Farian Sabahi. I Bambini di Teheran
Dal 26 Gennaio 2018 al 11 Febbraio 2018
Torino
Luogo: MAO Museo d’Arte Orientale
Indirizzo: via San Domenico 11
Orari: 10 -18; sab-dom h 11 – 19; chiuso lunedì. La biglietteria chiude un'ora prima
Enti promotori:
- Fondazione Torino Musei
- MAO Museo d’Arte Orientale
Costo del biglietto: intero € 10, ridotto € 8, gratuito fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte
Telefono per informazioni: +39 011.4436927
E-Mail info: mao@fondazionetorinomusei.it
Sito ufficiale: http://www.maotorino.it/
Anche dopo molti anni, a un’età di tutto rispetto,
anche dopo che il tempo avrà mutato il loro aspetto,
adornandoli di calvizie e barba canuta,
li chiameremo sempre “I bambini di Teheran”.
Si porteranno l’appellativo di Bambini fino alla vecchiaia
come un suono estraneo e strano. Ma il cielo è testimone
che anni addietro, nel tempo dell’infanzia,
il termine Bambini era per loro ancor più estraneo.
Perché nell’anziano a volte dimora un fanciullo,
ma “I bambini di Teheran” è un titolo che cela
il ricordo di un tempo cruento, persecutore e devastatore,
in cui ogni bambino lottava per la sua vita come un vecchio.
Nathan Alterman
Un continuo alternarsi di piani artisti e storici, visivi e musicali, religiosi e laici, costruiscono il progetto artistico di Farian Sabahi, storica e giornalista italo-iraniana.
A partire dal 2008, l'autrice ha fatto ricerca, anche con un approccio di storia orale, su una vicenda poco nota che risale alla Seconda guerra mondiale e lega, con un unico filo, la Polonia, l'Iran e Israele.
Diversi anni di lavoro hanno permesso di costruire una rete di conoscenze che, a sua volta, ha portato alle interviste a quattro anziani ebrei polacchi incontrati in Israele.
I Bambini di Teheran è una video installazione di circa trenta minuti, poetica, delicata e dirompente, drammaticamente veritiera nei suoi aspetti storici. Al visitatore rammenta uno dei periodi più bui dell’Europa del XX secolo, ma anche una storia di accoglienza, di quando fu l’Iran a farsi carico dei profughi polacchi, ebrei e cattolici, provenienti dall'Europa. Protagonisti del video sono quattro ebrei polacchi che all'inizio della Seconda guerra mondiale scapparono dalla Polonia invasa dai tedeschi verso la Polonia occupata dai sovietici. Da qui furono deportati nei campi di lavoro in Siberia, poi in Uzbekistan in orfanotrofi spesso gestiti da istituzioni cattoliche. Una tappa importante del loro lungo viaggio è Teheran, che il 25 agosto 1941 fu invasa dalle truppe britanniche e sovietiche, qui si fermarono oltre un anno e per questo sono chiamati i Bambini di Teheran.
A unire le vicende personali dei quattro protagonisti, consapevoli di essere scampati all'Olocausto e della fortuna di aver ritrovato le famiglie in Israele, è la voce fuori campo di un quattordicenne, che a ogni tappa di questo lungo viaggio ricorda al pubblico le vicende storiche di quel periodo.
Il cortometraggio I bambini di Teheran è stato pre-selezionato per la sezione Diritti Umani Oggi di Sguardi Altrove Film Festival che si terrà a Milano dal 12-19 marzo 2018.
Ad accogliere il pubblico al piano nobile dello storico Palazzo Mazzonis sono le lettere: quelle in ebraico, in argilla, dell’artista Gabriel Levy e quelle in caratteri latini, tessuti con un filo di lana rosso, della giovane Ivana Sfredda.
Per entrambi gli artisti la materia non è casuale: argilla e lana sono materiali naturali, facilmente deperibili con il tempo e l'usura. Fragili come lo sono le giovani esistenze degli ebrei polacchi protagonisti del cortometraggio di Farian Sabahi.
Significativi anche i contenuti.
Torinese-israeliano Gabriele Levy, di madre piemontese di Alessandria e di padre ebreo sefardita di Alessandria d'Egitto, ha scritto Yaldei Teheran in azzurro su fondo nero, due parole che in ebraico vogliono dire “I bambini di Teheran” a indicare il titolo dell'opera di Sabahi, un'immagine che è quella con cui si apre il cortometraggio. Attraverso il linguaggio artistico la collaborazione tra Farian Sabahi e Gabriele Levy va oltre le invettive dei politici e porta l’arte a lasciapassare delle idee. Di fatto, l'arte si conferma come una modalità di superamento delle reciproche differenze e uno strumento che avvicina le persone.
Originaria di Termoli, Ivana Sfredda studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Torino ha delineato su una parete con un filo di lana rossa la linea del tragitto dei Bambini di Teheran dalla Polonia alla Siberia e poi in Uzbekistan, Iran, India, Yemen e Palestina. Il filo rosso prosegue all’esterno della sala, dando vita alle parole di Nathan Alterman, il poeta israeliano nato a Varsavia che scrisse versi celebri dedicati appunto a questi bambini le cui esperienze li resero maturi anzitempo. Sono quei versi a chiudere il cortometraggio, versi letti da un adolescente che è la voce narrante del video.
Ivana Sfredda ha scelto il ricamo per diversi motivi: rappresenta quel femminile che è venuto a mancare ai bambini di Teheran, costretti ad abbandonare le loro famiglie e quindi le loro madri; è il filo che lega i diversi paesi attraversati ma è anche il simbolo della tessitura e quindi dei tappeti persiani che accolgono i profughi in terra d'Iran e nella stessa sala del Museo d'Arte Orientale. A indicare un calore e un'accoglienza che, nel loro peregrinare in terre straniere attraverso l'Europa e l'Asia, non avrà pari.
Se le lettere di Gabriel Levy sono collocate nella parete di sinistra e saranno illuminate da un faretto, quelle di Ivana Sfredda nella parete di destra al buio, perché i Bambini di Teheran avanzano, nel loro percorso, alla cieca, senza sapere quale sarà la loro destinazione successiva.
Il visitatore è chiamato a far parte dell’opera I bambini di Teheran: un samovar per il tè accoglie il pubblico con la consueta ospitalità del popolo persiano; come avviene d'abitudine nelle case, prima di entrare nella sala il visitatore è invitato a togliersi le scarpe e ad accomodarsi sui tappeti a gambe incrociate oppure appoggiando la schiena ai cuscini. Gesti che vogliono alludere a qualcosa di profondo e di attuale: “quando si è ospiti, è opportuno rispettare le tradizioni, gli usi e i costumi locali”. Un messaggio che – osserva Farian Sabahi - “va letto anche in chiave contemporanea”.
Colonna sonora dell’esperienza artistica è Elegy for the Arctic di Ludovico Einaudi, brano scelto dall’autrice del progetto assieme al compositore torinese.
Il video dell’installazione proposta al MAO, fino all’11 febbraio, sarà ospitato nell’auditorium del Mudec, il Museo delle Culturedi Milano, nella sola giornata della memoria, martedì 13 febbraio.
In concomitanza con il Mese della Memoria, iniziativa giunta alla decima edizione e nata per ricordare le vittime dei genocidi e delle persecuzioni, vecchie e nuove, e riflettere sulle tematiche di integrazione e accoglienza anche alla luce dei più cogenti fatti di attualità, il video I Bambini Teheran sarà proiettato anche in diversi Presidi del Libro, associazione che si occupa di promozione della lettura attraverso circoli diffusi in tutta Italia, soprattutto in Puglia, in presenza dell'autrice.
Il video è disponibile con testi e sottotitoli in italiano, francese e inglese.
Farian Sabahi (1967) è scrittrice e giornalista specializzata sul Medio Oriente e in particolare su Iran e Yemen, con un’attenzione particolare alle questioni di genere. Durante la guerra in Kosovo, Farian aveva realizzato l’installazione BornBlind sui bambini nati dagli stupri, opera multimediale interattiva realizzata con l’artista torinese Ennio Bertrand e presentata allo Stadthaus di ULM, 1999. È autrice del testo per il teatro Noi donne di Teheran (Mimesis, Milano 2013)e di altri volumi tra cui l'intervista Il mio esilio. Shirin Ebadi con Farian Sabahi (Zoom Feltrinelli 2014), i saggi Storia dello Yemen (Bruno Mondadori 2010) e Storia dell’Iran 1890-2008(Bruno Mondadori, Milano 2003-2005-2009), i reportage Un’estate a Teheran(Laterza, Roma 2007, prefazione di Sergio Romano) e Islam: l’identità inquieta d’Europa. Viaggio tra i musulmani d’Occidente (Il Saggiatore, Milano 2006, prefazione di Ferruccio De Bortoli) e il saggio The Literacy Corps in Pahlavi Iran 1963-1979(Ed. Sapiens, Lugano 2002). Ha conseguito il dottorato in Storia dell'Iran presso la School of Oriental and African Studies di Londra e insegna il seminario “Relazioni internazionali del Medio Oriente” all’Università della Valle d’Aosta. Scrive regolarmente sul Corriere della Sera e sul settimanale Io Donna e per vent'anni ha recensito libri sul Medio Oriente e l’Islam sulle pagine di cultura del Sole24Ore. Collabora con le emittenti televisive Rai Uno, RaiNews24 e BBC Persian. Si occupa di Iran e Yemen per Radio Popolare.
Gabriele Levy (1958) Dopo la maturità conseguita a Torino, nel 1980 si trasferisce in Israele dove lavora prima nel kibbutz Bet Nir con gli artisti Moshe Shek (detto "Juk") e C. Kalman, producendo manufatti in argilla, cemento e ferro e impara le tecniche del collage di tessuti. "Preso anche lì a fare il militare”, Levy si ritrova coinvolto in una guerra che non è sua e scrive un lungo diario e alcuni brevi racconti sui bellissimi e strani incontri, assolutamente pacifici, che aveva con il "nemico". Levy si diploma come Tecnico delle Materie plastiche, e si laurea in Ingegneria Gestionale. Tornato in Italia, Franco Angeli pubblica il suo libro sulla Logistica e la gestione dei materiali. Nello stesso periodo studia gli scritti di Rav Matitiahu Glazerson e scrive un nuovo libro sui segreti delle lettere dell'alfabeto ebraico, tiene contestualmente conferenze sul tema in varie città' italiane e inizia la produzione di formelle in argilla con in rilievo lettere ebraiche. Produce per la sinagoga di Torino la prima frase della Torah e realizza per il Museo ebraico di Casale Monferrato l'intero alfabeto ebraico. Nel 1995 crea sul web il primo portale ebraico in lingua italiana. Collabora nel corso degli anni con artisti e comunicatori, tra i quali Emanuele Luzzatti, Aldo Mondino, Tobia Ravà, Ugo Nespolo, Angelica Calò Livnè e Moni Ovadia. Nel 1997, in occasione del Festival della Cultura Ebraica di Venezia, espone all'ingresso del Ghetto decine di lettere fatte in nuovi materiali. Segue un periodo dedicato ai photocollagesche raccontano la storia del popolo ebraico, dei primi tentativi di hidden art e double art, da cui nasce l'opera d'arte vista come un oggetto dinamico con cui lo spettatore può interagire spazialmente e temporalmente. Nei giorni in cui con terrore seguiva da lontano gli autobus che esplodevano per le strade di Gerusalemme, inizia ad usare vernici fosforescenti su mappe e fotocollages, creando così l'arte fosforescente da vedere al buio. Nel 2003 tiene una serie di lezioni con Ugo Nespolo, incentrate sull'arte come strumento di liberazione ed espone a Merano con altri esponenti contemporanei dell'arte ebraica in Italia nella mostra Sogno di pace. In seguito realizza alcune opere per il Museo Ebraico di Pisa. Dal 2008 si dedica all'arte modulare, a partire da un modulo pressoché vuoto il pubblico può creare la propria interpretazione aggiungendo e abbinando “pezzi” creati dall’artista. Le opere di Levy si trovano esposte in collezioni pubbliche e private, in Italia, Argentina, Danimarca, Spagna, Stati Uniti, Svizzera ed Israele.
Ivana Sfredda (1995) iscritta all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, nel 2014 consegue una prima laurea triennale e nell’ottobre del 2017 in Progettazione Artistica per l’impresa; oggi è iscritta alla medesima Accademia per conseguire una laurea magistrale in Nuove Tecnologie per l’Arte. Dal 2014 a oggi ha partecipato a diverse esposizioni collettive: a Genova, Varsavia, Torino, Termoli, Rodello e Alba. Nel 2017, grazie al programma universitario ErasmusPlus, si trasferisce a Varsavia, Polonia, dove soggiornerà per sei mesi. A Breslavia, in Polonia, avrà luogo la sua prima mostra personale. Dopo la laurea inizia a collaborare con alcuni docenti dell’Accademia Albertina di Torino in diversi progetti.
Inaugurazione Venerdì 26 gennaio 2018 ore 18
Interverranno:
Sarah Kaminski (Univ. Torino), Krystyna Jaworska (Univ. Torino) e Farian Sabahi (scrittrice e giornalista)
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