WE HYBRIDS!

WE HYBRIDS!, installation view at Istituto Svizzero, Roma I Ph. OKNO studio

 

Dal 15 Ottobre 2020 al 12 Febbraio 2021

Roma

Luogo: Istituto Svizzero

Indirizzo: via Ludovisi 48

Orari: martedì 14-18; da mercoledì a venerdì 11-18

Prolungata: fino al 12 febbraio 2021

Sito ufficiale: http://www.istitutosvizzero.it



Creature ibride o chimeriche hanno da sempre fatto parte del nostro immaginario culturale collettivo. Persino nei disegni e nelle sculture più antichi appaiono raffigurate creature che sfuggono a una chiara identificazione con un’unica specie, i cui corpi sono un assemblage di esseri umani e animali o di diversi tipi di animali. Basti pensare alla Grande Sfinge di Giza o al fauno, che nella mitologia romana era una creatura per metà uomo e metà caprone. Nel XXI secolo, gli ibridi sono onnipresenti. Da un lato, le loro potenziali forme si sono moltiplicate, raggiungendo un livello senza precedenti grazie ai progressi sia della tecnologia sia nel campo delle scienze naturali e dell’ingegneria genetica. Più che incroci tra umani e animali, gli ibridi di oggi si presentano come un vero e proprio miscuglio di materia umana (o comunque organica) e materia inanimata. Siamo tutti esseri ibridi: il nostro iPhone, ad esempio, è ormai da tempo diventato un’estensione del nostro corpo, come anche il microchip sottopelle è diventato realtà. Dall’altra parte, esistono sostanze invisibili, sintetiche, talvolta persino ormonali e psicoattive che assumiamo e che mescolandosi con il nostro corpo ci rendono creature ibride. A seconda del punto di vista o del contesto, queste trasformazioni possono essere considerate sia tentativi di ottimizzazione spinti dal capitalismo, sia gesti autoindotti e ostruzionistici. Dall’altro lato, gli ibridi e l’idea di ibridismo in generale si rivelano essere degli spunti di riflessione molto stimolanti. Le speculazioni su un mondo post umano o sui cyborg di Donna Haraway possono portarci a riflettere sul nostro presente, così come su una concezione più estesa dell’ibridismo, quale l’intreccio di due sistemi che sono normalmente separati. Contengono il potenziale per sviluppare concetti sociali alternativi, non-gerarchici e capaci di riunire varie specie, o strategie di sopravvivenza in un futuro tanto utopico quanto distopico.
“WE HYBRIDS!” è quindi sia un’affermazione sia una tesi. La mostra collettiva raggruppa sei giovani artisti(e) della Svizzera che affrontano il concetto dell’ibridismo attraverso diverse modalità mediatiche e narrative. Le interazioni e le connessioni tra l’uomo e la tecnologia, così come anche la fusione di corpi organici, microbici o meccanici, sono i temi al centro del lavoro di Vanessa Billy (*1978 Ginevra, vive e lavora a Zurigo). Nella mostra l’artista espone, tra le altre opere, cromosomi potenzialmente geneticamente mutati e un’installazione con “pelli” in lattice che potrebbero provenire dall’uomo, l’animale e la macchina. Chloé Delarue (*1986/Le Chesnay, FR, vive e lavora a Ginevra) è interessata sia alle novelle cyberpunk che all’influenza degli sviluppi tecnologici sul corpo e sulla mente umana. Dal 2015 lavora al suo complesso corpo TAFAA (Toward A Fully Automated Appareance), i cui oggetti sono un assemblage ibridi di materiali organici e inorganici che evocano per somiglianza resti archeologici del futuro. Florian Germann (*1978/Kreuzlingen, vive e lavora a Zurigo) sperimenta con differenti materiali e le loro “energie” (come lui stesso le definisce), e carica le sue sculture con delle storie particolari. È affascinato da Blade Runner, dai cyborg e dagli alieni. Gli oggetti da lui creati appositamente per la mostra sono combinazioni tra uomo, animale e macchina. Nelle vene di questi ‘esseri caldi, scintillanti, color simil pelle e geometricamente ridotte, scorrono benzina e olio. Influenzate da forme narrative speculative della letteratura di fantascienza, nella quale finzione e realtà si mischiano, la serie di foto “Fook Moon” (2018/2020) di Gabriele Garavaglia (*1981/Vercelli, IT, vive e lavora a Zurigo) prende spunto da una performance e mostra una serie di ritratti di, diciamo, creature simili a esseri umani i cui occhi, però, appaiono spaventosamente disumani. Allo stesso tempo un grande simbolo graffitato sul muro ci ammonisce contro il ‘biorischio’ (‘Biohazard’). Progettato negli anni ’60, il simbolo avverte i pericoli biologici, derivanti da sostanze o organismi di origine biologica – rifiuti sanitari, virus o campioni biologici contaminati da microrganismi. Mette quindi in guardia contro l’infezione e di conseguenza anche contro la mescolanza di materia umana e non umana, l’essere ibrido. Nel suo video Holobiont Society, Dominique Koch (*1983/Lucerna, vive e lavora a Basilea e Parigi) traccia i rapporti di potere del presente capitalista, che funge da sistema ibrido, talvolta conflittuale. Nel far ciò l’artista richiama il l’idea biologica dell’’olobionte, ovvero un organismo in cui convivono ospite, microbi, batteri e virus. Infine, Pamela Rosenkranz (*1979/Altdorf, vive e lavora a Zurigo e Steinhausen) presenta tre nuovi dipinti della serie “Sexual Power”, realizzati sotto gli effetti del Viagra, sostanza prodotta sinteticamente, che, una volta assunta la trasforma in un essere ibrido mescolando le sue capacità umane con quelle di una sostanza prodotta artificialmente.
 
Addendum: ho scritto le righe che precedono all’inizio di febbraio, quando della pandemia non sentivamo che un’eco lontana. All’inizio di marzo abbiamo deciso di posticipare la mostra “WE HIBRIDS!” di sei mesi. Il mondo è un posto completamente diverso oggi. Tuttavia, gli interrogativi degli artisti e le riflessioni che hanno ispirato rimangono rilevanti, forse ora più che mai. L’esperienza globale del paralizzante lockdown e la febbrile ricerca di una terapia ci mostrano che una co-esistenza con il virus sembra essere inevitabile. Come in un mondo estremamente tecnologico, non solo i microchip impiantati, ma anche i virus possono trasformarci in creature ibride: si annidano nei nostri corpi, provocando conseguenze potenzialmente letali, in diversi modi. Allo stesso tempo, in quanto società globalizzata abbiamo preso pienamente coscienza della vanità delle supposte gerarchie tra ‘uomo’ e ‘natura’. Inevitabilmente, mi ritrovo a pensare al legame tra umani, animali e altre creature propagato da Donna Haraway, alla sua richiesta di considerarsi ‘imparentati’ per accedere a un reticolo probabilmente conflittuale, ma già ibrido. E anche questa è probabilmente una versione futura con la quale dobbiamo fare i conti.   Gioia Dal Molin, autunno 2020
 
Contemporaneamente alla mostra collettiva “WE HYBRIDS!”, nel giardino dell’Istituto Svizzero sarà mostrata un’altra opera di Florian Germann, EUROWOLF, una nuova installazione site-specific che collega Roma con la collina di Villa Maraini. La scultura, modellata sulla base della pelliccia di una lupa nera rumena (le femmine di questa specie sono più grandi dei maschi, come sostiene l’artista) è appesa a uno degli alberi ad alto fusto del parco. La sua superficie riflettente proietta i raggi del sole in un punto ben preciso della città. L’oggetto non solo riporta alla mente la leggenda sulla fondazione di Roma, bensì crea anche un riferimento all’organizzazione sociale dei branchi di lupi, strutturati come un conglomerato sociale. Infine, la “Wolfsmaschine” – nelle parole dell’artista – è anche legata al tema della mostra “WE HYBRIDS!”, essendo anch’essa un ibrido tra animale e macchina. Rievoca il legame di parentela tra l’uomo e l’animale proposto da Donna Haraway, o alla sua esortazione a imparentarsi, a entrare in quello che probabilmente è anche un intreccio conflittuale eppure ibrido. E come non pensare a Romolo e Remo, allattati da una lupa e nutriti da un picchio.

Opening 15.10.2020 ore 17

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