Jean-Luc Moulène. Il était une fois
Dal 29 Aprile 2015 al 13 Settembre 2015
Roma
Luogo: Accademia di Francia a Roma – Villa Medici
Indirizzo: viale Trinità dei Monti 1
Orari: da martedì a domenica 10-19
Curatori: Éric de Chassey
Telefono per informazioni: +39 06 67611
E-Mail info: comunicazione@villamedici.it
Sito ufficiale: http://www.villamedici.it/
L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici presenta dal 30 aprile al 13 settembre 2015 la mostra Jean-Luc Moulène. Il était une fois, dedicata a uno degli artisti più rilevanti della scena contemporanea internazionale.
L’opera di Jean-Luc Moulène – oggetti, fotografie, film – esprime al contempo una riflessione permanente sulla condizione sociale dell’artista, una critica radicale verso le manipolazioni e le seduzioni della rappresentazione e una ricerca formale che spesso si tinge di umorismo e di scherno.
La mostra, curata da Éric de Chassey, mette l’accento su opere recenti, create dall’artista per l’occasione, ma propone anche una messa in prospettiva del suo lavoro presentando alcuni dei progetti più vecchi. Jean-Luc Moulène. Il était une fois costituisce la terza e ultima tappa di un percorso iniziato con l’esposizioneDisjonctions, organizzata nell’estate 2014 al Centro di arte contemporanea Transpalette di Bourges e curata da Damien Sausset, e proseguito con Documents & Opus (1985-2014), al Kunstverein Hannover, sotto la direzione di Kathleen Rahn. Ognuna di queste tre mostre è dedicata ad aspetti diversi della produzione di Jean-Luc Moulène, che spazia dalla fotografia alla scultura, dal disegno alla pittura, senza dimenticare i manifesti, le brochure e le altre pubblicazioni.
Jean-Luc Moulène. Il était une fois nasce da una lunga frequentazione di Villa Medici, che ha permesso all’artista di immergersi nello spirito di questo luogo e di dialogare con esso. L’idea di un’esposizione monografica nasce nel 2010. Da allora Jean-Luc Moulène ha soggiornato spesso a Villa Medici, che già conosceva bene per aver partecipato a due collettive: La Mémoire, nel 1999, e La Fabrique de l’image, nel 2004.
Questa mostra presenta più di trenta opere, una selezione apparentemente eterogenea che permette di cogliere alcuni dei principi caratteristici della pratica dell’artista: l’uso de l’objet trouvé o della “situazione trovata”, semplicemente colti seguendo il principio della fotografia (quelli che Jean-Luc Moulène chiama “documents”, documenti) o trasformati ed elaborati secondo il principio del disegno (che lui chiama “opus”, opera); un approccio alla realtà che non riduce l’arte alla comunicazione o alla narrazione ma che propone una presentazione di immagini; un modo di concepire le proprie opere, al di là dell’apparente diversità formale, sia come esperienze del pensiero che come esperienze sensibili.
L’esposizione si apre con una delle prime immagini dell’artista, Bubu 1er del 1977, un disegno primitivista che viene qui messo in relazione con un grande oggetto bifronte realizzato attraverso un calco, Janus, del 2014, e una fotografia, Manuel Joseph, che ritrae il poeta con cui l’artista aveva collaborato per la mostra del 2004 a Villa Medici. Questa prima sala rende esplicita la presenza del corpo nell’opera di Jean-Luc Moulène, presenza che sarà più sotterranea nel resto dell’esposizione. Il corpo che produce oggetti o il corpo che si amalgama ad essi è presente anche nella serie Tronches (2014), composta da quindici oggetti in cemento modellati da maschere di carnevale e posti su coperte colorate, o nei Tricolore (2015), oggetti in vetro soffiato compresso da una struttura di acciaio.
Molte delle opere esposte rivisitano la storia, quella dell’artista o quella del luogo – ed ecco uno dei significati suggeriti dal titolo Il était une fois, C’era una volta. Alcuni lavori evocano degli elementi presenti nell’architettura o nelle decorazioni di Villa Medici, come le patine monocrome che Jean-Luc Moulène ha voluto in due sale delle gallerie espositive e che richiamano – senza riprodurne una copia fedele – il modo in cui Balthus applicava il colore negli anni ’60, quando era direttore dell’Accademia di Francia a Roma. O ancora, il film Les Trois Grâces, proiettato nel Salon de musique, che riprende uno dei principali bassorilievi della facciata della Villa.
Come spiega Éric de Chassey, “la mostra di Jean-Luc Moulène a Villa Medici, luogo destinato ad ancorare il contemporaneo a una relazione profonda con il passato, rientra in gran parte nell’ambito di una logica archeologica che consiste nel cercare ciò che nel passato può essere rivivificato per ri-orientare il presente in una direzione altrimenti vietata dalla logica cronologica del cosiddetto progresso.”
Una delle questioni fondamentali sollevate da Jean-Luc Moulène è la relazione tra arte e lavoro, tra opera e inoperosità. Secondo il curatore, “Jean-Luc Moulène realizza degli oggetti che sono il risultato dell’inoperosità degli oggetti e dei corpi. Mette un disfare all’origine del suo fare, lasciando questo disfaresempre presente e visibile nell’oggetto. Egli si colloca, così, in una lotta contro l’ideale di produttività, introducendo del gioco, una falla, all’interno di questo processo. Il suo lavoro paradossale costituisce il modello di un mondo possibile, quello di una resistenza, attiva per la sua stessa inattività, del corpo passivo (impronta o traccia, attraverso il soffio o la fotografia analogica), che anima il mondo e resiste a qualsiasi commercializzazione”. In questo senso, la pratica di Jean-Luc Moulène è pienamente politica. Il suo percorso testimonia, come afferma Philippe Vergne, ex direttore del museo Dia:Beacon che ha accolto la sua prima grande esposizione negli Stati Uniti, “il suo sforzo per essere un artista integrato nel mondo reale, piuttosto che isolato nel suo atelier.”
Il rapporto tra opera e spettatore è un altro aspetto essenziale per capire l’approccio di Jean-Luc Moulène. Egli invita lo spettatore a vivere un’esperienza “viscerale”, a prendere in conto la discontinuità delle opere esposte per arrivare a trovare quello che gli interessa, per permettergli di cogliere significati diversi che si arricchiscono e si rendono l’un l’altro più complessi. Lo spettatore può così far sua l’opera e non ritrovarsi respinto fuori da essa.
Nato a Reims nel 1955, Jean-Luc Moulène vive e lavora a Parigi. Ha iniziato il suo percorso come fotografo, facendosi conoscere con le serie Objets de grève (1999-2000) e 48 Palestinian Products (2002-2005), per poi dedicarsi, a partire della fine degli anni ’90, alla produzione di oggetti e disegni. Ha partecipato a Documenta X (1997), alla Biennale di San Paolo (2002), alla Biennale di Venezia (2003), alla Biennale di Taipei (2004) e alla Biennale di Sharjah (2010). Numerose istituzioni gli hanno dedicato delle esposizioni, tra cui il Centre d’art contemporain de Genève (2003), il Centro di arte contemporanea di Kitakyushu (2004), il Musée du Louvre a Parigi (2005), Culturgest a Lisbona (2007), il Carré d’art-Musée d’art contemporain a Nîmes (2009), Dia:Beacon a New York (2011) e il Modern Art Oxford (2012). Nel 2011 ha realizzato due oggetti di dimensioni monumentali, Body e Body versus Twizy, prodotti da Renault. Le sue opere fanno parte delle più importanti collezioni d’arte pubbliche e private, come quelle del Centre Pompidou o di Dia:Beacon. Partecipa attualmente alla mostra collettiva Slip of the Tongue alla Punta della Dogana a Venezia, curata da Danh Vo.
Jean-Luc Moulène è rappresentato dalla Galerie Chantal Crousel (Parigi), dalla Galerie Pietro Sparta (Chagny), Thomas Dane Gallery (Londra) Galerie Greta Meert (Bruxelles), Miguel Abreu Gallery (New York), Galeria Désiré Saint Phalle (Messico).
Visite guidate alla mostra: ogni sabato alle ore 16.30 (in francese) e alle ore 17.00 (in italiano)
L’opera di Jean-Luc Moulène – oggetti, fotografie, film – esprime al contempo una riflessione permanente sulla condizione sociale dell’artista, una critica radicale verso le manipolazioni e le seduzioni della rappresentazione e una ricerca formale che spesso si tinge di umorismo e di scherno.
La mostra, curata da Éric de Chassey, mette l’accento su opere recenti, create dall’artista per l’occasione, ma propone anche una messa in prospettiva del suo lavoro presentando alcuni dei progetti più vecchi. Jean-Luc Moulène. Il était une fois costituisce la terza e ultima tappa di un percorso iniziato con l’esposizioneDisjonctions, organizzata nell’estate 2014 al Centro di arte contemporanea Transpalette di Bourges e curata da Damien Sausset, e proseguito con Documents & Opus (1985-2014), al Kunstverein Hannover, sotto la direzione di Kathleen Rahn. Ognuna di queste tre mostre è dedicata ad aspetti diversi della produzione di Jean-Luc Moulène, che spazia dalla fotografia alla scultura, dal disegno alla pittura, senza dimenticare i manifesti, le brochure e le altre pubblicazioni.
Jean-Luc Moulène. Il était une fois nasce da una lunga frequentazione di Villa Medici, che ha permesso all’artista di immergersi nello spirito di questo luogo e di dialogare con esso. L’idea di un’esposizione monografica nasce nel 2010. Da allora Jean-Luc Moulène ha soggiornato spesso a Villa Medici, che già conosceva bene per aver partecipato a due collettive: La Mémoire, nel 1999, e La Fabrique de l’image, nel 2004.
Questa mostra presenta più di trenta opere, una selezione apparentemente eterogenea che permette di cogliere alcuni dei principi caratteristici della pratica dell’artista: l’uso de l’objet trouvé o della “situazione trovata”, semplicemente colti seguendo il principio della fotografia (quelli che Jean-Luc Moulène chiama “documents”, documenti) o trasformati ed elaborati secondo il principio del disegno (che lui chiama “opus”, opera); un approccio alla realtà che non riduce l’arte alla comunicazione o alla narrazione ma che propone una presentazione di immagini; un modo di concepire le proprie opere, al di là dell’apparente diversità formale, sia come esperienze del pensiero che come esperienze sensibili.
L’esposizione si apre con una delle prime immagini dell’artista, Bubu 1er del 1977, un disegno primitivista che viene qui messo in relazione con un grande oggetto bifronte realizzato attraverso un calco, Janus, del 2014, e una fotografia, Manuel Joseph, che ritrae il poeta con cui l’artista aveva collaborato per la mostra del 2004 a Villa Medici. Questa prima sala rende esplicita la presenza del corpo nell’opera di Jean-Luc Moulène, presenza che sarà più sotterranea nel resto dell’esposizione. Il corpo che produce oggetti o il corpo che si amalgama ad essi è presente anche nella serie Tronches (2014), composta da quindici oggetti in cemento modellati da maschere di carnevale e posti su coperte colorate, o nei Tricolore (2015), oggetti in vetro soffiato compresso da una struttura di acciaio.
Molte delle opere esposte rivisitano la storia, quella dell’artista o quella del luogo – ed ecco uno dei significati suggeriti dal titolo Il était une fois, C’era una volta. Alcuni lavori evocano degli elementi presenti nell’architettura o nelle decorazioni di Villa Medici, come le patine monocrome che Jean-Luc Moulène ha voluto in due sale delle gallerie espositive e che richiamano – senza riprodurne una copia fedele – il modo in cui Balthus applicava il colore negli anni ’60, quando era direttore dell’Accademia di Francia a Roma. O ancora, il film Les Trois Grâces, proiettato nel Salon de musique, che riprende uno dei principali bassorilievi della facciata della Villa.
Come spiega Éric de Chassey, “la mostra di Jean-Luc Moulène a Villa Medici, luogo destinato ad ancorare il contemporaneo a una relazione profonda con il passato, rientra in gran parte nell’ambito di una logica archeologica che consiste nel cercare ciò che nel passato può essere rivivificato per ri-orientare il presente in una direzione altrimenti vietata dalla logica cronologica del cosiddetto progresso.”
Una delle questioni fondamentali sollevate da Jean-Luc Moulène è la relazione tra arte e lavoro, tra opera e inoperosità. Secondo il curatore, “Jean-Luc Moulène realizza degli oggetti che sono il risultato dell’inoperosità degli oggetti e dei corpi. Mette un disfare all’origine del suo fare, lasciando questo disfaresempre presente e visibile nell’oggetto. Egli si colloca, così, in una lotta contro l’ideale di produttività, introducendo del gioco, una falla, all’interno di questo processo. Il suo lavoro paradossale costituisce il modello di un mondo possibile, quello di una resistenza, attiva per la sua stessa inattività, del corpo passivo (impronta o traccia, attraverso il soffio o la fotografia analogica), che anima il mondo e resiste a qualsiasi commercializzazione”. In questo senso, la pratica di Jean-Luc Moulène è pienamente politica. Il suo percorso testimonia, come afferma Philippe Vergne, ex direttore del museo Dia:Beacon che ha accolto la sua prima grande esposizione negli Stati Uniti, “il suo sforzo per essere un artista integrato nel mondo reale, piuttosto che isolato nel suo atelier.”
Il rapporto tra opera e spettatore è un altro aspetto essenziale per capire l’approccio di Jean-Luc Moulène. Egli invita lo spettatore a vivere un’esperienza “viscerale”, a prendere in conto la discontinuità delle opere esposte per arrivare a trovare quello che gli interessa, per permettergli di cogliere significati diversi che si arricchiscono e si rendono l’un l’altro più complessi. Lo spettatore può così far sua l’opera e non ritrovarsi respinto fuori da essa.
Nato a Reims nel 1955, Jean-Luc Moulène vive e lavora a Parigi. Ha iniziato il suo percorso come fotografo, facendosi conoscere con le serie Objets de grève (1999-2000) e 48 Palestinian Products (2002-2005), per poi dedicarsi, a partire della fine degli anni ’90, alla produzione di oggetti e disegni. Ha partecipato a Documenta X (1997), alla Biennale di San Paolo (2002), alla Biennale di Venezia (2003), alla Biennale di Taipei (2004) e alla Biennale di Sharjah (2010). Numerose istituzioni gli hanno dedicato delle esposizioni, tra cui il Centre d’art contemporain de Genève (2003), il Centro di arte contemporanea di Kitakyushu (2004), il Musée du Louvre a Parigi (2005), Culturgest a Lisbona (2007), il Carré d’art-Musée d’art contemporain a Nîmes (2009), Dia:Beacon a New York (2011) e il Modern Art Oxford (2012). Nel 2011 ha realizzato due oggetti di dimensioni monumentali, Body e Body versus Twizy, prodotti da Renault. Le sue opere fanno parte delle più importanti collezioni d’arte pubbliche e private, come quelle del Centre Pompidou o di Dia:Beacon. Partecipa attualmente alla mostra collettiva Slip of the Tongue alla Punta della Dogana a Venezia, curata da Danh Vo.
Jean-Luc Moulène è rappresentato dalla Galerie Chantal Crousel (Parigi), dalla Galerie Pietro Sparta (Chagny), Thomas Dane Gallery (Londra) Galerie Greta Meert (Bruxelles), Miguel Abreu Gallery (New York), Galeria Désiré Saint Phalle (Messico).
Visite guidate alla mostra: ogni sabato alle ore 16.30 (in francese) e alle ore 17.00 (in italiano)
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