Laura Bisotti. Quiet
Dal 17 Maggio 2014 al 17 Giugno 2014
Siena
Luogo: Galleria Zak Project Space - Palazzo Chigi Zondadari
Indirizzo: via Banchi di Sotto 42/44
Orari: da mer. a dom. 16-20; lun. e mar. su appuntamento
Curatori: Gaia Pasi
Telefono per informazioni: +39 346 9437211
E-Mail info: gaiapasi@gmail.com
Sito ufficiale: http://www.galleriazak.com
Mostra personale dell’ artista Laura Bisotti (Piacenza 1985) a cura di Gaia Pasi – apre sabato 17 maggio 2014 alle ore 18 presso la galleria Zak Project Space, Palazzo Chigi Zondadari, via di Banchi di Sotto 42/44, 53100 Siena.
Quiet riunisce il lavoro degli ultimi quattro anni dell’artista Laura Bisotti e vede come filo conduttore la necessità di indagare i luoghi e i territori, intesi come spazi da attraversare e da ridefinire sulle trame e sugli orditi di un’esperienza individuale. Un racconto ogni volta differente ma modulato sulle tracce fisiche e poetiche di una cartografia di disegni e di parole, di pittura liquida e di prelievi diretti o mediati.
Le tecniche incisorie sono la linea guida che risponde ad un’esigenza contemporanea di espressione costruttiva della propria fisicità, nonostante si riferiscano a sistemi produttivi provenienti da un’epoca tecnica ormai lontana ma qui più che mai attuale: appunti silenti, leggere sfumature di segni incisi, graffiati.
Bisotti – talvolta – traduce in immagini fotografiche la memoria del passato, plasmando gli orizzonti lunghi e piani dei luoghi da lei attraversati, dalla residenza romana presso l’Accademia di Spagna, alle coste del Golfo di Biscaglia fino a quelli della Pianura Padana, che fanno dei suoi momenti privati reportages metafisici, delicati ed impalpabili.
L’urgenza e il bisogno della metamorfosi e dello scrivere per immagini un nuovo racconto, parafrasato sul filo dell’orizzonte o sul ritmo delle maree della costa basca si manifesta in Geografie Atlantiche (2011), successione di leggerissimi fogli di carta giapponese su cui il disegno e la scrittura si mescolano al collage di frammenti di mappe navali del Golfo di Biscaglia, dando vita ad una cartografia tutta personale in cui la memoria del tempo trascorso in quei luoghi si mescola alle coordinate scientifiche.
Geografie di cadute (2013) descrive la caduta dei semi d’acero, un volteggio di elementi che cadendo a coppie compiono un movimento circolare su loro stessi, emulando un’elica. La ricerca e il bisogno di rendere visibile l’idea di leggerezza che il concetto dell’opera ha determina la realizzazione del lavoro stesso: piccoli pezzi di carta da architetto su cui sono state impressionate, con l’inchiostro nero, le impronte dei semi precedentemente raccolti e seccati, insieme al tracciato di linee disegnate a matita e appunti di scrittura che suggeriscono le traiettorie spazio-temporali della caduta; allo stesso tempo il lavoro è caratterizzato da una resa formale apparentemente fredda, minimale, lontano da un immediato richiamo al contesto di provenienza, quello naturale appunto. Stesso tema in Planano I (2013), dove i semi secchi della pianta dell’acero e gli elementi cartacei – impronte dei semi stessi realizzati per mezzo della ceramolle su zinco – sono stati fissati nell’attimo dell’ultimo effimero volteggio con spilli al supporto delle teche, dando quindi una visione controllata, ordinata – mediata da un approccio archivistico tipico della catalogazione museale.
In questo senso l’uso delle immagini fotografiche – come in Di giorno in giorno…Roma (2012) opera che nasce dal gesto quotidiano di scattare una fotografia alla veduta di una città: l’osservazione oggettiva e la memoria di un’azione ripetuta e silenziosa sono state l’impulso di un lavoro che vede un’installazione composta dall’unione di stampe realizzate con le tecniche incisorie tradizionali, fotografie analogiche e scrittura – e delle incisioni viene sottoposto a un processo di ri-definizione tra vissuto personale e memoria.
Con Cajas (2009) Bisotti raggiunge l’apoteosi dell”intimità concettuale del suo lavoro: l’idea della scatola, del contenitore, dell’involucro, del nido vuole stimolare una riflessione sulla condizione dell’identità corrosa dalla paura di aprirsi all’insolito che resta così chiusa nel proprio piccolo mondo. Le innumerevoli pieghe degli origami – metafora della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo che preferisce trovare rifugio nella propria solitudine – nascono da fogli di carta sui quali erano state precedentemente stampate delle incisioni, in cui si distinguono elementi che simboleggiano forse nidi o forse allusioni alla condizione del feto.
Ancora l’utilizzo pulito, delicato ed elegante delle teche per In volo (2012): cinque teche che presentano una narrazione visiva sul tema del volo. Segni ad acquaforte e vernice molle si uniscono a frammenti di carta velina macchiati con campiture di monotipo: sono la resa artistica dell’immanenza e della trascendenza, della terra e del cielo.
In Prove di volo (2012) il progetto è quello di un’osservazione di stormi di uccelli in volo che finalmente diviene narrazione visiva dove macchie e segni realizzati a monotipo si susseguono su di una serie di grandi fogli di carta appesi a parete. La ripetizione di più elementi simili per formato, supporto, scelta cromatica consente di creare un ritmo visivo che è geografia di traiettorie di volo ma anche mappatura mentale, tentativo di trascrizione di quei pensieri che ciclicamente riaffiorano sempre uguali, monotoni, quasi ossessivi. Cassetto d’inverno (2012) è l’emblema, dolce e melanconico, del cassetto dei ricordi: aprendolo è possibile sfogliare carte provenienti dalle pagine di un quaderno a quadretti consumate dal tempo su cui sono stati eseguiti interventi a monotipia, disegno e scrittura. I colori e i riferimenti testuali richiamano atmosfere invernali, pretesto per un racconto intimo mentale, lontano da qualsiasi riferimento razionale. Sempre della stessa matrice di nostalgia infantile, caratterizzata quindi dall’eleganza dell’emulazione consapevole del ricordo, In soffitta (2012) è un’installazione di cui è protagonista una partitura musicale: il suono si fa forma e oggetto visivo nella lunga striscia di carta i cui buchi divengono i caratteri possibili di una scrittura silenziosa, dettata dalla memoria. Viceversa, la partitura può farsi voce se l’osservatore si coinvolge nell’atto di suonare il carillon.
Laura Bisotti (Piacenza, 1985) frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove, nel 2010, consegue il Diploma di Secondo Livello in Arti Visive. Terminati gli studi, ottiene alcune borse di ricerca e finanziamenti da enti pubblici e privati che le consentono di vivere esperienze di residenze artistiche sia in Italia, sia all’estero (Fundación BilbaoArte – Spagna, Slade School of Fine Arts – Londra, Accademia di Spagna – Roma). Negli stessi anni partecipa a esposizioni collettive in Italia e Spagna e, nel 2010, tiene la sua prima mostra personale a Bilbao (Spagna) curata da Roberto Daolio. Negli ultimi mesi ha seguito il corso di formazione artistica Il mestiere delle arti – II edizione in occasione del quale ha preso parte al workshop Tessuto vissuto lab, condotto da Emilio Fantin. Oggi vive e lavora a Bologna, città in cui ha avviato, insieme con altri quattro artisti, il progetto Officine della Stampa Bologna che propone attività formative e culturali legate alla promozione e diffusione delle tecniche di stampa tradizionali e sperimentali.
Quiet riunisce il lavoro degli ultimi quattro anni dell’artista Laura Bisotti e vede come filo conduttore la necessità di indagare i luoghi e i territori, intesi come spazi da attraversare e da ridefinire sulle trame e sugli orditi di un’esperienza individuale. Un racconto ogni volta differente ma modulato sulle tracce fisiche e poetiche di una cartografia di disegni e di parole, di pittura liquida e di prelievi diretti o mediati.
Le tecniche incisorie sono la linea guida che risponde ad un’esigenza contemporanea di espressione costruttiva della propria fisicità, nonostante si riferiscano a sistemi produttivi provenienti da un’epoca tecnica ormai lontana ma qui più che mai attuale: appunti silenti, leggere sfumature di segni incisi, graffiati.
Bisotti – talvolta – traduce in immagini fotografiche la memoria del passato, plasmando gli orizzonti lunghi e piani dei luoghi da lei attraversati, dalla residenza romana presso l’Accademia di Spagna, alle coste del Golfo di Biscaglia fino a quelli della Pianura Padana, che fanno dei suoi momenti privati reportages metafisici, delicati ed impalpabili.
L’urgenza e il bisogno della metamorfosi e dello scrivere per immagini un nuovo racconto, parafrasato sul filo dell’orizzonte o sul ritmo delle maree della costa basca si manifesta in Geografie Atlantiche (2011), successione di leggerissimi fogli di carta giapponese su cui il disegno e la scrittura si mescolano al collage di frammenti di mappe navali del Golfo di Biscaglia, dando vita ad una cartografia tutta personale in cui la memoria del tempo trascorso in quei luoghi si mescola alle coordinate scientifiche.
Geografie di cadute (2013) descrive la caduta dei semi d’acero, un volteggio di elementi che cadendo a coppie compiono un movimento circolare su loro stessi, emulando un’elica. La ricerca e il bisogno di rendere visibile l’idea di leggerezza che il concetto dell’opera ha determina la realizzazione del lavoro stesso: piccoli pezzi di carta da architetto su cui sono state impressionate, con l’inchiostro nero, le impronte dei semi precedentemente raccolti e seccati, insieme al tracciato di linee disegnate a matita e appunti di scrittura che suggeriscono le traiettorie spazio-temporali della caduta; allo stesso tempo il lavoro è caratterizzato da una resa formale apparentemente fredda, minimale, lontano da un immediato richiamo al contesto di provenienza, quello naturale appunto. Stesso tema in Planano I (2013), dove i semi secchi della pianta dell’acero e gli elementi cartacei – impronte dei semi stessi realizzati per mezzo della ceramolle su zinco – sono stati fissati nell’attimo dell’ultimo effimero volteggio con spilli al supporto delle teche, dando quindi una visione controllata, ordinata – mediata da un approccio archivistico tipico della catalogazione museale.
In questo senso l’uso delle immagini fotografiche – come in Di giorno in giorno…Roma (2012) opera che nasce dal gesto quotidiano di scattare una fotografia alla veduta di una città: l’osservazione oggettiva e la memoria di un’azione ripetuta e silenziosa sono state l’impulso di un lavoro che vede un’installazione composta dall’unione di stampe realizzate con le tecniche incisorie tradizionali, fotografie analogiche e scrittura – e delle incisioni viene sottoposto a un processo di ri-definizione tra vissuto personale e memoria.
Con Cajas (2009) Bisotti raggiunge l’apoteosi dell”intimità concettuale del suo lavoro: l’idea della scatola, del contenitore, dell’involucro, del nido vuole stimolare una riflessione sulla condizione dell’identità corrosa dalla paura di aprirsi all’insolito che resta così chiusa nel proprio piccolo mondo. Le innumerevoli pieghe degli origami – metafora della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo che preferisce trovare rifugio nella propria solitudine – nascono da fogli di carta sui quali erano state precedentemente stampate delle incisioni, in cui si distinguono elementi che simboleggiano forse nidi o forse allusioni alla condizione del feto.
Ancora l’utilizzo pulito, delicato ed elegante delle teche per In volo (2012): cinque teche che presentano una narrazione visiva sul tema del volo. Segni ad acquaforte e vernice molle si uniscono a frammenti di carta velina macchiati con campiture di monotipo: sono la resa artistica dell’immanenza e della trascendenza, della terra e del cielo.
In Prove di volo (2012) il progetto è quello di un’osservazione di stormi di uccelli in volo che finalmente diviene narrazione visiva dove macchie e segni realizzati a monotipo si susseguono su di una serie di grandi fogli di carta appesi a parete. La ripetizione di più elementi simili per formato, supporto, scelta cromatica consente di creare un ritmo visivo che è geografia di traiettorie di volo ma anche mappatura mentale, tentativo di trascrizione di quei pensieri che ciclicamente riaffiorano sempre uguali, monotoni, quasi ossessivi. Cassetto d’inverno (2012) è l’emblema, dolce e melanconico, del cassetto dei ricordi: aprendolo è possibile sfogliare carte provenienti dalle pagine di un quaderno a quadretti consumate dal tempo su cui sono stati eseguiti interventi a monotipia, disegno e scrittura. I colori e i riferimenti testuali richiamano atmosfere invernali, pretesto per un racconto intimo mentale, lontano da qualsiasi riferimento razionale. Sempre della stessa matrice di nostalgia infantile, caratterizzata quindi dall’eleganza dell’emulazione consapevole del ricordo, In soffitta (2012) è un’installazione di cui è protagonista una partitura musicale: il suono si fa forma e oggetto visivo nella lunga striscia di carta i cui buchi divengono i caratteri possibili di una scrittura silenziosa, dettata dalla memoria. Viceversa, la partitura può farsi voce se l’osservatore si coinvolge nell’atto di suonare il carillon.
Laura Bisotti (Piacenza, 1985) frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove, nel 2010, consegue il Diploma di Secondo Livello in Arti Visive. Terminati gli studi, ottiene alcune borse di ricerca e finanziamenti da enti pubblici e privati che le consentono di vivere esperienze di residenze artistiche sia in Italia, sia all’estero (Fundación BilbaoArte – Spagna, Slade School of Fine Arts – Londra, Accademia di Spagna – Roma). Negli stessi anni partecipa a esposizioni collettive in Italia e Spagna e, nel 2010, tiene la sua prima mostra personale a Bilbao (Spagna) curata da Roberto Daolio. Negli ultimi mesi ha seguito il corso di formazione artistica Il mestiere delle arti – II edizione in occasione del quale ha preso parte al workshop Tessuto vissuto lab, condotto da Emilio Fantin. Oggi vive e lavora a Bologna, città in cui ha avviato, insieme con altri quattro artisti, il progetto Officine della Stampa Bologna che propone attività formative e culturali legate alla promozione e diffusione delle tecniche di stampa tradizionali e sperimentali.
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