Renato Mambor. Mambor Trasformatore
Dal 13 Maggio 2017 al 20 Settembre 2017
Venezia
Luogo: Isola di San Servolo
Indirizzo: Isola di San Servolo
Curatori: Alberto Dambruoso
Telefono per informazioni: +39 041 276 5001
In occasione della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, inaugurerà il 13 maggio all’isola di San Servolo la mostra Mambor Trasformatore a cura di Alberto Dambruoso.
La mostra, suddivisa in tre aree espositive (Area A, Manica lunga, che raccoglie una vasta selezione di fotografie; Area B, Padiglione Grecale, con le opere dagli anni ‘60 agli anni ‘90 e Area C Padiglione Libeccio, che comprende le opere dagli anni ‘90 al 2014), ripercorre attraverso la selezione di una cinquantina di opere pittoriche e scultoree e una ricca documentazione fotografica, l’esperienza artistica di Renato Mambor (1936 - 2014), uno dei più grandi artisti italiani degli ultimi sessant’anni, ovvero dal 1959 data delle sue prime opere, al 2014, anno della sua scomparsa. L’eccezionalità di Mambor Trasformatore risiede dunque nel suo essere un evento espositivo che consente di riscoprire tutta l’opera di Renato Mambor.
Protagonista della Scuola romana di Piazza del Popolo dei primi anni Sessanta insieme a Schifano, Angeli, Festa, Tacchi, Lombardo, Fioroni, Pascali, Mauri, Baruchello, Ceroli, Patella, Kounellis, Mambor ha attraversato tutto il decennio partecipando al clima di rinnovamento dell’arte dopo il periodo Informale e recitando un ruolo di primo piano anche come performer. Dopo aver inizialmente preso parte anche al clima concettuale tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta (verrà invitato anche alle prime mostre dell’Arte Povera), Mambor si dedicherà per lungo tempo al teatro d’avanguardia per ritornare all’attività espositiva a metà degli anni Ottanta, che non abbandonerà mai più fino alla sua scomparsa, ottenendo negli ultimi dieci anni grandi riconoscimenti dall’estero oltreché in Italia.
Tra le opere più significative presenti in mostra Diario 67, opera collettiva composta da 10 pannelli nella quale Mambor aveva chiamato a collaborare dieci suoi amici artisti (Boetti, Lombardo, Tacchi, Mauri, Icaro, Ceroli, Mattiacci, Marotta, Pascali ),e il Diario 2007 (composto da 11 trittici) che ben sintetizza la portata delle ricerca intrapresa nell’ultimo scorcio della sua carriera. Entrambi i Diari sono posti a confronto nella stessa area espositiva. Una sezione è anche dedicata alla documentazione fotografica riguardante il lavoro di carattere perfomativo realizzato dall’artista alla fine degli anni Sessanta - inizi Settanta e quello relativo all’esperienza teatrale che l’aveva visto protagonista dal 1973 al 1985.
Renato Mambor, fin dall’inizio della sua attività artistica, ha inteso sviluppare un discorso che mirasse ad entrare in contatto diretto con lo spettatore non attraverso l’imposizione della sua espressività bensì in modo oggettivo, nel ruolo di suggeritore, di indicatore di possibili realtà da cogliere o inquadrare sotto una diversa ottica. Etica ed estetica si sono fuse fin dal principio nella sua opera che si è posta da sempre come un manuale per l’educazione della vista e un dispositivo in grado di trasformare le persone attraverso l’esperienza con la sua opera.
“Guardare una cosa”, diceva Mambor, “è questione di accomodarla nel suo contesto abituale e di riconoscerla per quello che abbiamo imparato che è. Vederla è questione di inquadrarla in modo del tutto nuovo, del tutto fuori contesto”. Era ciò che aveva espresso in termini filosofici Gadamer in Verità e metodo: “Ciò che propriamente si sperimenta in un’opera d’arte, ciò che in essa attrae la nostra attenzione, non è piuttosto il suo essere o no vera, il fatto cioè che chi la contempla possa conoscere e riconoscere in essa qualcosa e, insieme, se stesso. Che cosa sia il riconoscimento, nella sua essenza più profonda, non lo si capisce se ci si limita a osservare che in esso viene conosciuto di nuovo qualcosa che già si conosce, che il conosciuto viene riconosciuto. Il piacere del riconoscimento consiste piuttosto nel fatto che in esso si conosce più di ciò che già si conosceva. Nel riconoscimento la cosa conosciuta emerge, per così dire, come attraverso una nuova illuminazione, dalla casualità e dalla variabilità delle condizioni in cui in genere è sommersa, e viene colta nella sua essenza”.
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