Una mostra in due tappe: a Bergamo, fino al 28 Gennaio, e a Boston

Un inedito Botticelli, pittore del suo tempo. Alla Carrara le Storie di Lucrezia e di Virginia

Sandro Botticelli, Storia di Virginia, 1505 ca, tempera e oro in conchiglia su tavola, cm 83,3 x 165,5, Bergamo, Accademia Carrara, collezione Morelli, 1891
 

Eleonora Zamparutti

22/10/2018

Bergamo - Sandro Botticelli è il pittore che più di ogni altro è riuscito a celebrare la raffinatezza della corte medicea con due capolavori assoluti, la Primavera e la Nascita di Venere, entrambi dipinti di arredo di estrema bellezza contemplativa, commissionati con lo scopo di stimolare la conversazione alta ed erudita tra familiari, amici e ospiti suggerendo argomenti mitologici legati a fonti antiche e moderne, letterarie e pittoriche.
 
Due lavori che per certi aspetti congelano l’immagine di Sandro Botticelli in un cliché, relegando l’artista al ruolo di pittore eccelso di una breve stagione politica e culturale, oscurandone il genio che invece si è espresso in tutto l’arco della carriera anche nella fase della piena maturità, quando l’artista si trova a eseguire per committenti privati lavori in cui riesce a esprimere un vivace spirito critico verso i tempi che il destino gli offre da vivere.
 
A raccontare questo inedito Botticelli, figlio della travagliata storia fiorentina del primo Cinquecento, è l’Accademia Carrara di Bergamo dove ha inaugurato la mostra “Le Storie di Botticelli. Tra Boston e Bergamoaperta al pubblico fino al 28 Gennaio 2019.
 
L’istituzione bergamasca, in collaborazione con il prestigioso Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, è riuscita nell’impresa di riunire due opere del grande maestro del Rinascimento, la Storia di Virginia e la Storia di Lucrezia, divise già nel corso dell’Ottocento perché destinate a due collezioni diverse,  una americana e l’altra italiana. 


Sandro Botticelli, Storia di Lucrezia,1505 ca., tempera e oro in conchiglia su tavola, cm 83,3 x 176,8, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum
 
Quella di Bergamo è un’esposizione dal forte imprinting narrativo, un bel viaggio che conduce il visitatore in una cavalcata lungo la storia e le storie umane fiorentine del ‘400 aprendosi a vari livelli di lettura, svelando personaggi del mito e personalità della storia, in un intreccio tutto al femminile.
 
Siamo a Firenze. A distanza di trent’anni da quella straordinaria fase di slancio creativo sostenuto da Lorenzo de Medici, lo scenario cambia brutalmente. La città non è più la stessa, e Botticelli ha ormai 60 anni.  Le vicende della storia si susseguono rapide e tumultuose: dopo l’uccisione di Giuliano de’ Medici, giovane erede della famiglia trafitto da un pugnale durante la Congiura dei Pazzi, la predicazione di Savonarola sparge una nuvola profetica e apocalittica sulla città finché una nuova svolta politica e culturale porta all’avvento della Repubblica fiorentina.
 
E’ in questo nuovo contesto politico che si muove Botticelli, quando mette mano alle storie di Lucrezia e di Virginia. Siamo intorno al 1505. Pochi anni prima erano stati chiamati in città due big dell’arte per celebrare il rinnovato clima : Leonardo da Vinci, incaricato di eseguire l’affresco della Battaglia di Anghiari - che non verrà mai portato a termine -, e Michelangelo Buonarroti, convocato per scolpire la statua per uno dei contrafforti della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il celebre David.
 
Al centro delle due tavole le storie di virtù delle due sante, raccontate per episodi secondo la tradizione della narrazione continua: Virginia, assassinata dal padre per difenderne l’onore, Lucrezia che sceglie la morte pur di salvarsi dall’infamia.
E’ comune a entrambe le spalliere il tema della glorificazione delle rivolte popolari contro i soprusi del tiranno, in cui la critica ha voluto leggere un chiaro riferimento ai fatti di attualità che si svolgevano nella Firenze di fine ‘400.  
 
Ma chi poteva aver commissionato l’opera a Botticelli? E qui si apre un’indagine che ha ancora molti lati oscuri. Tante le ipotesi sul tavolo. La critica avrebbe identificato i pannelli di Bergamo e di Boston con i “molti quadri, chiusi da ornamenti di noce per ricingimento e spalliera, con molte figure e vivissime e belle” che, come ricorda Vasari, Botticelli “fece intorno a una camera… nella via de’ Servi in casa di Giovanni Vespucci”. Difficile però credere che i committenti delle tavole dai toni fortemente antitirannici, fossero Giovanni Vespucci e il padre Guidantonio, notoriamente esponenti dell’oligarchia pro Medici.
 
Resta ancora da capire quanti fossero i pannelli commissionati a Botticelli. Un indizio, la presenza della lettera E sul retro della storia di Virginia, farebbe supporre che questo fosse il quinto pezzo di un nucleo di almeno cinque dipinti. Tuttavia non è dato sapere quali fossero le altre tavole che completavano l’opera e chi le avesse eseguite.
 
Quando mette mano alla Storia di Virginia, Botticelli doveva aver ben presente almeno un paio di disegni preparatori che Leonardo aveva eseguito tra il 1503 e il 1504 per la Battaglia di Anghiari. Lo si nota osservando le analogie tra il gruppo di figure armate al centro della tavola e i disegni che ritraggono i cavalli visti da dietro negli episodi della lotta intorno allo stendardo e dei soldati in fuga.


Leonardo da Vinci, Studi per la Battaglia di Anghiari (cavalieri con stendardi), 1503-1504. Windsor Castle, Royal Library
 
Due tavole che al tempo stesso dischiudono due vicende di collezionismo privato: uno americano, legato all’acquisto della Storia di Lucrezia da parte di Isabella Stewart Gardner tramite Bernard Berenson, e uno italiano, relativo all’acquisto da parte di Giovanni Morelli della tavola di Virginia avvenuto nel 1871 presso il Monte di Pietà di Roma. La tavola americana in particolare rappresenta l’unico dipinto di Botticelli di soggetto non religioso presente negli Stati Uniti.  
 
L’esposizione è ricca di documenti che aggiungono elementi di approfondimento e che vanno nella direzione di valorizzare la preziosa collezione della Carrara. Due dipinti di Botticelli, il Ritratto di Giuliano de’ Medici, e Vir Dolorum, entrambi provenienti dal lascito di Giovanni Morelli, si affiancano a prestiti provenienti dal Museo del Bargello di Firenze e dal Museo dell’Opera del Duomo di Prato.

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