la cruda realtà con cui aveva dovuto confrontarsi all’indomani del secondo conflitto mondiale. Incoraggiate dai giudizi espressi a seguito di una personale postuma, moglie e figlia decidono di far conoscere meglio la sua arte. Nel 1969 la giuria della Quinta Biennale dell'Umorismo nell'Arte, al termine di una mostra rievocativa, assegna all’artista un diploma d'onore e una medaglia d'oro alla memoria evidenziando, come aveva già notato anche Mario Rivosecchi, la presenza nella sua pittura di una forte vena umoristica che gli consentiva di relazionarsi con gli altri e con le vicende che lo circondavano e lo rendeva libero di esprimere quello che sentiva o ironizzare su sistemi borghesi troppo rigidi.
Dell’artista rimangono fra le 250 e le 300 opere, alcune delle quali conservate in collezioni pubbliche.
Di lui hanno detto: “Sulle tele di quest'uomo è passata, lasciando tracce evidenti e non taciute, anzi coraggiosamente denunciate, l'arte rivoluzionaria di Matisse e di Van Gogh: ma i risultati si avvicinano piuttosto (volendo scegliere tra i nostri pittori) ai quadri di Monachesi del periodo più "fauve" e di questi hanno la violenza coloristica, il distacco dalla preoccupazione formale, la pennellata intera, e decisa; ma insieme si differenziano da quella maniera per una certa ironia mondana che lo spinge a far sorridere le sue modelle emerse dalle matasse dei colori puri come indicazioni allusive e caricaturali. Anche i rari paesaggi, tracciati con voluto fare sprezzante, sembrano frammenti d'un mondo goduto in fretta, portati via dalla velocità della vita moderna. Mondo non ancora risolto in un gusto personale, nella preoccupazione di aggiornarsi troppo rapidamente lasciando indietro, senza avvedersene, una propria visione”.
(Valerio Mariani)
“Figuratevi un personaggio di Strindberg che sia stato a scuola da un fachiro, ambientatelo in un grattacielo di vetro, nutritelo di Heine e di Voltaire, laureatelo in ingegneria e fatelo soffrire perennemente di ulcera duodenale. Avete nella sua complessità il pittore Dino Piazza. Che è il più stupefacente risultato di una serie di incroci, innesti e contaminazioni, il più curioso prodotto di una selezione eclettica che si possa trovare nei dintorni di Villa Strohl-Fern. Alto, magro, astenico, con un volto da protagonista segnato da migliaia di pensieri, sorrisi ed amarezze. Elegante nel gestire clownesco, col passo pesante di Atlante che regge il mondo sul groppone. Si diverte a vedersi vivere, a veder vivere gli altri, ma nessuno conosce la sua vita, quella che è sotto le rughe, dietro i suoi piccoli occhi di elefante in sofferenza. Forse i suoi quadri lo conoscono meglio, le sue tempere che riverberano il mondo perduto di Cezanne e di Proust, il mondo della sua infanzia. Forse Piazza è morto da bambino, ma nessuno se ne è accorto e lui ha continuato a camminare, a dipingere, a sorridere. Il sorriso di Piazza è una cosa crudele, iperborea. Con quel sorriso egli domina la giungla dei fatti e dei drammi umani come un pachiderma ironico, un Tabù. E i suoi quadri sorridono nella stessa maniera.”
(Ugo Moretti)
“Il travaglio creativo di Dino Piazza non si limita a fissare materialmente sulla tela l'occasione di un attimo meramente compositivo, ma va oltre, sino a diventare testimonianza di come la vita possa assumere essenziale significato se misurata e valutata nei suoi contenuti interiori. E l'arte è tale quando travalica i limiti crudamente oggettivi, quando scandaglia, anatomizza la realtà per tradursi in una nuova realtà o meglio in una realtà riscoperta. Proprio in questo senso ha operato Dino Piazza: scoprendo, attraverso i suoi registri cromatici, l'illeggibilità di una consistenza oggettiva e ricavando da un'apparente squallida rappresentazione i motivi di un'elevata poeticità e gli elementi di un dramma consumato nel più frenato dolore. E se qualche volta egli è sceso all'ironia, ha lasciato sempre affiorare le sottili venature della tristezza quasi a conservare una sua spirituale e sofferta partecipazione alla vita. Negli impasti regolati dai toni discreti della sua tavolozza (dove peraltro le accensioni bruciano pur sempre in una controllata castigatezza), Dino Piazza è riuscito a materializzare la profondità dei sentimenti umani in un'orchestrazione vibrata e conclusiva, mirando al valore assoluto della forma nella quale il gesto pittorico si è mantenuto vivo e durevole anche per quel contenuto di illimitata essenziale disperata umanità. Nell'operare di Dino Piazza non esistono, direi, fratture né contrasti perché gli sviluppi ascendono per gradi e arrivano pienamente a una salda coerenza stilistica. Gli assunti formali si orientano decisamente verso un'estetica espressionistica, ma ridimensionata in vibrazioni più pensate, controllate – non marcate e angosciose, quindi – miranti comunque a risolvere una condizione spirituale secondo stabilite intenzioni e concetti lungamente maturati. Sugli esempi anche della cultura francese tardo-impressionistica, Dino Piazza affina il suo temperamento, tenendo presente la «purificata e essenziale poetica di Matisse», ma non disdegna di guardare a Modigliani: questi continui ripensamenti, curati in un clima di calibrata osservazione, corroborano la sua sensibilità. La sua singolarità creativa, ricca di emozioni fin troppo spontanee che pare nascano da un suggerimento naif, esce invece da un rigore mentale, oltre che dal cuore, si fa sostanza pittorica e vive naturalmente, senza supporti tecnicistici; e la ricerca è millimetrata, quasi inavvertibile; il respiro, sempre ampio. Così è nata la pittura di Dino Piazza; nei fermenti più vitali di una civiltà pittorica particolarmente europea, coi propositi di un linguaggio soprattutto aderente agli stimoli urgenti di una ricerca non soltanto legata ai valori della pittura.”
(Carlo Giacomozzi)
Capace di avvicinarsi alle cose e alle persone con la partecipazione affettuosa della loro realtà e, allo stesso tempo, con la lucidità fatale di un clinico, Piazza è dotato di una curiosità intellettuale e di un’autentica vocazione pittorica sulla quale lasciano traccia l’arte di Matisse, Van Gogh ma anche Picasso, Morandi, Cacciagrossi e il Monachesi del periodo più fauve e che va oltre la tela, trovando sfogo nell’apertura verso linguaggi diversi: nelle tempere, che riverberano il mondo perduto di Cezanne e di Proust, come nell’acquarello; nel disegno a china come nella fotografia.
Artista estremamente eclettico, questo pittore geniale e sensibile sembra trarre spunto da un'infinita varietà di tematiche per arrivare alla creazione di uno stile personale e originale che esce dagli schemi tradizionali. Capace di scandagliare senza remore né timori l’animo umano, che diventa protagonista assoluto del suo percorso, Dino Piazza realizza una pittura che è, allo stesso tempo, narrazione di un’indagine paziente ed elaborata e risultato di una ricerca artistica millimetrata e ricca di sperimentazioni che parte dallo schizzo e dal disegno per arrivare all’acquerello, al ritratto, al paesaggio, alle forme astratte.
Ora decorativo, ora lirico, ora viaggiatore nel mondo delle sensazioni, ora ironico, egli anatomizza la realtà travalicandone i limiti oggettivi: non si limita, infatti, a fissare materialmente sulla tela l’attimo compositivo, ma lo fa diventare testimonianza di come la vita possa assumere significati essenziali se misurata e valutata nei suoi contenuti interiori.
A curare l’esposizione, che ripercorre i tre periodi pittorici dell’artista, così come le tre fasi significative della sua vita e della sua opera, il Maestro Elvino Echeoni e Remo Panacchia, soci fondatori de “Il Mondo dell’Arte”,che da anni propone, nella sede espositiva di Via Margutta, Maestri che hanno portato l’arte italiana nel mondo. L’allestimento della mostra è stato, invece, curato dal gallerista Adriano Chiusuri.
L’appuntamento per il vernissage è fissato per sabato 15 marzo 2014 dalle 18.30 alle 21.30.
Nell’esposizione con la quale la famiglia ha scelto di rendergli omaggio un’ampia raccolta di opere pittoriche caratterizzate dal senso del colore, reso ancora più acuto dai toni discreti della sua tavolozza, da un’originale ed elegante immaginazione della forma, dal potere di evocare e aprire nel piano dello spazio trasparenze e profondità. Tutti elementi, questi, che contribuiscono a rendere oggi l’opera di Piazza ancora viva, fremente e capace di conservare il proprio slancio e la propria intenzione. Realizzati con tecniche diverse e spesso miste, compresi oli su tela, disegni a china, bozzetti e acquerelli che ritraggono composizioni figurative e floreali, ritratti o semplici figure isolate, che siano mendicanti, zingari, baiadere o arlecchini, questi lavori offrono al pubblico la possibilità di ammirare uno spaccato importante della vasta e ricca attività di quest’esponente di spicco della scuola romana generando un percorso che dagli esordi arriva fino alla piena maturità artistica e testimonia la crescita stilistica del pittore.
Figlio di famiglia mista, padre ebreo e madre cattolica, David Italo Piazza nasce a Roma nel 1899. Le possibilità economiche dei genitori gli consentono di studiare e di laurearsi, dopo la conclusione degli eventi bellici, in ingegneria edile. Nella guerra del 1915-1918 milita nell’arma degli Alpini: dell’esperienza riporterà toccante testimonianza in un esteso diario di guerra, sua unica opera letteraria, che ne preannuncia la personalità pittorica. Dopo la laurea e il matrimonio con Natalina Luzi, da cui nasce la figlia Elena, si trasferisce a Milano e lì esercita fino al 1924 la professione di ingegnere edile. Rientra nella Roma neorealista dell’immediato dopoguerra e la sua casa diventa meta di molti artisti e intellettuali: i pittori Savelli, Avenali, Minei e Guttuso, gli scultori Daini, Petrone, Peikof, i letterati Moravia, Flaiano, Moretti, Silvana Giorgetti, il poeta Lorenzo Ercole Lanza di Trabia, la critica d’arte Lorenza Trucchi, i giornalisti Jolena Baldini (Berenice), Antonio Bonavita, i cineasti Roberto Rossellini, l’attrice Ione Salinas e il marito Antonio Musu, produttore. Intanto, a partire dagli anni ’30, si dedica alla fotografia, che gli permette una ricerca appassionata e indagatrice della realtà. Questi scatti, quadri già di per sé, colpiranno l’amico pittore Marino Mazzacurati, che, intuendone le grandi capacità e la sottile sensibilità, incoraggerà Piazza, assieme ad altri artisti amici, tra cui lo scultore ungherese Amerigo Tot, a dedicarsi alla pittura. Pur sopperendo al padre nell'attività di famiglia, Piazza inizia a dipingere assiduamente e segue con attenzione la pittura italiana e straniera contemporanea, lasciandosi ispirare, fra gli altri, da Van Gogh, di cui lo attrae la forza del colore, Matisse, che influenza soprattutto i suoi ritratti a olio, Gauguin, Cézanne, Modigliani, Klee, Kandisky e Marc. A segnare simbolicamente il debutto pittorico sarà un suo autoritratto del 1939 a cui seguiranno altri ritratti: in questi l’espressione interna della personalità viene delineata attraverso varie sperimentazioni stilistiche e tecniche ed è forte l’influsso e la fascinazione di grandi maestri del passato. Nel 1941 Dino Piazza partecipa a una collettiva a Viareggio. In questa fase la ricerca è indirizzata alla rappresentazione di figure, spesso donne, o interni in cui spicca l’influenza cezanniana. Immediatamente dopo iniziano lo studio e la rappresentazione del nudo femminile. Emerge così la figura della “donna-fiore” o della “baiadera” a cui darà evoluzione nel corso della sua pittura, mentre oggetti e forme perdono peso rimanendo sospesi in uno spazio etereo. La svolta astratta, verso il 1948, l’artista la compie come necessità di proseguimento e continuazione rispetto al suo cammino stilistico. L’uso dei toni freddi, dei colori “lunari” accentuano il carattere metafisico, irreale dei soggetti presenti nelle sue tele, e la narrazione prosegue su un terreno che reinventa la realtà ma che non ne è via di fuga. Tra il 1948 e il 1953, anno della sua morte, Piazza partecipa a poche esposizioni pubbliche (la personale alla galleria La Margherita del 1948 e due quadriennali, quella del1948 e quella del 1951), ma lavora intensamente e verifica i sistemi espressivi tradizionali e d’avanguardia saggiati in funzione del rapporto con la cruda realtà con cui aveva dovuto confrontarsi all’indomani del secondo conflitto mondiale. Incoraggiate dai giudizi espressi a seguito di una personale postuma, moglie e figlia decidono di far conoscere meglio la sua arte. Nel 1969 la giuria della Quinta Biennale dell'Umorismo nell'Arte, al termine di una mostra rievocativa, assegna all’artista un diploma d'onore e una medaglia d'oro alla memoria evidenziando, come aveva già notato anche Mario Rivosecchi, la presenza nella sua pittura di una forte vena umoristica che gli consentiva di relazionarsi con gli altri e con le vicende che lo circondavano e lo rendeva libero di esprimere quello che sentiva o ironizzare su sistemi borghesi troppo rigidi.
Dell’artista rimangono fra le 250 e le 300 opere, alcune delle quali conservate in collezioni pubbliche.
Di lui hanno detto: “Sulle tele di quest'uomo è passata, lasciando tracce evidenti e non taciute, anzi coraggiosamente denunciate, l'arte rivoluzionaria di Matisse e di Van Gogh: ma i risultati si avvicinano piuttosto (volendo scegliere tra i nostri pittori) ai quadri di Monachesi del periodo più "fauve" e di questi hanno la violenza coloristica, il distacco dalla preoccupazione formale, la pennellata intera, e decisa; ma insieme si differenziano da quella maniera per una certa ironia mondana che lo spinge a far sorridere le sue modelle emerse dalle matasse dei colori puri come indicazioni allusive e caricaturali. Anche i rari paesaggi, tracciati con voluto fare sprezzante, sembrano frammenti d'un mondo goduto in fretta, portati via dalla velocità della vita moderna. Mondo non ancora risolto in un gusto personale, nella preoccupazione di aggiornarsi troppo rapidamente lasciando indietro, senza avvedersene, una propria visione”.
(Valerio Mariani)
“Figuratevi un personaggio di Strindberg che sia stato a scuola da un fachiro, ambientatelo in un grattacielo di vetro, nutritelo di Heine e di Voltaire, laureatelo in ingegneria e fatelo soffrire perennemente di ulcera duodenale. Avete nella sua complessità il pittore Dino Piazza. Che è il più stupefacente risultato di una serie di incroci, innesti e contaminazioni, il più curioso prodotto di una selezione eclettica che si possa trovare nei dintorni di Villa Strohl-Fern. Alto, magro, astenico, con un volto da protagonista segnato da migliaia di pensieri, sorrisi ed amarezze. Elegante nel gestire clownesco, col passo pesante di Atlante che regge il mondo sul groppone. Si diverte a vedersi vivere, a veder vivere gli altri, ma nessuno conosce la sua vita, quella che è sotto le rughe, dietro i suoi piccoli occhi di elefante in sofferenza. Forse i suoi quadri lo conoscono meglio, le sue tempere che riverberano il mondo perduto di Cezanne e di Proust, il mondo della sua infanzia. Forse Piazza è morto da bambino, ma nessuno se ne è accorto e lui ha continuato a camminare, a dipingere, a sorridere. Il sorriso di Piazza è una cosa crudele, iperborea. Con quel sorriso egli domina la giungla dei fatti e dei drammi umani come un pachiderma ironico, un Tabù. E i suoi quadri sorridono nella stessa maniera.”
(Ugo Moretti)
“Il travaglio creativo di Dino Piazza non si limita a fissare materialmente sulla tela l'occasione di un attimo meramente compositivo, ma va oltre, sino a diventare testimonianza di come la vita possa assumere essenziale significato se misurata e valutata nei suoi contenuti interiori. E l'arte è tale quando travalica i limiti crudamente oggettivi, quando scandaglia, anatomizza la realtà per tradursi in una nuova realtà o meglio in una realtà riscoperta. Proprio in questo senso ha operato Dino Piazza: scoprendo, attraverso i suoi registri cromatici, l'illeggibilità di una consistenza oggettiva e ricavando da un'apparente squallida rappresentazione i motivi di un'elevata poeticità e gli elementi di un dramma consumato nel più frenato dolore. E se qualche volta egli è sceso all'ironia, ha lasciato sempre affiorare le sottili venature della tristezza quasi a conservare una sua spirituale e sofferta partecipazione alla vita. Negli impasti regolati dai toni discreti della sua tavolozza (dove peraltro le accensioni bruciano pur sempre in una controllata castigatezza), Dino Piazza è riuscito a materializzare la profondità dei sentimenti umani in un'orchestrazione vibrata e conclusiva, mirando al valore assoluto della forma nella quale il gesto pittorico si è mantenuto vivo e durevole anche per quel contenuto di illimitata essenziale disperata umanità. Nell'operare di Dino Piazza non esistono, direi, fratture né contrasti perché gli sviluppi ascendono per gradi e arrivano pienamente a una salda coerenza stilistica. Gli assunti formali si orientano decisamente verso un'estetica espressionistica, ma ridimensionata in vibrazioni più pensate, controllate – non marcate e angosciose, quindi – miranti comunque a risolvere una condizione spirituale secondo stabilite intenzioni e concetti lungamente maturati. Sugli esempi anche della cultura francese tardo-impressionistica, Dino Piazza affina il suo temperamento, tenendo presente la «purificata e essenziale poetica di Matisse», ma non disdegna di guardare a Modigliani: questi continui ripensamenti, curati in un clima di calibrata osservazione, corroborano la sua sensibilità. La sua singolarità creativa, ricca di emozioni fin troppo spontanee che pare nascano da un suggerimento naif, esce invece da un rigore mentale, oltre che dal cuore, si fa sostanza pittorica e vive naturalmente, senza supporti tecnicistici; e la ricerca è millimetrata, quasi inavvertibile; il respiro, sempre ampio. Così è nata la pittura di Dino Piazza; nei fermenti più vitali di una civiltà pittorica particolarmente europea, coi propositi di un linguaggio soprattutto aderente agli stimoli urgenti di una ricerca non soltanto legata ai valori della pittura.”
(Carlo Giacomozzi)
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