Adelchi-Riccardo Mantovani. Il sogno di Ferrara
Dal 30 Ottobre 2022 al 05 Febbraio 2023
Rovereto | Trento
Luogo: Mart Rovereto
Indirizzo: Corso Bettini 43
Orari: mart-dom 10.00-18.00; ven 10.00-21.00. Lunedì chiuso
Curatori: Beatrice Avanzi. In collaborazione con Fondazione Ferrara Arte. Da un’idea di Vittorio Sgarbi
Costo del biglietto: Intero 11 Euro Ridotto 7 Euro Gratuito fino ai 14 anni e persone con disabilità
Telefono per informazioni: 800 397760
E-Mail info: info@mart.trento.it
Sito ufficiale: http://www.mart.trento.it
Ciò che oggi so l’ho imparato da solo. Sono, per così dire, un pittore selvaggio, perché sono cresciuto come un selvaggio, senza aiuti né sostegni. […]
Questa fu la mia scuola d’arte: osservare e disegnare»
Adelchi R. Mantovani
«Adelchi, fuori di ogni protezione o ideologia, ha dipinto,
tra serenità, nostalgia e inquietudine. Un sogno senza fine»
Vittorio Sgarbi
Arriva a Rovereto la prima mostra antologica su Adelchi-Riccardo Mantovani, straordinario pittore e disegnatore, noto principalmente in Germania, sua terra d’adozione. Organizzata dal Mart insieme a Ferrara Arte e al Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, la mostra ha avuto una prima tappa a Ferrara, al Castello Estense (5 marzo-9 ottobre).
L’esposizione ripercorre l’intera produzione di Mantovani – dagli esordi agli ultimi lavori – attraverso oltre cento opere, tra dipinti e disegni, che documentano la sua personale interpretazione di un realismo onirico costantemente nutrito dall’osservazione del vero e dalla memoria.
Nato a Ro Ferrarese nel 1942, Mantovani, rimasto orfano del padre, viene affidato alle suore dell’orfanotrofio di Ferrara dal 1946 al 1952 e poi mandato in collegio a seguire i corsi professionali per imparare il mestiere di tornitore. Nel 1964 si trasferisce in Germania e, due anni dopo, si stabilisce a Berlino, dove inizia a lavorare in fabbrica.
Il clima culturale della città lo incoraggia a riscoprire l’attitudine al disegno che si era manifestata ai tempi del collegio. Frequenta le scuole serali di pittura, i corsi di nudo, studia la storia dell’arte ed espone in mostre collettive insieme ad altri artisti. Nel 1979 abbandona i panni dell’operaio per indossare, definitivamente, quelli di pittore.
In questo periodo giunge a piena maturazione la sua singolare ricerca tesa alla creazione di un mondo allegorico e fiabesco, che affonda le radici nell’arte antica (la pittura del Quattrocento padano e il naturalismo fiammingo) e raccoglie al contempo i suggerimenti delle più affascinanti correnti figurative del primo Novecento, dalla Metafisica di de Chirico alla Nuova oggettività tedesca, dal Surrealismo di Delvaux e di Magritte al Realismo magico.
È come se tutta l’opera di Mantovani restasse in equilibrio tra due istanze e ne facesse sintesi: se da un lato c’è l’osservazione quasi maniacale della realtà e la sua fedele rappresentazione, dall’altro ci sono il sogno e quell’evocazione del fantasticosquisitamente ferrarese. Mantovani, che annovera tra i primi e più appassionati sostenitori Vittorio Sgarbi - ferrarese anch’egli - è in qualche modo erede culturale dei cinquecenteschi Ludovico Ariosto e Dosso Dossi e del moderno Giorgio de Chirico.
La mostra ripercorre in ordine cronologico e tematico i momenti del percorso creativo di Mantovani, che, recuperando i valori tradizionali della pittura e del disegno, destabilizza la percezione del dato reale, anche visionario, proiettandolo in atmosfere oniriche e sospese: dalle composizioni del periodo giovanile alle opere di sapore autobiografico e fiabesco degli anni Ottanta e Novanta; dalle immagini di gusto allegorico e popolare alle visioni specificatamente padane, agli ultimi lavori legati al tempo presente. Un viaggio ricco di delicate, intime suggestioni che racconta la vicenda umana e creativa di un uomo che «fin da bambino ha sempre avvertito l’impulso di tradurre pensieri e fantasie in immagini».
La mostra ripercorre il percorso creativo di Adelchi-Riccardo Mantovani (Ro Ferrarese, 1942), a partire da due intensi autoritratti giovanili e dalle opere degli esordi fino alla piena affermazione del suo stile visionario, contraddistinto da una capacità di evocazione fantastica che affonda le sue radici nella grande tradizione del Rinascimento ferrarese. Nell’esposizione si susseguono opere di sapore autobiografico e fiabesco, visioni ironiche e giocose, immagini di gusto allegorico e popolare, echi del paesaggio padano, riferimenti al tempo presente.
Come egli stesso afferma, Mantovani è un “pittore selvaggio”: un autodidatta che si è formato attraverso il continuo esercizio del disegno dal vero, mosso fin da bambino dall’impulso di tradurre pensieri e fantasie in immagini. Dopo la morte del padre, nel 1946, Adelchi cresce nell’orfanatrofio di Ferrara per poi essere mandato in collegio a imparare il mestiere di tornitore. Nel 1964 si trasferisce in Germania, dove lavora in fabbrica fino al 1979, quando finalmente può dedicarsi esclusivamente all’arte senza mai dimenticare le sue origini ferraresi.
Recuperando i valori tradizionali della pittura e del disegno, Mantovani destabilizza la percezione della realtà trasfigurandola in atmosfere oniriche e sospese, in sintonia con alcune delle più affascinanti correnti figurative del primo Novecento, dalla Metafisica di Giorgio de Chirico alla Nuova oggettività tedesca, dal Surrealismo di Delvaux e di Magritte al Realismo magico.
Gli esordi
Adelchi-Riccardo Mantovani scopre l’attitudine al disegno da bambino, negli anni difficili trascorsi in orfanotrofio e in collegio, quando di nascosto riempiva i quaderni di figure e per scacciare la paura della notte e l’infelicità della solitudine si raccontava delle storie. Col trasferimento a Berlino deve rinunciare, per qualche tempo, a dipingere ma nel 1966 ritrova la sua vocazione frequentando le scuole serali di pittura e i corsi di nudo.
Appartengono alle sue prime prove d’artista alcune enigmatiche composizioni dipinte a tempera su carta: opere che, pur nella diversità degli approcci adottati, sembrano guardare alla Metafisica e al Surrealismo. Nella stessa ottica si possono leggere Il funerale del pazzo del paese (1971), una visione allucinata dalle tinte acide a dai toni grotteschi, e la Natura morta (1971)dove coesistono una fredda oggettività e la presenza spiazzante delle piccole figure femminili.
Allegoria e sogno
La notte, tempo dei sogni, è protagonista di numerose opere di Mantovani, come i suggestivi paesaggi illuminati dalla luna che l’artista dipinge con una dovizia di particolari degna di un fiammingo del Quattrocento. Un’accuratezza descrittiva che, nelle tavole più piccole, si avvicina a quella di un miniaturista e, nei lavori più grandi, regala allo sguardo attento dell’osservatore sempre nuovi, sorprendenti, dettagli. Si vedano, ad esempio, gli animali selvaggi che si aggirano inesplicabilmente nella quiete della pianura in Notturno padano (1994): le scimmie sul tetto del casolare, la gigantesca civetta in mezzo al campo o i pinguini sull’argine del fiume.
La figura della cantastorie, ritratta in più di un dipinto, e quella di Orlando intento a raccontare a un meravigliato Don Chisciotte le sue prodezze ci ricordano, infine, come l’arte di Mantovani risponda a un’irresistibile impulso alla narrazione, attingendo dai capolavori della letteratura (l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto), dai miti e dalle allegorie.
Il gioco e l’avventura
Alle soglie degli anni Novanta, Mantovani è un artista ormai affermato che ha raggiunto una matura padronanza espressiva. Col tempo, come egli stesso sottolinea, “il contenuto e la tecnica esecutiva dei miei dipinti sono mutati. Essi sono dominati ora da grandi e quiete figure, intorno alle quali si sviluppano vicende, a volte fantastiche, a volte simboliche, a volte letterarie”. Ne è un esempio l’interpretazione in chiave fiabesca, con un’ambientazione neo-rinascimentale, del tema dell’incoronazione della Vergine in L’apoteosi di Pinocchia (1992).
In questi disegni e dipinti dalla preziosa fattura, dove l’artista si riappropria dell’antica tecnica dell’olio su tavola, emerge spesso il tema dell’infanzia, dell’ironia e del gioco.
Realismo onirico
Con la pazienza di un eccellente artigiano, Mantovani dà corpo ai sogni. Ogni suo quadro è eseguito con cura, lentamente, e preceduto da numerosi studi che qui sono esemplificati dai disegni di nudo per Zane e il pulcino (1998), un’opera per la quale ha posato la sua modella prediletta, Zane Berzina. In questa immagine di grande bellezza, dall’atmosfera sospesa, si possono riconoscere delle consonanze con alcuni lavori dedicati al corpo femminile da Felice Casorati e Cagnaccio di San Pietro.
Nei dipinti realizzati all’inizio del nuovo secolo, l’artista continua a illustrare, con la consueta accuratezza, visioni e ricordi, facendo emergere la nostalgia per i luoghi della sua infanzia. Come l’argine del Po lungo il quale si è fermata, seduta su un paracarro, la ragazza dal cappotto rosso: “Lei” – spiega Mantovani – “è quella che chiamano la pazza del paese. Ora attende qualcuno, ma non sa ancora chi. […] È una ragazza piena di misteri. Nessuno sa cosa vada a fare in città o altrove”.
L’incanto della visione
La pittura minuziosa e preziosamente cesellata di Mantovani contribuisce a produrre una visione incantata e incantevole, in particolar modo nelle numerose opere dedicate a splendide figure femminili. Esse possono provenire da un lontano passato, come la matematica, astronoma e filosofa neoplatonica Ipazia, appartenere al presente come l’amica che posa con in grembo un gatto certosino oppure essere personaggi letterari come La principessa santa, dove Mariagrazia, protagonista di un racconto di Mantovani intitolato Trefossi, viene santificata di fronte agli abitanti del paese.
Un curioso e divertito tributo a una delle sue attrici preferite è la tavola intitolata A date with Grace (2008), dove l’artista immagina la Kelly “in attesa di un amico che si fa aspettare mentre, nascosti dietro due tende, alcuni personaggi si burlano di lei”.
Surrealismo padano
Molte delle opere pittoriche di Mantovani traggono spunto dai suoi testi scritti, racconti con cui l’artista dà voce all’immaginazione e al ricordo in un contesto tipicamente padano, tra canali e pioppeti, piazze di paese e pianure brumose. È il caso de I fumetti di Valentino, che narra la vicenda di un alunno ingiustamente schiaffeggiato dall’amata maestra. In altri dipinti si possono riconoscere riferimenti a un racconto ambientato nel Medioevo (In viaggio con le fate), dove compare un carrozzone di saltimbanchi che riporta la scritta Il sole, come quello che si vede nel dipinto Arriva il sole (2009): un titolo chiaramente ironico, vista la giornata nebbiosa che rappresenta.
Le storie di Mantovani si intrecciano e i personaggi passano, come per osmosi, da un contesto all’altro, quando non sono addirittura chiamati a raccolta come in Paesaggio eroico (2008), dove l’artista bambino è circondato dagli “eroi” protagonisti dei suoi lavori precedenti: Pinocchia e la sua amica Beppa, Grace Kelly in abito bianco, la principessa santa tratta dal racconto Trefossi e tanti altri.
Favola e mito
In questi dipinti lo stupore del quotidiano e i ricordi d’infanzia si uniscono spesso alle atmosfere fiabesche e ai soggetti mitologici.
Tra le figure mitologiche rappresentate da Mantovani spicca Venere, che vediamo fuggire spaventata davanti a un’ape (un soggetto ispirato a un fatto realmente accaduto a una modella che posava per l’artista) o in compagnia della figlia Cupida (frutto di una trasformazione dal maschile al femminile di cui si possono trovare altri esempi nel lavoro di Mantovani).
Si distingue da queste opere solari che celebrano una femminilità trionfante – incarnata anche dalla regina de La festa del paese(2018) – la favola triste di Nebbia, un dipinto che si può vedere nella prossima sala e che rielabora il ricordodel giorno in cui il piccolo Adelchi percorse con la madre via Porta d’Amore a Ferrara prima di giungere all’orfanotrofio dove lei, povera vedova con tre figli a carico, dovette affidarlo alle suore.
Tempo presente
Nelle sue opere più recenti Mantovani continua a delineare il suo personale universo immaginifico popolato da sempre nuove fantasie. In questi lavori convivono ricordo e attualità, mondo antico e tempo presente: lo dimostrano la tavola raffigurante la Regina Mundi con le sembianze dell’attivista Greta Thunberg o la serie dedicata ai segni zodiacali, dove ricompare la ragazzina con i pantaloncini rossi e la maglietta bianca già incontrata in altri dipinti.
In Fuga dal paradiso (2021) l’artista rivisita le sacre scritture con la sua consueta ironia. Non più la tradizionale cacciata dal Paradiso bensì una fuga volontaria, dove Adamo ed Eva non sono caduti in tentazione assicurando, così, all’umanità un futuro diverso.
Tra tante ambientazioni di fantasia ispirate all’arte rinascimentale spicca un luogo reale che appartiene ai ricordi d’infanzia dell’artista: la piazza di Ro Ferrarese, il paese in cui è nato. Qui è ambientata l’opera La fine della guerra infinita, titolo che porta con sé un’amara considerazione: gli uomini cesseranno di combattere gli uni contro gli altri solo quando saranno scomparsi.
Questa fu la mia scuola d’arte: osservare e disegnare»
Adelchi R. Mantovani
«Adelchi, fuori di ogni protezione o ideologia, ha dipinto,
tra serenità, nostalgia e inquietudine. Un sogno senza fine»
Vittorio Sgarbi
Arriva a Rovereto la prima mostra antologica su Adelchi-Riccardo Mantovani, straordinario pittore e disegnatore, noto principalmente in Germania, sua terra d’adozione. Organizzata dal Mart insieme a Ferrara Arte e al Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, la mostra ha avuto una prima tappa a Ferrara, al Castello Estense (5 marzo-9 ottobre).
L’esposizione ripercorre l’intera produzione di Mantovani – dagli esordi agli ultimi lavori – attraverso oltre cento opere, tra dipinti e disegni, che documentano la sua personale interpretazione di un realismo onirico costantemente nutrito dall’osservazione del vero e dalla memoria.
Nato a Ro Ferrarese nel 1942, Mantovani, rimasto orfano del padre, viene affidato alle suore dell’orfanotrofio di Ferrara dal 1946 al 1952 e poi mandato in collegio a seguire i corsi professionali per imparare il mestiere di tornitore. Nel 1964 si trasferisce in Germania e, due anni dopo, si stabilisce a Berlino, dove inizia a lavorare in fabbrica.
Il clima culturale della città lo incoraggia a riscoprire l’attitudine al disegno che si era manifestata ai tempi del collegio. Frequenta le scuole serali di pittura, i corsi di nudo, studia la storia dell’arte ed espone in mostre collettive insieme ad altri artisti. Nel 1979 abbandona i panni dell’operaio per indossare, definitivamente, quelli di pittore.
In questo periodo giunge a piena maturazione la sua singolare ricerca tesa alla creazione di un mondo allegorico e fiabesco, che affonda le radici nell’arte antica (la pittura del Quattrocento padano e il naturalismo fiammingo) e raccoglie al contempo i suggerimenti delle più affascinanti correnti figurative del primo Novecento, dalla Metafisica di de Chirico alla Nuova oggettività tedesca, dal Surrealismo di Delvaux e di Magritte al Realismo magico.
È come se tutta l’opera di Mantovani restasse in equilibrio tra due istanze e ne facesse sintesi: se da un lato c’è l’osservazione quasi maniacale della realtà e la sua fedele rappresentazione, dall’altro ci sono il sogno e quell’evocazione del fantasticosquisitamente ferrarese. Mantovani, che annovera tra i primi e più appassionati sostenitori Vittorio Sgarbi - ferrarese anch’egli - è in qualche modo erede culturale dei cinquecenteschi Ludovico Ariosto e Dosso Dossi e del moderno Giorgio de Chirico.
La mostra ripercorre in ordine cronologico e tematico i momenti del percorso creativo di Mantovani, che, recuperando i valori tradizionali della pittura e del disegno, destabilizza la percezione del dato reale, anche visionario, proiettandolo in atmosfere oniriche e sospese: dalle composizioni del periodo giovanile alle opere di sapore autobiografico e fiabesco degli anni Ottanta e Novanta; dalle immagini di gusto allegorico e popolare alle visioni specificatamente padane, agli ultimi lavori legati al tempo presente. Un viaggio ricco di delicate, intime suggestioni che racconta la vicenda umana e creativa di un uomo che «fin da bambino ha sempre avvertito l’impulso di tradurre pensieri e fantasie in immagini».
La mostra ripercorre il percorso creativo di Adelchi-Riccardo Mantovani (Ro Ferrarese, 1942), a partire da due intensi autoritratti giovanili e dalle opere degli esordi fino alla piena affermazione del suo stile visionario, contraddistinto da una capacità di evocazione fantastica che affonda le sue radici nella grande tradizione del Rinascimento ferrarese. Nell’esposizione si susseguono opere di sapore autobiografico e fiabesco, visioni ironiche e giocose, immagini di gusto allegorico e popolare, echi del paesaggio padano, riferimenti al tempo presente.
Come egli stesso afferma, Mantovani è un “pittore selvaggio”: un autodidatta che si è formato attraverso il continuo esercizio del disegno dal vero, mosso fin da bambino dall’impulso di tradurre pensieri e fantasie in immagini. Dopo la morte del padre, nel 1946, Adelchi cresce nell’orfanatrofio di Ferrara per poi essere mandato in collegio a imparare il mestiere di tornitore. Nel 1964 si trasferisce in Germania, dove lavora in fabbrica fino al 1979, quando finalmente può dedicarsi esclusivamente all’arte senza mai dimenticare le sue origini ferraresi.
Recuperando i valori tradizionali della pittura e del disegno, Mantovani destabilizza la percezione della realtà trasfigurandola in atmosfere oniriche e sospese, in sintonia con alcune delle più affascinanti correnti figurative del primo Novecento, dalla Metafisica di Giorgio de Chirico alla Nuova oggettività tedesca, dal Surrealismo di Delvaux e di Magritte al Realismo magico.
Gli esordi
Adelchi-Riccardo Mantovani scopre l’attitudine al disegno da bambino, negli anni difficili trascorsi in orfanotrofio e in collegio, quando di nascosto riempiva i quaderni di figure e per scacciare la paura della notte e l’infelicità della solitudine si raccontava delle storie. Col trasferimento a Berlino deve rinunciare, per qualche tempo, a dipingere ma nel 1966 ritrova la sua vocazione frequentando le scuole serali di pittura e i corsi di nudo.
Appartengono alle sue prime prove d’artista alcune enigmatiche composizioni dipinte a tempera su carta: opere che, pur nella diversità degli approcci adottati, sembrano guardare alla Metafisica e al Surrealismo. Nella stessa ottica si possono leggere Il funerale del pazzo del paese (1971), una visione allucinata dalle tinte acide a dai toni grotteschi, e la Natura morta (1971)dove coesistono una fredda oggettività e la presenza spiazzante delle piccole figure femminili.
Allegoria e sogno
La notte, tempo dei sogni, è protagonista di numerose opere di Mantovani, come i suggestivi paesaggi illuminati dalla luna che l’artista dipinge con una dovizia di particolari degna di un fiammingo del Quattrocento. Un’accuratezza descrittiva che, nelle tavole più piccole, si avvicina a quella di un miniaturista e, nei lavori più grandi, regala allo sguardo attento dell’osservatore sempre nuovi, sorprendenti, dettagli. Si vedano, ad esempio, gli animali selvaggi che si aggirano inesplicabilmente nella quiete della pianura in Notturno padano (1994): le scimmie sul tetto del casolare, la gigantesca civetta in mezzo al campo o i pinguini sull’argine del fiume.
La figura della cantastorie, ritratta in più di un dipinto, e quella di Orlando intento a raccontare a un meravigliato Don Chisciotte le sue prodezze ci ricordano, infine, come l’arte di Mantovani risponda a un’irresistibile impulso alla narrazione, attingendo dai capolavori della letteratura (l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto), dai miti e dalle allegorie.
Il gioco e l’avventura
Alle soglie degli anni Novanta, Mantovani è un artista ormai affermato che ha raggiunto una matura padronanza espressiva. Col tempo, come egli stesso sottolinea, “il contenuto e la tecnica esecutiva dei miei dipinti sono mutati. Essi sono dominati ora da grandi e quiete figure, intorno alle quali si sviluppano vicende, a volte fantastiche, a volte simboliche, a volte letterarie”. Ne è un esempio l’interpretazione in chiave fiabesca, con un’ambientazione neo-rinascimentale, del tema dell’incoronazione della Vergine in L’apoteosi di Pinocchia (1992).
In questi disegni e dipinti dalla preziosa fattura, dove l’artista si riappropria dell’antica tecnica dell’olio su tavola, emerge spesso il tema dell’infanzia, dell’ironia e del gioco.
Realismo onirico
Con la pazienza di un eccellente artigiano, Mantovani dà corpo ai sogni. Ogni suo quadro è eseguito con cura, lentamente, e preceduto da numerosi studi che qui sono esemplificati dai disegni di nudo per Zane e il pulcino (1998), un’opera per la quale ha posato la sua modella prediletta, Zane Berzina. In questa immagine di grande bellezza, dall’atmosfera sospesa, si possono riconoscere delle consonanze con alcuni lavori dedicati al corpo femminile da Felice Casorati e Cagnaccio di San Pietro.
Nei dipinti realizzati all’inizio del nuovo secolo, l’artista continua a illustrare, con la consueta accuratezza, visioni e ricordi, facendo emergere la nostalgia per i luoghi della sua infanzia. Come l’argine del Po lungo il quale si è fermata, seduta su un paracarro, la ragazza dal cappotto rosso: “Lei” – spiega Mantovani – “è quella che chiamano la pazza del paese. Ora attende qualcuno, ma non sa ancora chi. […] È una ragazza piena di misteri. Nessuno sa cosa vada a fare in città o altrove”.
L’incanto della visione
La pittura minuziosa e preziosamente cesellata di Mantovani contribuisce a produrre una visione incantata e incantevole, in particolar modo nelle numerose opere dedicate a splendide figure femminili. Esse possono provenire da un lontano passato, come la matematica, astronoma e filosofa neoplatonica Ipazia, appartenere al presente come l’amica che posa con in grembo un gatto certosino oppure essere personaggi letterari come La principessa santa, dove Mariagrazia, protagonista di un racconto di Mantovani intitolato Trefossi, viene santificata di fronte agli abitanti del paese.
Un curioso e divertito tributo a una delle sue attrici preferite è la tavola intitolata A date with Grace (2008), dove l’artista immagina la Kelly “in attesa di un amico che si fa aspettare mentre, nascosti dietro due tende, alcuni personaggi si burlano di lei”.
Surrealismo padano
Molte delle opere pittoriche di Mantovani traggono spunto dai suoi testi scritti, racconti con cui l’artista dà voce all’immaginazione e al ricordo in un contesto tipicamente padano, tra canali e pioppeti, piazze di paese e pianure brumose. È il caso de I fumetti di Valentino, che narra la vicenda di un alunno ingiustamente schiaffeggiato dall’amata maestra. In altri dipinti si possono riconoscere riferimenti a un racconto ambientato nel Medioevo (In viaggio con le fate), dove compare un carrozzone di saltimbanchi che riporta la scritta Il sole, come quello che si vede nel dipinto Arriva il sole (2009): un titolo chiaramente ironico, vista la giornata nebbiosa che rappresenta.
Le storie di Mantovani si intrecciano e i personaggi passano, come per osmosi, da un contesto all’altro, quando non sono addirittura chiamati a raccolta come in Paesaggio eroico (2008), dove l’artista bambino è circondato dagli “eroi” protagonisti dei suoi lavori precedenti: Pinocchia e la sua amica Beppa, Grace Kelly in abito bianco, la principessa santa tratta dal racconto Trefossi e tanti altri.
Favola e mito
In questi dipinti lo stupore del quotidiano e i ricordi d’infanzia si uniscono spesso alle atmosfere fiabesche e ai soggetti mitologici.
Tra le figure mitologiche rappresentate da Mantovani spicca Venere, che vediamo fuggire spaventata davanti a un’ape (un soggetto ispirato a un fatto realmente accaduto a una modella che posava per l’artista) o in compagnia della figlia Cupida (frutto di una trasformazione dal maschile al femminile di cui si possono trovare altri esempi nel lavoro di Mantovani).
Si distingue da queste opere solari che celebrano una femminilità trionfante – incarnata anche dalla regina de La festa del paese(2018) – la favola triste di Nebbia, un dipinto che si può vedere nella prossima sala e che rielabora il ricordodel giorno in cui il piccolo Adelchi percorse con la madre via Porta d’Amore a Ferrara prima di giungere all’orfanotrofio dove lei, povera vedova con tre figli a carico, dovette affidarlo alle suore.
Tempo presente
Nelle sue opere più recenti Mantovani continua a delineare il suo personale universo immaginifico popolato da sempre nuove fantasie. In questi lavori convivono ricordo e attualità, mondo antico e tempo presente: lo dimostrano la tavola raffigurante la Regina Mundi con le sembianze dell’attivista Greta Thunberg o la serie dedicata ai segni zodiacali, dove ricompare la ragazzina con i pantaloncini rossi e la maglietta bianca già incontrata in altri dipinti.
In Fuga dal paradiso (2021) l’artista rivisita le sacre scritture con la sua consueta ironia. Non più la tradizionale cacciata dal Paradiso bensì una fuga volontaria, dove Adamo ed Eva non sono caduti in tentazione assicurando, così, all’umanità un futuro diverso.
Tra tante ambientazioni di fantasia ispirate all’arte rinascimentale spicca un luogo reale che appartiene ai ricordi d’infanzia dell’artista: la piazza di Ro Ferrarese, il paese in cui è nato. Qui è ambientata l’opera La fine della guerra infinita, titolo che porta con sé un’amara considerazione: gli uomini cesseranno di combattere gli uni contro gli altri solo quando saranno scomparsi.
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