Rom des Nordens, Rom des Sudens. Salzburger Perspektiven
Dal 20 Ottobre 2015 al 30 Ottobre 2015
Roma
Luogo: Mondrian Suite Gallery
Indirizzo: via dei Piceni 41/43
Orari: da martedì a domenica 16-20
Curatori: Simone Zacchini
Telefono per informazioni: +39 347 7853260
E-Mail info: mondriansuite@gmail.com
Sito ufficiale: http://mondriansuitegallery.blogspot.it/
La mostra “Rom des Nordens, Rom des Südens: Salzburger Perspektiven” nasce sotto il patrocinio del consigliere provinciale del Land di Salisburgo, Dr. Heinrich Schellhorn, ed è dedicata al duecentesimo anniversario dell'annessione della città all'Austria, che si festeggerà nel 2016.
Municipio di origine romana rifondato nel 696, dopo le devastazioni barbariche, da San Ruperto vescovo di Worms, la città di Salisburgo dal Duecento era stata riconosciuta come un principato dell'impero su cui gli arcivescovi eredi del santo avevano la potestà secolare; questa situazione rimase invariata per oltre sei secoli fino a quando il principato fu prima secolarizzato da Napoleone e poi unito sotto ogni aspetto all'Austria nel 1816.
Il progetto presenta negli spazi di Mondrian Suite i lavori di tre artisti della stessa generazione che, pur lavorando su media differenti, testimoniano una comunanza estetica che deriva, in primo luogo, dal loro essere cresciuti creativamente nell'ambiente artistico di Salisburgo, una città d'arte di così lunga tradizione da essersi meritata l'appellativo, a cui si rifà il titolo della mostra, di “Roma del Nord” o “Roma delle Alpi”.
Se si pensa a Salisburgo dal punto di vista della produzione culturale la prima forma d'arte che viene in mente è la musica, non certo le arti visive; l'immaginario collettivo si ricollega prontamente al genio di Wolfgang Amadeus Mozart che nel Settecento trasformò la città degli arcivescovi-principi in uno dei più importanti poli d'attrazione di tutta la civiltà lirica europea. Attualmente le grandi tradizioni musicali della città, materializzate nel mito della “patria di Mozart”, si rinnovano in celeberrimi appuntamenti che si susseguono per tutto l'arco dell'anno e fanno di Salisburgo un punto di riferimento della musica colta europea. Questa visione monotematica della produzione culturale salisburghese, in eterno contrasto con quella viennese, risulta a tutt'oggi ancora difficile da scalfire, eppure il lavoro di questi tre artisti visivi, volutamente esposto qui, nella “Roma del Sud”, denota una vivacità artistica variegata e più che mai legata alla contemporaneità.
Le vette isolate di Bock
Berthold Bock (1967) è pittore e videomaker. Nelle sue tele dipinte a olio è chiaro il riferimento al mito romantico della montagna come luogo inospitale e allo stesso tempo attraente: uno spazio vicino all'idea kantiana del sublime in cui l'individuo vive la contraddizione di ritrovare se stesso ma annichilendosi di fronte alla maestosità della natura. Non a caso siamo di fronte a opere figurative ma volutamente “senza figura”, in cui a dominare la scena sono i paesaggi tipici delle Alpi con praterie d'alta montagna e bacini lacustri d'origine glaciale. Un particolare curioso è dato dal fatto che le montagne rappresentate non sono quelle austriache, come potrebbe sembrare a prima vista, ma quelle dell'Alto Adige. A parte questo, è comunque la mancanza di qualsiasi elemento antropico il particolare più eclatante che balza all'occhio dello spettatore ed è messo in risalto dalla scelta di inquadrature di taglio fotografico che rendono ancora più imponenti questi paesaggi naturali. In questi spazi che le nuvole incombenti rendono sconfinati, per l'uomo non c'è altra posizione che quella dell'osservatore esterno a cui Bock rende testimonianza, invitando anche noi ad assumere il suo stesso punto di vista. Parte, invece, da una prospettiva opposta il video che Bock presenta in mostra: qui predominante è la figura del pittore presentato nell’incerto momento della creazione. Un’atmosfera cupa e malinconica, che sembra fuoriuscire direttamente dalla “testa dell’artista”, pervade lo spazio e il tempo del video che tenta di restituire cinematograficamente il processo di creazione di un’immagine. E più che nei riferimenti alla storia della pittura, sarà nel sonno (o nel sogno?) che l’artista troverà una soluzione al problema.
Le composizioni stranianti di Rainer
Konrad Rainer (1968) è fotografo. Le sue fotografie a colori stampate su lastre di alluminio di grandi dimensioni testimoniano un lavoro di creazione complesso in cui numerose immagini si sovrappongono fino a comporre un mosaico straniante in cui l'occhio dello spettatore a prima vista sembra perdersi. A rendere ancora più articolata la visione dell'immagine si aggiungono tutta una serie di dissolvenze, trasparenze e deformazioni che, però, con un'osservazione prolungata delle opere finiscono per prendere il sopravvento rispetto ai soggetti più concreti. Gli sfondi fungono quinte scenografiche che spaziano da soggetti naturali a vedute cittadine, da architetture a paesaggi; a queste l'artista aggiunge sovrapposizioni più o meno invadenti di immagini che apparentemente hanno poco a che fare con l'immagine di base. L'accumulo di referenze diverse dà all'insieme dell'immagine tutta una serie di nuovi significati di cui la sensibilità del singolo spettatore è invogliata alla scoperta. Che relazione c'è fra una via porticata di Merano e un torrente di montagna? Oppure fra una statua lignea di Cristo e una scogliera a picco sul mare? Il pubblico è invitato a trovare delle risposte, senza dimenticare di prendere in considerazione anche i titoli delle opere che nascondono indizi fondamentali per questa ricerca. Una ricerca di significati che, come accennavo, ha bisogno di tempo: cosa a cui l'odierna civiltà dell'immagine, con le sue rappresentazioni “mordi e fuggi”, ci sta disabituando.
I segni musicali di Seloujanov
Maxim Seloujanov (1967) è musicista e pittore, rigorosamente in quest'ordine. Il suo complesso lavoro di composizione musicale, che egli concepisce come l'organizzazione di uno “spazio di tempo”, si riversa in quello pittorico o, per meglio dire, segnico. I suoi, infatti, non sono veri e propri quadri ma piccoli pensieri musicali trasposti dal pentagramma alla carta da disegno, in cui, pur lavorando con pastelli e pennarelli, non viene mai meno l'attitudine musicale, al punto che ogni disegno è concepito dallo stesso Seloujanov come un riferimento diretto a una sua composizione musicale. Come già in Kandinskij (non va dimenticato che Seloujanov è nato a Mosca e non a Salisburgo come invece Bock e Rainer), la comunanza fra musica e pittura si delinea attraverso l'astrazione, anche se in più di un'occasione i segni sembrano farsi figura, ed è facile rivedere in queste composizioni pervase da una infantilità poetica il riferimento a un altro grande esponente delle avanguardie storiche del Novecento, Paul Klee. Con queste piccole opere Seloujanov dichiara apertamente, attraverso i suoi referenti poetici e artistici, di appartenere a una cultura ibrida dove elementi russi e mitteleuropei convivono e in cui lo spettatore è invitato a entrare osservando ogni dettaglio della composizione con quello che potremmo definire “occhio musicale”.
Simone Zacchini
Municipio di origine romana rifondato nel 696, dopo le devastazioni barbariche, da San Ruperto vescovo di Worms, la città di Salisburgo dal Duecento era stata riconosciuta come un principato dell'impero su cui gli arcivescovi eredi del santo avevano la potestà secolare; questa situazione rimase invariata per oltre sei secoli fino a quando il principato fu prima secolarizzato da Napoleone e poi unito sotto ogni aspetto all'Austria nel 1816.
Il progetto presenta negli spazi di Mondrian Suite i lavori di tre artisti della stessa generazione che, pur lavorando su media differenti, testimoniano una comunanza estetica che deriva, in primo luogo, dal loro essere cresciuti creativamente nell'ambiente artistico di Salisburgo, una città d'arte di così lunga tradizione da essersi meritata l'appellativo, a cui si rifà il titolo della mostra, di “Roma del Nord” o “Roma delle Alpi”.
Se si pensa a Salisburgo dal punto di vista della produzione culturale la prima forma d'arte che viene in mente è la musica, non certo le arti visive; l'immaginario collettivo si ricollega prontamente al genio di Wolfgang Amadeus Mozart che nel Settecento trasformò la città degli arcivescovi-principi in uno dei più importanti poli d'attrazione di tutta la civiltà lirica europea. Attualmente le grandi tradizioni musicali della città, materializzate nel mito della “patria di Mozart”, si rinnovano in celeberrimi appuntamenti che si susseguono per tutto l'arco dell'anno e fanno di Salisburgo un punto di riferimento della musica colta europea. Questa visione monotematica della produzione culturale salisburghese, in eterno contrasto con quella viennese, risulta a tutt'oggi ancora difficile da scalfire, eppure il lavoro di questi tre artisti visivi, volutamente esposto qui, nella “Roma del Sud”, denota una vivacità artistica variegata e più che mai legata alla contemporaneità.
Le vette isolate di Bock
Berthold Bock (1967) è pittore e videomaker. Nelle sue tele dipinte a olio è chiaro il riferimento al mito romantico della montagna come luogo inospitale e allo stesso tempo attraente: uno spazio vicino all'idea kantiana del sublime in cui l'individuo vive la contraddizione di ritrovare se stesso ma annichilendosi di fronte alla maestosità della natura. Non a caso siamo di fronte a opere figurative ma volutamente “senza figura”, in cui a dominare la scena sono i paesaggi tipici delle Alpi con praterie d'alta montagna e bacini lacustri d'origine glaciale. Un particolare curioso è dato dal fatto che le montagne rappresentate non sono quelle austriache, come potrebbe sembrare a prima vista, ma quelle dell'Alto Adige. A parte questo, è comunque la mancanza di qualsiasi elemento antropico il particolare più eclatante che balza all'occhio dello spettatore ed è messo in risalto dalla scelta di inquadrature di taglio fotografico che rendono ancora più imponenti questi paesaggi naturali. In questi spazi che le nuvole incombenti rendono sconfinati, per l'uomo non c'è altra posizione che quella dell'osservatore esterno a cui Bock rende testimonianza, invitando anche noi ad assumere il suo stesso punto di vista. Parte, invece, da una prospettiva opposta il video che Bock presenta in mostra: qui predominante è la figura del pittore presentato nell’incerto momento della creazione. Un’atmosfera cupa e malinconica, che sembra fuoriuscire direttamente dalla “testa dell’artista”, pervade lo spazio e il tempo del video che tenta di restituire cinematograficamente il processo di creazione di un’immagine. E più che nei riferimenti alla storia della pittura, sarà nel sonno (o nel sogno?) che l’artista troverà una soluzione al problema.
Le composizioni stranianti di Rainer
Konrad Rainer (1968) è fotografo. Le sue fotografie a colori stampate su lastre di alluminio di grandi dimensioni testimoniano un lavoro di creazione complesso in cui numerose immagini si sovrappongono fino a comporre un mosaico straniante in cui l'occhio dello spettatore a prima vista sembra perdersi. A rendere ancora più articolata la visione dell'immagine si aggiungono tutta una serie di dissolvenze, trasparenze e deformazioni che, però, con un'osservazione prolungata delle opere finiscono per prendere il sopravvento rispetto ai soggetti più concreti. Gli sfondi fungono quinte scenografiche che spaziano da soggetti naturali a vedute cittadine, da architetture a paesaggi; a queste l'artista aggiunge sovrapposizioni più o meno invadenti di immagini che apparentemente hanno poco a che fare con l'immagine di base. L'accumulo di referenze diverse dà all'insieme dell'immagine tutta una serie di nuovi significati di cui la sensibilità del singolo spettatore è invogliata alla scoperta. Che relazione c'è fra una via porticata di Merano e un torrente di montagna? Oppure fra una statua lignea di Cristo e una scogliera a picco sul mare? Il pubblico è invitato a trovare delle risposte, senza dimenticare di prendere in considerazione anche i titoli delle opere che nascondono indizi fondamentali per questa ricerca. Una ricerca di significati che, come accennavo, ha bisogno di tempo: cosa a cui l'odierna civiltà dell'immagine, con le sue rappresentazioni “mordi e fuggi”, ci sta disabituando.
I segni musicali di Seloujanov
Maxim Seloujanov (1967) è musicista e pittore, rigorosamente in quest'ordine. Il suo complesso lavoro di composizione musicale, che egli concepisce come l'organizzazione di uno “spazio di tempo”, si riversa in quello pittorico o, per meglio dire, segnico. I suoi, infatti, non sono veri e propri quadri ma piccoli pensieri musicali trasposti dal pentagramma alla carta da disegno, in cui, pur lavorando con pastelli e pennarelli, non viene mai meno l'attitudine musicale, al punto che ogni disegno è concepito dallo stesso Seloujanov come un riferimento diretto a una sua composizione musicale. Come già in Kandinskij (non va dimenticato che Seloujanov è nato a Mosca e non a Salisburgo come invece Bock e Rainer), la comunanza fra musica e pittura si delinea attraverso l'astrazione, anche se in più di un'occasione i segni sembrano farsi figura, ed è facile rivedere in queste composizioni pervase da una infantilità poetica il riferimento a un altro grande esponente delle avanguardie storiche del Novecento, Paul Klee. Con queste piccole opere Seloujanov dichiara apertamente, attraverso i suoi referenti poetici e artistici, di appartenere a una cultura ibrida dove elementi russi e mitteleuropei convivono e in cui lo spettatore è invitato a entrare osservando ogni dettaglio della composizione con quello che potremmo definire “occhio musicale”.
Simone Zacchini
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