“La stagione della migrazione a Nord" al Museo di Santa Giulia dal 9 novembre al 23 febbraio 2025
A Brescia il sudanese Khalid Albaih racconta il dramma umanitario del suo Paese
Khalid Albaih, Untitled, 2015, immagine digitale
Eleonora Zamparutti
16/10/2024
Brescia - L’arte è potente perché è uno strumento di comunicazione universale, capace di superare confini e abbattere barriere linguistiche, toccare le emozioni profonde delle persone e creare cortocircuiti nella mente. Mai come oggi l’artista è attore in prima linea, disposto a sposare una causa e a farsi attivista dei valori in cui crede. Nel contemporaneo l’arte è politica, si sa. Ben usata, libera il pensiero e rafforza la democrazia.
A Brescia tutto ciò si traduce nella discesa in campo di Fondazione Brescia Musei, la fondazione di partecipazione pubblico–privata presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov, al fianco del Festival della Pace che quest’anno, giunto alla settima edizione, sarà dedicato all’Africa e si svolgerà dall’8 al 30 novembre.
“L’Africa è a Brescia” afferma il sindaco Laura Castelletti riferendosi ai tanti emigrati che sono arrivati negli ultimi anni a lavorare e a vivere in città. “E Brescia è in Africa”, continua, grazie al lavoro di numerosi imprenditori, missionari, cooperanti e volontari impegni in azioni concrete sul campo. Attraverso un articolato programma di incontri e iniziative, il festival intende portare l’attenzione sul fenomeno della migrazione, ma anche sulla guerra e sulla violenza che si abbattono senza sosta sul grande continente.
In una sala di Palazzo Loggia, l’artista, curatore e attivista sudanese Khalid Albaih, chiamato a progettare insieme alla curatrice Elettra Strombolis la propria personale, riceve il testimone dall’artista iraniana Zoya Shokoohi, in rappresentanza di tutte le artiste che hanno preso parte alla collettiva precedente Finché non saremo libere (2023) in un incontro all’insegna dei diritti umani.
“La presenza di Khalid Albaih dà continuità nel tempo al progetto che abbiamo costruito nelle precedenti edizioni del Festival con il coinvolgimenti degli artisti Zehra Doğan, Badiucao, Victoria Lomasko e le artiste iraniane” afferma Elettra Strombolis. “D’altra parte la pace si costruisce attraverso un processo. Il nostro progetto è di dare visibilità a vari immaginari e costruire delle mappe che ridefiniscano la rappresentazione del mondo. E’ un lavoro anche geografico che va dal Kurdistan alla Cina, dalla Russia all’Iran e alle sue donne.”
Khalid Albaih ha scelto come titolo della sua mostra “La stagione della migrazione a Nord”, traendo ispirazione dall’omonimo bestseller dello scrittore sudanese Altayib Salih, la cui voce narrante fa da filo conduttore del progetto espositivo. La mostra sarà aperta al pubblico da sabato 9 novembre a domenica 23 febbraio 2025.
Khalid Albaih, Worlds, 2016 disegno digitale
Di origini sudanesi, ma nato in Romania, figlio di un diplomatico, Khalid Albaih è un prodotto della diaspora. Ha studiato negli Emirati, a Doha in Qatar architettura, design e ingegneria. A cominciare dal 2008 ha intrapreso la sua ricerca nelle arti visive, utilizzando le piattaforme dei social media per lanciare e promuovere il proprio blog dal titolo “Khartoon”, parola ironica di invenzione che mescola “cartoon” con il nome della capitale del Sudan “Khartoum”. Oggi quella sua prima esperienza è considerata archeologia dei social.
“Ma l’arte può davvero innescare un cambiamento?”, si interroga Zoya Shokoohi. Nel caso suo è stato cruciale capire quando e dove agire: i movimenti sociali delle donne in Iran del 2022. “Qualcosa si può cambiare, sì, se non altro il punto di vista” afferma.
Khalid Albaih è artista esperto che ha attraversato varie fasi, passando da una forma di attivismo online alla presenza nella varie piazze della primavera araba, e in Sudan, dove è in atto da dieci anni una guerra civile che vede in campo i grandi attori della geopolitica internazionale. I giovani sudanesi si vedono costretti a emigrare a Nord, come unica via di scampo dal disastro che li circonda.
Khalid Albaih, Superman is an illegal, immigrant, immagine digitale, 2020
“Il buio ci circonda, nessuno vuole pensare. Qualcuno deve pur fare le cose che faccio. Non avrei mai pensato all’opportunità che mi hanno dato il blog e Facebook, non avevo molte altre possibilità” afferma Khalid Albaih.
Come un artista di bricolage, Albaih mescola disegno e performance con un chiaro richiamo all’attualità. “Uso tutto quello che mi serve. Lavoro con quello che posso, ponendo delle domande”. Il risultato della sua sintesi è un’immagine ambigua che mai offende e non ha come obiettivo quello di far ridere, ma di portare l’attenzione su un capitolo tragico della decolonizzazione, il Sudan e l’Africa in generale.
Dieci milioni di profughi su un totale di 45 milioni di abitanti: il Sudan è la fotografia di una catastrofe umanitaria. La guerra etnica sta logorando la popolazione. A Brescia finalmente se ne parla.
A Brescia tutto ciò si traduce nella discesa in campo di Fondazione Brescia Musei, la fondazione di partecipazione pubblico–privata presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov, al fianco del Festival della Pace che quest’anno, giunto alla settima edizione, sarà dedicato all’Africa e si svolgerà dall’8 al 30 novembre.
“L’Africa è a Brescia” afferma il sindaco Laura Castelletti riferendosi ai tanti emigrati che sono arrivati negli ultimi anni a lavorare e a vivere in città. “E Brescia è in Africa”, continua, grazie al lavoro di numerosi imprenditori, missionari, cooperanti e volontari impegni in azioni concrete sul campo. Attraverso un articolato programma di incontri e iniziative, il festival intende portare l’attenzione sul fenomeno della migrazione, ma anche sulla guerra e sulla violenza che si abbattono senza sosta sul grande continente.
In una sala di Palazzo Loggia, l’artista, curatore e attivista sudanese Khalid Albaih, chiamato a progettare insieme alla curatrice Elettra Strombolis la propria personale, riceve il testimone dall’artista iraniana Zoya Shokoohi, in rappresentanza di tutte le artiste che hanno preso parte alla collettiva precedente Finché non saremo libere (2023) in un incontro all’insegna dei diritti umani.
“La presenza di Khalid Albaih dà continuità nel tempo al progetto che abbiamo costruito nelle precedenti edizioni del Festival con il coinvolgimenti degli artisti Zehra Doğan, Badiucao, Victoria Lomasko e le artiste iraniane” afferma Elettra Strombolis. “D’altra parte la pace si costruisce attraverso un processo. Il nostro progetto è di dare visibilità a vari immaginari e costruire delle mappe che ridefiniscano la rappresentazione del mondo. E’ un lavoro anche geografico che va dal Kurdistan alla Cina, dalla Russia all’Iran e alle sue donne.”
Khalid Albaih ha scelto come titolo della sua mostra “La stagione della migrazione a Nord”, traendo ispirazione dall’omonimo bestseller dello scrittore sudanese Altayib Salih, la cui voce narrante fa da filo conduttore del progetto espositivo. La mostra sarà aperta al pubblico da sabato 9 novembre a domenica 23 febbraio 2025.
Khalid Albaih, Worlds, 2016 disegno digitale
Di origini sudanesi, ma nato in Romania, figlio di un diplomatico, Khalid Albaih è un prodotto della diaspora. Ha studiato negli Emirati, a Doha in Qatar architettura, design e ingegneria. A cominciare dal 2008 ha intrapreso la sua ricerca nelle arti visive, utilizzando le piattaforme dei social media per lanciare e promuovere il proprio blog dal titolo “Khartoon”, parola ironica di invenzione che mescola “cartoon” con il nome della capitale del Sudan “Khartoum”. Oggi quella sua prima esperienza è considerata archeologia dei social.
“Ma l’arte può davvero innescare un cambiamento?”, si interroga Zoya Shokoohi. Nel caso suo è stato cruciale capire quando e dove agire: i movimenti sociali delle donne in Iran del 2022. “Qualcosa si può cambiare, sì, se non altro il punto di vista” afferma.
Khalid Albaih è artista esperto che ha attraversato varie fasi, passando da una forma di attivismo online alla presenza nella varie piazze della primavera araba, e in Sudan, dove è in atto da dieci anni una guerra civile che vede in campo i grandi attori della geopolitica internazionale. I giovani sudanesi si vedono costretti a emigrare a Nord, come unica via di scampo dal disastro che li circonda.
Khalid Albaih, Superman is an illegal, immigrant, immagine digitale, 2020
“Il buio ci circonda, nessuno vuole pensare. Qualcuno deve pur fare le cose che faccio. Non avrei mai pensato all’opportunità che mi hanno dato il blog e Facebook, non avevo molte altre possibilità” afferma Khalid Albaih.
Come un artista di bricolage, Albaih mescola disegno e performance con un chiaro richiamo all’attualità. “Uso tutto quello che mi serve. Lavoro con quello che posso, ponendo delle domande”. Il risultato della sua sintesi è un’immagine ambigua che mai offende e non ha come obiettivo quello di far ridere, ma di portare l’attenzione su un capitolo tragico della decolonizzazione, il Sudan e l’Africa in generale.
Dieci milioni di profughi su un totale di 45 milioni di abitanti: il Sudan è la fotografia di una catastrofe umanitaria. La guerra etnica sta logorando la popolazione. A Brescia finalmente se ne parla.
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