Riccardo De Marchi. Alfabeto possibile
Dal 05 Ottobre 2014 al 07 Dicembre 2014
Udine
Luogo: Casa Cavazzini - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine
Indirizzo: via Cavour 14
Orari: da martedì a domenica 10.30-17
Costo del biglietto: € 5
Telefono per informazioni: +39 0432 414772
Sito ufficiale: http://www.udinecultura.it/
Casa Cavazzini rende omaggio all’arte di Riccardo De Marchi. Fino al 7 dicembre 2014 le sale al pianoterra del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine ospiteranno le opere dell’artista di origini friulane, ma che si muove e rintraccia i suoi punti di riferimento su un orizzonte internazionale. L’esposizione accoglie una ventina tra lavori singoli e installazioni eseguite per l’occasione che testimoniano, basandosi su alcuni snodi cruciali, il suo intero percorso professionale, sviluppatosi in quasi trent’anni di attività.
A dispiegarsi sotto gli occhi dei visitatori sarà un itinerario che mettendo a confronto sperimentazioni del passato con la produzione più recente, racconterà di un cammino di ricerca coerente, volto a sondare, tra assenza e presenza di materia, le possibilità di un codice comunicativo costruito sulle tracce di un personalissimo modo di sentire e di essere nel mondo. Si tratti di lamiere metalliche, di blocchi di plexiglas o plastica, di pannelli truciolari, delle copertine di vecchi dischi, De Marchi utilizza il materiale quale supporto delle sue interminabili narrazioni cifrate rese esplicite dal procedere ordinato dai fori praticati dalle punte di un trapano.
A partire dai suoi esordi, compiuti presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia con una mostra personale nel 1986, l’artista ha sviluppato un linguaggio espressivo, tutto orchestrato sul rapporto tra il segno, la traccia e la presenza o assenza di materia. Dai primi dipinti carichi di colore denso e pastoso, colato sulla tela e reso ancor più materico dall’aggiunta di elementi estranei quali sabbia, cenere e colla, Riccardo De Marchi è approdato, nei primi anni Novanta, all’utilizzo di supporti rigidi specchianti od opachi sui quali egli interviene realizzando tracciati di fori che attraversano la superficie, la incidono da parte a parte ponendo l’opera in diretto contatto con la terza dimensione. Ad essere evocate, inizialmente, sono forme archetipiche e simboliche, solo in un secondo tempo le sagome, lasciano il posto a tracciati rettilinei che si intersecano sulle superfici come le righe di una fitta scrittura. La fisicità accentuata dei primi lavori, vissuti, attraversati e calpestati quali pezzi di esistenza, si stempera progressivamente nei supporti in acciaio e plexiglas, in cui il percorso dei buchi diventa semplicemente un modo per evocare i ritmi di un ricordo e le varie fasi della memoria. I tributi a Lucio Fontana e a Jackson Pollock sotto forma di lettera, costituiranno il fulcro dell’esposizione rappresentando il riconoscimento di un punto di partenza ideale, declinato e reinterpretato in forma del tutto personale. Da lì gli esiti conseguiti nei lavori più recenti, pensati proprio per Casa Cavazzini. Tra questi Ipazia è certamente l’opera più affascinante e al contempo quella dove maggiormente si inquadra il senso e il significato di tutto l’operare di De Marchi. Il richiamo del titolo alla città invisibile raccontata da Italo Calvino nel suo libro, rimanda a un luogo creato dalla fantasia dell’autore nel quale le parole comuni mutano il loro significato usuale per acquistarne uno completamente nuovo, ma in relazione simbolica con quello originario. Per comprendere il linguaggio di Ipazia e la sua essenza è dunque necessario liberarsi da qualsiasi immagine o significante precedente e dare libero corso al dispiegarsi di inedite associazioni di concetti. Ed è questo anche il senso della monumentale superficie che l’artista ha attraversato intrecciando percorsi ordinati di fori che, restituendo visivamente il gioco calibrato nell’alternarsi di ombra e luce, ritessono racconti che è possibile decifrare solo se si è in grado di immaginare significati alternativi ai canali di comunicazione comuni. Diversa è la logica che presiede a Videre, opera costituita da una lastra in plexiglas ideata per Casa Cavazzini e posta a separare idealmente, con un diaframma trasparente, la vista sul grande salone centrale, cuore dell’esposizione. Massa e volume si annullano nella fisicità materica dell’opera: a rimanere sono solo i fori in sospensione, codice binario che se correttamente interpretato può aprire un varco tra la dimensione personale e quella pubblica della comunicazione. La lastra permette allo sguardo del visitatore di seguire anche il percorso dei buchi praticati nel plexiglas e resi visibili da piccole traiettorie opache all’interno del materiale. La loro percezione varia col variare del punto di vista dell’osservatore moltiplicando le pagine del racconto che De Marchi ha scritto per lasciare a noi la possibilità di penetrare nel suo mondo e rendere appunto chiaro e cristallino il suo messaggio di poetica.
Riccardo De Marchi può contare al suo attivo la partecipazione a esposizioni collettive presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, la Biennale di Venezia, il Museo Fortuny e la Fondazione Peggy Guggenheim a Venezia, il MART a Rovereto e esposizioni personali presso Galleria Plurima a Udine Galleria d’Arte Niccoli a Parma, A arte Studio Invernizzi a Milano. Nel 2011 il MACRO a Roma gli ha dedicato una rassegna personale.
A dispiegarsi sotto gli occhi dei visitatori sarà un itinerario che mettendo a confronto sperimentazioni del passato con la produzione più recente, racconterà di un cammino di ricerca coerente, volto a sondare, tra assenza e presenza di materia, le possibilità di un codice comunicativo costruito sulle tracce di un personalissimo modo di sentire e di essere nel mondo. Si tratti di lamiere metalliche, di blocchi di plexiglas o plastica, di pannelli truciolari, delle copertine di vecchi dischi, De Marchi utilizza il materiale quale supporto delle sue interminabili narrazioni cifrate rese esplicite dal procedere ordinato dai fori praticati dalle punte di un trapano.
A partire dai suoi esordi, compiuti presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia con una mostra personale nel 1986, l’artista ha sviluppato un linguaggio espressivo, tutto orchestrato sul rapporto tra il segno, la traccia e la presenza o assenza di materia. Dai primi dipinti carichi di colore denso e pastoso, colato sulla tela e reso ancor più materico dall’aggiunta di elementi estranei quali sabbia, cenere e colla, Riccardo De Marchi è approdato, nei primi anni Novanta, all’utilizzo di supporti rigidi specchianti od opachi sui quali egli interviene realizzando tracciati di fori che attraversano la superficie, la incidono da parte a parte ponendo l’opera in diretto contatto con la terza dimensione. Ad essere evocate, inizialmente, sono forme archetipiche e simboliche, solo in un secondo tempo le sagome, lasciano il posto a tracciati rettilinei che si intersecano sulle superfici come le righe di una fitta scrittura. La fisicità accentuata dei primi lavori, vissuti, attraversati e calpestati quali pezzi di esistenza, si stempera progressivamente nei supporti in acciaio e plexiglas, in cui il percorso dei buchi diventa semplicemente un modo per evocare i ritmi di un ricordo e le varie fasi della memoria. I tributi a Lucio Fontana e a Jackson Pollock sotto forma di lettera, costituiranno il fulcro dell’esposizione rappresentando il riconoscimento di un punto di partenza ideale, declinato e reinterpretato in forma del tutto personale. Da lì gli esiti conseguiti nei lavori più recenti, pensati proprio per Casa Cavazzini. Tra questi Ipazia è certamente l’opera più affascinante e al contempo quella dove maggiormente si inquadra il senso e il significato di tutto l’operare di De Marchi. Il richiamo del titolo alla città invisibile raccontata da Italo Calvino nel suo libro, rimanda a un luogo creato dalla fantasia dell’autore nel quale le parole comuni mutano il loro significato usuale per acquistarne uno completamente nuovo, ma in relazione simbolica con quello originario. Per comprendere il linguaggio di Ipazia e la sua essenza è dunque necessario liberarsi da qualsiasi immagine o significante precedente e dare libero corso al dispiegarsi di inedite associazioni di concetti. Ed è questo anche il senso della monumentale superficie che l’artista ha attraversato intrecciando percorsi ordinati di fori che, restituendo visivamente il gioco calibrato nell’alternarsi di ombra e luce, ritessono racconti che è possibile decifrare solo se si è in grado di immaginare significati alternativi ai canali di comunicazione comuni. Diversa è la logica che presiede a Videre, opera costituita da una lastra in plexiglas ideata per Casa Cavazzini e posta a separare idealmente, con un diaframma trasparente, la vista sul grande salone centrale, cuore dell’esposizione. Massa e volume si annullano nella fisicità materica dell’opera: a rimanere sono solo i fori in sospensione, codice binario che se correttamente interpretato può aprire un varco tra la dimensione personale e quella pubblica della comunicazione. La lastra permette allo sguardo del visitatore di seguire anche il percorso dei buchi praticati nel plexiglas e resi visibili da piccole traiettorie opache all’interno del materiale. La loro percezione varia col variare del punto di vista dell’osservatore moltiplicando le pagine del racconto che De Marchi ha scritto per lasciare a noi la possibilità di penetrare nel suo mondo e rendere appunto chiaro e cristallino il suo messaggio di poetica.
Riccardo De Marchi può contare al suo attivo la partecipazione a esposizioni collettive presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, la Biennale di Venezia, il Museo Fortuny e la Fondazione Peggy Guggenheim a Venezia, il MART a Rovereto e esposizioni personali presso Galleria Plurima a Udine Galleria d’Arte Niccoli a Parma, A arte Studio Invernizzi a Milano. Nel 2011 il MACRO a Roma gli ha dedicato una rassegna personale.
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