Lo Zuavo e i Bersaglieri

Zeffirino Falcioni, Charrette, Colonnello degli Zuavi, pastello su carta, cm. 44x29

 

Dal 20 Settembre 2020 al 20 Ottobre 2020

Roma

Luogo: Galleria W.Apolloni

Indirizzo: via Margutta 53B

Orari: L’ingresso è consentito a piccoli gruppi su prenotazione o, compatibilmente, a richiesta, durante gli orari di apertura della galleria: 10-13 / 16-19; chiuso lunedì mattina, sabato pomeriggio e domenica

Curatori: Marco Fabio Apolloni

Sito ufficiale: http://www.galleriawapolloni.it



Seguendo gli stessi criteri che portarono ad allestire nel 2007 la mostra “Garibaldi a Roma!”, collezione di dipinti, disegni e stampe riguardanti la Repubblica Romana del 1848-49 – il cui nucleo maggiore è esposto ora in comodato provvisorio al Museo di Roma di Palazzo Braschi – la Galleria W.Apolloni prosegue la propria opera di scoperta e valorizzazione della storia nazionale per ciò che riguarda la propria competenza storico-artistica. Dal 20 settembre 2020, a celebrare il 150° anniversario della presa di Porta Pia da parte dei Bersaglieri del generale Raffaele Cadorna, nella Galleria W.Apolloni di Via Margutta 53B verrà allestita una mostra straordinaria con alcune opere d’arte di somma importanza accomunate dall’eloquente titolo: “Lo Zuavo e i Bersaglieri”, a voler accomunare, dopo tanto tempo trascorso, spente le passioni e gli odii d’allora, gli avversari di un tempo in un unico sentimento di pietà e gratitudine.

La memoria degli zuavi pontifici, corpi volontari giunti da tutti i paesi cattolici, ma in maggioranza francesi, olandesi e belgi, a difendere Pio IX contro gli italiani, è rappresentata dalla presenza di una scultura funebre in marmo a grandezza naturale del capitano Augustin Latimier Du Clésieux (Saint-Brieuc, Bretagna, 1844-1871), zuavo a Roma e poi volontario nella guerra franco-prussiana, ferito mortalmente nella battaglia dell’altipiano di Auvours l’11 gennaio 1871 e morto il 26 febbraio seguente a casa propria, in Bretagna, a soli 27 anni. L’opera si deve al virtuosistico scalpello dello scultore Victor Edmond Leharivel Durocher (Chanu, Orne, 1816-1878), scultore ufficiale che nel Secondo Impero collaborò con l’architetto Louis Visconti – figlio dell’archeologo romano Ennio Quirino – ad ornare l’ingrandimento del Louvre voluto da Napoleone III. Augustin Du Clésieux era l’unico figlio di una famiglia bretone molto ricca e da poco nobilitata.

Da parte di padre discendeva da un Reggente della Banca di Francia, da parte di madre da una famiglia di importanti armatori locali. L’inconsolabile contessa Du Clésieux sua madre, che gli sopravvisse per 16 anni, ordinò all’artista la scultura, firmata e datata 1873, che fu posta sopra la tomba del defunto nella cripta di una cappella neoromanica, dedicata a S.Agostino, fatta costruire adiacente alla Scuola dei Fratelli della Dottrina Cristiana nella rue Vicaire della città di Saint-Brieuc. Nazionalizzata la scuola sotto la Terza Repubblica, distrutta la cappella nel 1971 per fare posto ad un parcheggio, chissà dove tumulate le ossa del povero Augustin, la monumentale scultura è andata all’asta a Brest quattro anni fa, nel più totale disinteresse dei locali e delle autorità preposte alla tutela artistica di Francia.

E’ stata acquistata dall’antiquario romano Marco Fabio Apolloni proprio perché il giovane e nobile zuavo, già venuto a difendere papa Mastai contro “L’Anticristo” Garibaldi, tornasse a Roma per trovarvi, si spera, una pace definitiva. Il giovane ufficiale è rappresentato ancora vivo semisdraiato su una chaise-longue neo-rococò, nell’uniforme tipica che traeva origine dall’abbigliamento dei guerrieri algerini che i francesi combatterono nel 1830, e che fu reso famoso dalle seguenti campagne militari in Crimea e in Italia durante la Seconda Guerra d’Indipendenza. Solo il colore grigio celeste, che il marmo non può rendere, distingueva gli zuavi pontifici da quelli inquadrati nell’esercito francese.

Per il resto lo scalpello di Leharivel è riuscito a descrivere il ruvido panno dell’uniforme, i pantaloni a sbuffo, il kepì con visiera, le babbucce ricamate e persino i merletti della camicia da cui spunta lo scapolare che il milite cattolico portava al collo. Sul fronte della base è graffita una baionetta, al centro della quale risalta in bassissimo rilievo la medaglia al valore che fu consegnata il giorno del funerale. “E’ proprio un’idea da Francesi, di vestire i difensori del Santo Padre da maomettani”. Così dicevano, i romani dell’epoca a proposito della bizzaria dell’uniforme degli zuavi che, non erano però soldati da operetta, se si considera che il pur brevissimo fatto d’arme di Porta Pia costò agli italiani il doppio dei morti e dei feriti rispetto ai pontifici. Corpi nuovi, creati più o meno negli stessi anni, Zuavi e Bersaglieri avevano combattuto fianco a fianco in Crimea e nelle battaglie del ’59.

Eppure nel ’70, sono affrontati gli uni agli altri in perfetta antinomia, pontifici contro italiani: così, in mostra, alla splendida, candida scultura dello zuavo francese morente si contrappongono i colori squillanti, accesi dal sole di settembre, che Michele Cammarano (Napoli 1835-1920), testimone oculare dell’entrata degli italiani a Roma, ha sparso in battaglia su una tela alta più di tre metri, fissando ancora calde, se così si può dire, le impressioni della battaglia per conquistare all’Italia la sua Capitale. Noto, pubblicato su tutti i libri di storia è il quadro di Cammarano che raffigura i Bersaglieri a passo di carica, lungo più di quattro metri, conservato al Museo di Capodimonte. Questo però, esposto e poi acquistato, è del 1871, frutto di ripensamenti e meditazioni,per celebrare la presa di Roma nel modo più eroico e storicamente più gratificante.

Quello che si mostra ora invece è stato dipinto un anno prima, immediatamente dopo la Presa di Porta Pia, mostrata in tutt’altro modo, più veritiero, nel modo confuso e rabbioso con cui veramente avvenivano i fatti d’armi. I Bersaglieri si arrampicano concitati sul terrapieno formato dai detriti delle mura bombardate, confusi nel fumo dell’artiglieria. Le fisionomie sono stravolte, le bocche urlanti, le uniformi strapazzate e infarinate dai calcinacci. Un trombettiere giace a terra morto, un baffuto maggiore ci guarda direttamente negli occhi e con lo sguardo, col gesto, con la voce – vediamo che urla anche se non lo sentiamo – sembra spronarci a partecipare all’attacco. Molto diverso è il quadretto del fiammingo Carel Max Quaedvlieg (Valkenburg 1823 – Roma 1874), minuscolo in confronto al Cammarano, ma che entro il suo perimetro di tredici per venti centimetri, riesce a inquadrare le Mura Aureliane e la breccia formicolante di Bersaglieri, con la morte del comandante Giacomo Pagliari sull’avanscena, e gli zuavi che sparano sullo sfondo di questa visione teatrale della Breccia, estremo opposto dei vasti “panorami” che andavano di moda in questo periodo.

Vissuto a Roma per ventun anni, Quaedvlieg è noto per i suoi paesaggi della campagna romana animati da contadini e da butteri, eseguiti con lenticolare precisione, generalmente su rame, con colori luminosissimi. Questo di Porta Pia è un “unicum”, un documento storico figurativo di inestimabile valore, che fu infatti acquistato all’asta da Fabrizio Apolloni alla fine degli anni ottanta al termine di un accanito duello con un misterioso “underbidder” al telefono che si rivelò poi essere il compiato Bettino Craxi, molto attento alle memorie garibaldine e risorgimentali. Completano questa mostra celebrativa il bozzetto in scultura di Publio Morbiducci (Roma, 1889-1963) per il monumento al Bersagliere eretto davanti a Porta Pia nel 1932 e due pastelli satirici che ritraggono Charrette comandante degli Zuavi pontifici e Mons. Pacca il giovane, Prefetto pontificio. Due ritratti del Cardinale Giacomo Antonelli, uno in marmo che lo raffigura giovane, di Giuseppe De Fabris, ed uno dipinto in miniatura a smalto su pietra lavica da Filippo Severati – inventore della tecnica che andò perduta alla sua morte – che lo ritrae in trono nella sua piena dignità di Segretario di Stato, eminenza grigia e anima nera dell’ultimo Pio IX.

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