Un maestro del contemporaneo tra le montagne della Valle d’Aosta
Questa è pittura: Emilio Vedova al Forte di Bard
Emilio Vedova, Ciclo ’62 - (B.B.6), 1962. Colori acrilici vinilici, carboncino, carta e sabbia su tela, 145,5 x 185,5 cm. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
Francesca Grego
26/11/2024
Aosta - Libero, dissidente, curioso e ribelle, Emilio Vedova squarcia il velo dell’inverno al Forte di Bard nella grande mostra della stagione. Dal 30 novembre al 2 giugno circa cinquanta opere racconteranno la ricerca dell’artista veneziano tra le montagne della Valle d’Aosta, in un progetto realizzato con la collaborazione di 24 Ore Cultura e della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova: in arrivo 31 grandi dipinti e 22 opere su carta provenienti dalle raccolte della fondazione, da collezioni private e da importanti musei italiani come la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, i Musei Civici di Firenze, il Mart di Rovereto.
Figura chiave del contemporaneo non solo in Italia, Vedova ha attraversato l'ultimo secolo con il pennello caparbiamente stretto in mano, la passione per l'insegnamento, l'energia di una ricerca intima e dispendiosa, protesa fuori dalla tela per confrontarsi con lo spazio e dare voce al movimento con segni vibranti come nervi tesi. “Dipingere vuol dire trovarsi sempre senza fissa dimora, con i diavoli alle spalle che spingono avanti la tua mano, il tuo braccio, tutto il tuo corpo - osservava l’artista - Chissà che cosa si registra alla fine sulla tela: sgorbi, lava, sesso, impossibilità, sbarre, segni... Un territorio imprendibile che mi cambia in continuazione davanti agli occhi come fosse abitato da un animismo tremendo”.
Emilio Vedova al lavoro su Non Dove 1988 - III, 1988. Ph. Aurelio Amendola, Pistoia. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
A cura di Gabriella Belli, Emilio Vedova. Questa è pittura si propone di presentarne l’opera nella sua valenza artistica, “rifuggendo da ogni tentazione di lettura dettagliatamente pittorica o socio-politica, per indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che sempre stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della materia, espressione tra le più alte dell’Informale europeo”.
Al cuore della mostra, “il corto circuito tra realtà e verità, tra bene e male, che il lavoro di Vedova porta magistralmente alla luce nel furore del suo particolarissimo astrattismo”, spiega la curatrice. In otto sezioni si dipana il racconto dell’arte di Vedova, illustrato per temi, fasi ed episodi in ordine non strettamente cronologico. Il percorso inizia con l’esplorazione delle prime fonti di ispirazione dell’artista, dai veneziani Tintoretto, Tiepolo, Veronese incontrati girovagando giovanissimo tra calli e chiese della Laguna, alla lezione cubista, che nel secondo dopoguerra allena alla geometria astratta la mano di molti pittori in Europa. Subito dopo una serie di grandi dipinti testimonia il giuramento di fedeltà di Vedova alla pittura astratta, ormai svincolata dalle geometrie e gravida di gesto e materia, in un’aurora che ha già in sé l’essenza del suo lavoro.
Emilio Vedova, Interpretazione dal trasporto di S. Marco dal Tintoretto, 1936. Pastello e carboncino su cartone, 99,8 x 69,5 cm. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
La sezione Occupare lo spazio racconta una delle invenzioni più interessanti di Vedova, quella dei Plurimi, dove nuove forme dipinte prendono vita in legni carichi di materia e assemblati in cerniere: strane e inquietanti costruzioni che occupano il centro della sala, pittura tridimensionale che, deflagrando dalla parete, invade lo spazio. Opere di piccole dimensioni - tra cui molti inediti - sveleranno il metodo di lavoro e i processi creativi dell’artista, per poi proseguire il viaggio attraverso il “tragico esistenziale” che fa della sua opera “carne viva” esposta alle vicissitudini della vita e della storia, approdando infine alle forme allucinate degli anni Ottanta, dove la pittura si fa architettura visionaria, e ai grandi Tondi, frutti dell’impavido confronto di Vedova con la figura più sacra e perfetta, ultima azione radicale di un artista che ha sempre sfidato se stesso.
Emilio Vedova, Plurimo - A, 1962. Colori acrilici vinilici, pastello su elementi di legno polifrontali, cerniere in ferro, 157 x 110 x 219 cm. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
Figura chiave del contemporaneo non solo in Italia, Vedova ha attraversato l'ultimo secolo con il pennello caparbiamente stretto in mano, la passione per l'insegnamento, l'energia di una ricerca intima e dispendiosa, protesa fuori dalla tela per confrontarsi con lo spazio e dare voce al movimento con segni vibranti come nervi tesi. “Dipingere vuol dire trovarsi sempre senza fissa dimora, con i diavoli alle spalle che spingono avanti la tua mano, il tuo braccio, tutto il tuo corpo - osservava l’artista - Chissà che cosa si registra alla fine sulla tela: sgorbi, lava, sesso, impossibilità, sbarre, segni... Un territorio imprendibile che mi cambia in continuazione davanti agli occhi come fosse abitato da un animismo tremendo”.
Emilio Vedova al lavoro su Non Dove 1988 - III, 1988. Ph. Aurelio Amendola, Pistoia. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
A cura di Gabriella Belli, Emilio Vedova. Questa è pittura si propone di presentarne l’opera nella sua valenza artistica, “rifuggendo da ogni tentazione di lettura dettagliatamente pittorica o socio-politica, per indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che sempre stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della materia, espressione tra le più alte dell’Informale europeo”.
Al cuore della mostra, “il corto circuito tra realtà e verità, tra bene e male, che il lavoro di Vedova porta magistralmente alla luce nel furore del suo particolarissimo astrattismo”, spiega la curatrice. In otto sezioni si dipana il racconto dell’arte di Vedova, illustrato per temi, fasi ed episodi in ordine non strettamente cronologico. Il percorso inizia con l’esplorazione delle prime fonti di ispirazione dell’artista, dai veneziani Tintoretto, Tiepolo, Veronese incontrati girovagando giovanissimo tra calli e chiese della Laguna, alla lezione cubista, che nel secondo dopoguerra allena alla geometria astratta la mano di molti pittori in Europa. Subito dopo una serie di grandi dipinti testimonia il giuramento di fedeltà di Vedova alla pittura astratta, ormai svincolata dalle geometrie e gravida di gesto e materia, in un’aurora che ha già in sé l’essenza del suo lavoro.
Emilio Vedova, Interpretazione dal trasporto di S. Marco dal Tintoretto, 1936. Pastello e carboncino su cartone, 99,8 x 69,5 cm. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
La sezione Occupare lo spazio racconta una delle invenzioni più interessanti di Vedova, quella dei Plurimi, dove nuove forme dipinte prendono vita in legni carichi di materia e assemblati in cerniere: strane e inquietanti costruzioni che occupano il centro della sala, pittura tridimensionale che, deflagrando dalla parete, invade lo spazio. Opere di piccole dimensioni - tra cui molti inediti - sveleranno il metodo di lavoro e i processi creativi dell’artista, per poi proseguire il viaggio attraverso il “tragico esistenziale” che fa della sua opera “carne viva” esposta alle vicissitudini della vita e della storia, approdando infine alle forme allucinate degli anni Ottanta, dove la pittura si fa architettura visionaria, e ai grandi Tondi, frutti dell’impavido confronto di Vedova con la figura più sacra e perfetta, ultima azione radicale di un artista che ha sempre sfidato se stesso.
Emilio Vedova, Plurimo - A, 1962. Colori acrilici vinilici, pastello su elementi di legno polifrontali, cerniere in ferro, 157 x 110 x 219 cm. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia
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