Eugenio Giliberti. Bisbigli nelle stanze di Aurelia
Dal 16 Luglio 2012 al 31 Agosto 2012
Martina Franca | Taranto
Luogo: Palazzo Ducale
Indirizzo: piazza Roma 34
Orari: tutti i giorni 18-20; 14, 18, 22, 27, 29, 31 luglio e 2 agosto 17-19
Curatori: Fabrizio Vona, Angela Tecce
Enti promotori:
- Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia
- Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Puglia
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 080 4306763/ 080 5285231-209
E-Mail info: mbac-sbsae-pug@mailcert.beniculturali.it
Sito ufficiale: http://www.spsae-ba.beniculturali.it
Domenica 15 luglio 2012 alle ore 18.00 nel Palazzo Ducale di Martina Franca si inaugura la mostra “Bisbigli nelle stanze di Aurelia”, Eugenio Giliberti, promossa dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia e dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Puglia, e realizzata con un finanziamento erogato dalla Regione Puglia-Assessorato al Mediterraneo, alla Cultura e al Turismo nell'ambito del PO FESR 2007/2013 Asse IV.3.2. Alla manifestazione hanno dato la propria collaborazione il Comune di Martina Franca, il Centro artistico musicale Paolo Grassi di Martina Franca (TA) e la Banca Popolare di Bari. La manifestazione di arte contemporanea organizzata in concomitanza con il Festival Musicale della Valle d'Itria, giunto alla 38° edizione, è a cura di Fabrizio Vona e Angela Tecce.
Il titolo della mostra è un omaggio ad Aurelia Imperiali, sposa e presto vedova di Petracone V, dai costumi morigerati e dall’intenso sentimento religioso, che abitò il palazzo fino a 92 anni (1678-1770). Rispondendo al tema dell’edizione 2012 del Festival della Valle d’Itria, dedicato ai contrasti - a cui rimanda il verso di Torquato Tasso in esergo al Festival, nelle sale del Palazzo, tenute in penombra - come si suole per combattere la calura estiva e mantenere in buono stato dipinti e arredi di una casa padronale - l’installazione di Giliberti trae ispirazione da una delle “operette morali” di Giacomo Leopardi. Nella prima sala, in un ambiente oscurato, piccole sculture in cera, fissate a un disco rotante, raffigurano un omino ripreso in 48 diverse posizioni della corsa, del salto e del volo (Volo di un omino giallo - 2010) -. La luce intermittente, sincronizzata con il passaggio in un punto delle figurine, crea l’illusione del movimento come in un cartone animato tridimensionale. Il lavoro ispirato all’Elogio degli uccelli di Leopardi - qui allude alla necessità per l’arte di assumere un atteggiamento di estraneità ai conflitti per coglierne il senso. Essi vanno guardati dall’alto, non prendendone parte: una posizione di alterità, destinata a trovare verifiche e conferme solo nel futuro e non nel presente dello scontro.
Sull’ambiente successivo, sorta di anticamera della sala più grande detta “dell’Arcadia” si aprono le porte della piccola cappella privata dei duchi di Martina. Al centro, in posizione frontale rispetto all’altare della cappella, l’artista, sempre interessato e attratto dalle tracce del vissuto dei luoghi dove è chiamato a mostrare il proprio lavoro, con il semplice gesto di spostare l’inginocchiatoio dalla cappella (cui peraltro non è coerente per qualità e dimensione) evoca la vita vissuta nella grande residenza dalla duchessa Aurelia. Per sua dichiarazione l’inginocchiatoio non è “opera” come gli altri elementi della mostra, ma contribuisce alla realizzazione della sua atmosfera.
Nella terza sala (dell’Arcadia) tre oggetti, drammatizzati dai fasci di luce che contrastano con la penombra della sala, declinano ulteriormente il tema: da un arredo liturgico proveniente dalla chiesa di San Nicola dei Greci, un Confessionale (2012), settecentesco – arredo liturgico già presente nel palazzo ma ricollocato in altro luogo e ripulito della vernici stratificate per concorrere alle nuove esigenze installative dell’artista - ha origine un bisbiglio sonoro che recita una lettera di scuse del poeta marchigiano allo zio Carlo Antici per aver falsificato la sua firma in calce a una “tratta”, fatto che, scoperto, gli aveva causato un solenne rimprovero e provocato notevole disagio nelle relazioni familiari. Affrontato a questo lavoro è Senza titolo, 2012, uno zoccolo di legno di noce di uguale ingombro orizzontale del confessionale e alto cm 15, su cui è collocata una riproduzione in plastilina bianca del Palazzo Ducale. Dello stesso materiale è realizzato anche Senza titolo, 2012, il paio di scarpe femminili, dal disegno “barocco”, poste in contrasto con la fascia scura che decora il pavimento in marmo chiaro della sala e che potremmo immaginare essere le scarpe della vedova giovane ma rinviano idealmente a quelle calzature mai indossate dalle figure scalze dei dipinti di Caravaggio quanto a quelle dei musulmani lasciate fuori la moschea.
La mostra finisce così per essere un gioco di rimandi e parentele: da Tasso a Leopardi (si può ricordare a questo proposito il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio Familiare); dal fedele mussulmano alla fervente duchessa Aurelia, dal superbo contenitore alla sua riduzione a “contenuto” un coacervo di rimandi e contrasti cui l’artista risponde con gli occhi della meraviglia del gioco, l’omino che vola, e col disincanto della triste storia di debiti e sotterfugi cui il nostro maggior poeta e pensatore del XIX secolo fu costretto.
Il titolo della mostra è un omaggio ad Aurelia Imperiali, sposa e presto vedova di Petracone V, dai costumi morigerati e dall’intenso sentimento religioso, che abitò il palazzo fino a 92 anni (1678-1770). Rispondendo al tema dell’edizione 2012 del Festival della Valle d’Itria, dedicato ai contrasti - a cui rimanda il verso di Torquato Tasso in esergo al Festival, nelle sale del Palazzo, tenute in penombra - come si suole per combattere la calura estiva e mantenere in buono stato dipinti e arredi di una casa padronale - l’installazione di Giliberti trae ispirazione da una delle “operette morali” di Giacomo Leopardi. Nella prima sala, in un ambiente oscurato, piccole sculture in cera, fissate a un disco rotante, raffigurano un omino ripreso in 48 diverse posizioni della corsa, del salto e del volo (Volo di un omino giallo - 2010) -. La luce intermittente, sincronizzata con il passaggio in un punto delle figurine, crea l’illusione del movimento come in un cartone animato tridimensionale. Il lavoro ispirato all’Elogio degli uccelli di Leopardi - qui allude alla necessità per l’arte di assumere un atteggiamento di estraneità ai conflitti per coglierne il senso. Essi vanno guardati dall’alto, non prendendone parte: una posizione di alterità, destinata a trovare verifiche e conferme solo nel futuro e non nel presente dello scontro.
Sull’ambiente successivo, sorta di anticamera della sala più grande detta “dell’Arcadia” si aprono le porte della piccola cappella privata dei duchi di Martina. Al centro, in posizione frontale rispetto all’altare della cappella, l’artista, sempre interessato e attratto dalle tracce del vissuto dei luoghi dove è chiamato a mostrare il proprio lavoro, con il semplice gesto di spostare l’inginocchiatoio dalla cappella (cui peraltro non è coerente per qualità e dimensione) evoca la vita vissuta nella grande residenza dalla duchessa Aurelia. Per sua dichiarazione l’inginocchiatoio non è “opera” come gli altri elementi della mostra, ma contribuisce alla realizzazione della sua atmosfera.
Nella terza sala (dell’Arcadia) tre oggetti, drammatizzati dai fasci di luce che contrastano con la penombra della sala, declinano ulteriormente il tema: da un arredo liturgico proveniente dalla chiesa di San Nicola dei Greci, un Confessionale (2012), settecentesco – arredo liturgico già presente nel palazzo ma ricollocato in altro luogo e ripulito della vernici stratificate per concorrere alle nuove esigenze installative dell’artista - ha origine un bisbiglio sonoro che recita una lettera di scuse del poeta marchigiano allo zio Carlo Antici per aver falsificato la sua firma in calce a una “tratta”, fatto che, scoperto, gli aveva causato un solenne rimprovero e provocato notevole disagio nelle relazioni familiari. Affrontato a questo lavoro è Senza titolo, 2012, uno zoccolo di legno di noce di uguale ingombro orizzontale del confessionale e alto cm 15, su cui è collocata una riproduzione in plastilina bianca del Palazzo Ducale. Dello stesso materiale è realizzato anche Senza titolo, 2012, il paio di scarpe femminili, dal disegno “barocco”, poste in contrasto con la fascia scura che decora il pavimento in marmo chiaro della sala e che potremmo immaginare essere le scarpe della vedova giovane ma rinviano idealmente a quelle calzature mai indossate dalle figure scalze dei dipinti di Caravaggio quanto a quelle dei musulmani lasciate fuori la moschea.
La mostra finisce così per essere un gioco di rimandi e parentele: da Tasso a Leopardi (si può ricordare a questo proposito il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio Familiare); dal fedele mussulmano alla fervente duchessa Aurelia, dal superbo contenitore alla sua riduzione a “contenuto” un coacervo di rimandi e contrasti cui l’artista risponde con gli occhi della meraviglia del gioco, l’omino che vola, e col disincanto della triste storia di debiti e sotterfugi cui il nostro maggior poeta e pensatore del XIX secolo fu costretto.
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