Intervista a Stefano Karadjov, direttore di Fondazione Brescia Musei

Educazione, identità e inclusività: è la formula di Fondazione Brescia Musei. Ne parla Stefano Karadjov

© Archivio fotografico Musei Civici di Brescia
 

Eleonora Zamparutti

26/11/2025

Brescia - Stefano Karadjov ha appena terminato di parlare con il maestro di musica dei suoi figli. Al direttore di Fondazione Brescia Musei sta particolarmente a cuore l’educazione dei suoi ragazzi. E’ preoccupato per il tempo che gli strumenti digitali sottraggono alla lettura. Ma non è un problema solo suo.
I dati ufficiali sono poco incoraggianti. Secondo l’Associazione Italiana Editori, solo il 53% della popolazione tra i 15 e i 74 anni ha dichiarato di aver letto almeno un libro lo scorso anno. Servirebbe fare qualcosa.

Sul fronte della povertà educativa, che è trasversale, ma colpisce di più le classi meno agiate, Fondazione Brescia Musei ha da poco concluso un progetto finanziato da Cariplo e costruito su una proposta museale per l'anno scolastico 2024-25 con l’affiancamento alla Congrega della Carità Apostolica, che è un’organizzazione gestisce il doposcuola negli oratori cittadini.
Il progetto ha coinvolto circa 3.500 bambini che si sono avvicinati al patrimonio e all’arte attraverso formule di didattica museale, unendo la dimensione ludica a quella esperienziale, sulla base dei metodi educativi sviluppati da Bruno Munari e dal maestro Loris Malaguzzi di Reggio Children.
Poi ogni anno la Fondazione intercetta 1.000 bambini che fanno un summer camp o un winter camp nei musei di Brescia: 36 ore durante le quali i ragazzi svolgono attività ludiche, didattiche, con operatori qualificati. Per avere un’idea, in città la popolazione scolastica dei bambini che sono nella fascia camp, 6-12 anni, è di circa 10.000 unità. Facendo una media tra chi viene da fuori, chi svolge 2 o 3 settimane, ciò significa che tra il 5 e il 10% dei bambini bresciani vivono un'esperienza cruciale in una fase importante della loro formazione.

“Uno dei grandi orizzonti dello sviluppo della museologia è di riuscire a essere sempre più sussidiari ai servizi educativi formali, alla scuola, ai servizi sociali e del Comune per far emergere il ruolo del museo come attivatore di meccanismi di creazione di comunità e generatore di impatto sociale.” La Relazione di Missione 2024 pubblicata da Fondazione Brescia Musei per il terzo anno consecutivo mette bene in evidenza due rami attività importanti: educazione e partecipazione.

La Fondazione, ente pubblico/privato, che dal 2003 gestisce i 5 musei civici di Brescia (Museo di Santa Giulia, Brixia. Parco archeologico di Brescia romana, Pinacoteca Tosio Martinengo, Museo delle Armi Luigi Marzoli, Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia), 2 parchi pubblici e il cinema d’essai Nuovo Eden, ha come missione la conservazione ma anche la promozione della conoscenza e la divulgazione del patrimonio.
E’ possibile misurare l’impatto delle attività museali sulla comunità? Secondo Stefano Karadjov sì.


Stefano Karadjov, Direttore di Fondazione Brescia Musei. Credits © Fondazione Brescia Musei


“Per i musei civici è un po' più semplice perché dipendiamo da una struttura - l’amministrazione comunale -, che al suo interno ha servizi sociali e servizi educativi. Ma questa tendenza si applicherà in futuro anche ai musei che hanno un carattere sovra-ordinato, come i musei statali che riferiscono al Ministero della Cultura, e che nei territori in cui operano sono un po' delle monadi.”

Nel concreto che cosa significa “impatto sociale"?

“Noi ci rivolgiamo in modi diversi a tutti i pubblici, dalle fasce di età avanzata a quelle di età più giovane, con attività anche collegate a servizi sanitari che consentano di avvicinare, per esempio, pazienti che hanno malattie dell'Alzheimer, pazienti che hanno disturbi cronici che non potrebbero in sicurezza sentirsi in grado di visitare un museo e vengono a farlo insieme, per esempio, ai medici che ci supportano.
Sosteniamo programmi rivolti alle mamme in fase di gestazione, alle famiglie con neonati, pubblici marginali, ai ragazzi in attesa di giudizio presso il Tribunale dei Minori, ai senzatetto. Attraverso diverse associazioni realizziamo varie progettualità. Abbiamo una figura che si occupa espressamente di pubblici fragili. Insieme all'Ordine dei medici, all'Associazione dei diabetici organizziamo dei percorsi di avvicinamento ai nostri luoghi della cultura, che non sono solo musei. Abbiamo lo splendido parco di Santa Giulia e il Castello, che è un grande parco. Abbiamo anche un cinema.
Attraverso il rapporto di mediazione con associazioni che offrono assistenza sul territorio ci rivolgiamo anche a pubblici con disabilità cognitive. L'anno scorso, ad esempio, abbiamo realizzato un progetto bellissimo con l'artista performativa di origini greche, Mary Zygouri, che ha tenuto uno stage di una settimana con 20 ragazzi e adulti che afferiscono la cooperativa Il Calabrone, che si è concluso con una performance dedicata alla Vittoria Alata.”

C'è ovviamente anche la ricerca, lo studio, la creazione di nuove progettualità, la nuova museografia. La Fondazione ha un ramo di attività dedicato all’editoria: ogni anno pubblica circa dozzina di libri all'anno rivolti ai vari progetti.

Nel 2024 avete percepito dal Comune di Brescia un contributo di 4 milioni di Euro. In che modo andate incontro a chi ha più bisogno e meno possibilità?

“Dal 2023 è stata adottata la politica della gratuità all'ingresso ai musei per i residenti mentre per gli abitanti della provincia l’ingresso gratuito è offerto nei mesi di agosto e dicembre, che sono i due momenti dell’anno in cui le persone hanno più tempo libero.
Su circa 300.000 accessi all’anno alle mostre, il 15%, quasi 50.000, sono residenti che è un numero enorme. Significa che il museo diventa quotidiano per gli abitanti. Se non abbiamo i residenti al nostro fianco, sarà sempre più difficile in un regime di costi crescenti e di retrocessione delle risorse pubbliche mantenere dei sistemi culturali costosissimi ed evoluti come sono i musei italiani.”

Ospitate mostre in dialogo con il patrimonio dei musei di Brescia, che insistono sull’identità locale. Qual è il gradimento del pubblico verso queste iniziative ?

“L’esposizione in corso su Matthias Stomer, la prima in Italia dedicata all’artista e curata da Gianni Papi, è inserita nel percorso espositivo ed è un prodotto culturale, una mostra di studio che trasforma e rende di nuovo attrattivo il museo. La Sala del 600 della Pinacoteca Tosio Martinengo ospita per 5 mesi 12 lavori di Stomer. La mostra è aperta da sette settimane e i dati di afflusso al museo sono raddoppiati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando non c’era un’esposizione. Gran parte dei visitatori sono i residenti.”

Quale idea di Brescia state trasferendo alla comunità locale?

“Stiamo cercando di culturalizzare la città di Brescia attraverso il suo patrimonio museale. Cerchiamo di far capire il ruolo della Civitas Bresciana che si è sempre sentita un po' ancillare a Milano, pur essendo la seconda economia della Lombardia.
Stiamo riuscendo a creare una narrativa intorno alla grande storia dei maestri bresciani, all'architettura, all'archeologia bresciana, identificando il suo posto nel mondo anche grazie alla consapevolezza del ruolo della cultura romana e del periodo Longobardo. Il periodo comunale in cui Brescia era una città che formava le magistrature delle città guelfe del Nord Italia.
Molto importante anche il periodo veneziano, benché politicamente da dominati. Culturalmente Brescia ha espresso la sua unicità nella pittura lombarda e bresciana, in particolare con Moretto, Romanino e poi anche con Savoldo.
E poi la pittura di genere settecentesco che stiamo riscoprendo con questa vocazione sociale, pauperista, pensa a Ceruti. E non è quindi un caso che abbiamo anche una così tanta attenzione a questi principi, perché in effetti, evidentemente, se già nel Settecento questa città, ed era un'unicità, commissionava con così tanta convinzione ad artisti come Ceruti, come Cifrondi, delle opere di genere pauperista.
Quando abbiamo fatto la mostra dedicata al Cinquecento, abbiamo enfatizzato un aspetto chiave della città: lo spirito di religiosità basato sull'attivismo civico, un po' protestante se vuoi. È in fondo la città dove sono nate le Orsoline, una compagnia di donne che operano nel secolo, prendono i voti. Non sono suore di clausura, che era l'unica alternativa all’epoca, ma sono impegnate nel sociale. A noi è sempre sembrato necessario elaborare una progettualità museale coerente con quello che sono gli spiriti della comunità.”



Matthia Stomer, Giacobbe ed Esau, 1630-1640 circa, deposito da collezione privata. La mostra "Matthis Stom. Un caravaggesco nelle collezioni lombarde" in corso a Pinacoteca Tosio Martinengo sarà aperta fino al 15 febbraio 2026.



In che modo anche le mostre di arte contemporanea seguono questa impostazione?

“Basti pensare alle mostre dedicate al rapporto tra arte contemporanea e diritti umani. Sono esposizioni che si inseriscono nel Festival della Pace, che è una bandiera a Brescia è sempre valida. È una città che nel Novecento ha offerto ospitalità ai dissidenti politici, soprattutto dell'Europa dell’Est, portando avanti un concetto di inclusione. Quindi anche l'arte contemporanea, l'arte non concettuale ma narrativa, che parla dei problemi di oggi, si lega a questa società così permeabile alla diversità. Sembrano iniziative apparentemente distanti per noi, ma fanno parte di questa nuvola semantica, molto orientata all'impatto sociale.”

Credi che il modello di Fondazione Brescia Musei possa essere di esempio per altre città, specie per quelle afflitte dall’overtourism?

“Non tutte le città esprimono i valori di Brescia e non tutte le città hanno i mezzi che può avere una città come Brescia. Dobbiamo tenere distinti i modelli organizzativi di governance dalle attività culturali e sul patrimonio.
Ma nelle città dove c’è l’overtourism ci sarebbe bisogno di riscoprire un approccio all'attività culturale con ricadute sulla vita quotidiana delle persone. Dove tu abbandoni il governo, dove non hai un'idea forte, è più facile che il mercato si inserisca. Il mercato fa il suo dovere. E non voglio criminalizzare il turismo che è un fenomeno non solo italiano ma globale. È un fenomeno importante: il turismo significa persone che vivono, esperienze che si trasferiscono, multiculturalismo, l'apertura mentale, insomma è bello che ci sia il turismo. Il problema consiste nello svuotamento di senso. Per quanto riguarda ciò che i musei possono fare e un certo tipo di politiche, direi che su questo ci possiamo ritenere un modello, ne sono abbastanza convinto.”

Secondo te, a livello di gestione la Fondazione offre uno spunto organizzativo che potrebbe interessare altri territori?

“In questo territorio è molto forte la relazione tra il pubblico e il privato. E’ un’esperienza che può essere studiata, siamo spesso in giro a raccontarla.
Ma è evidente che nelle regioni meridionali non esiste un tema di fundraising possibile. È inutile parlare del fatto che le istituzioni culturali lì possano vivere attraverso meccanismi gestionali ed efficientamento dei rapporti con il territorio.
Al Sud ci sono istituzioni che spesso si trovano ad avere dei costi enormi perché sono anche molto importanti, molto estese, in un contesto inversamente proporzionale, piuttosto depauperato.
Sarebbe velleitario pensare di esportare il modello di Fondazione Brescia Musei. Alcune nostre esperienze possono essere utili come i progetti culturali che vanno contro la povertà educativa del territorio. Ad esempio intercettare il mondo dell’associazionismo, facendosi mediatori di un progetto culturale che impiega persone fragili e che ha un impatto sociale facilmente sponsorizzabile da un'azienda. Questo produce dei benefici a livello di bilancio per l’azienda. Anche in un territorio depauperato come possono essere alcune zone del nostro meridione, potersi accreditare presso i propri investitori dicendo: 'Guardate noi, insieme al museo, stiamo migliorando il territorio in cui operiamo’.”

Nell’ambito dell’iniziativa ‘Arte e Diritti umani’, quest’anno avete invitato a esporre alcuni artisti palestinesi. In che modo l’arte aiuta a capire il presente?

“La mostra esordisce mostrando le opere di due artisti che erano i fondatori di una galleria d'arte a Gaza. La galleria si chiamava Eltiqa Group for Contemporary Art, ‘eltiqa’ in arabo significa ‘incontri’. Noi facciamo questa progettualità perché l'arte è lo strumento che ci consente di incontrare chi la pensa diversamente da noi. Sono proposte, che possono anche essere ritenute divisive per certi versi. Per noi la provocazione è come dire 'vieni a vedere’, anche se sei su posizioni opposte alle nostre. L'arte è uno strumento di costruzione di ponti, di emersione di quello che è il nostro comune destino universale umano. Vogliamo dichiarare al mondo che attraverso l'arte si possono superare i conflitti, si possono mettere da parte certe, diciamo così, difformità di visione, certe asprezze e anche certe ideologie, perché l'arte ci riporta più fortemente alla nostra identità come individui. Ci consente di preservare la memoria. Noi facciamo queste operazioni anche per garantire a questi artisti di poter patrimonializzare il loro lavoro. Sono artisti che rischiano di essere dimenticati perché non hanno un archivio, non hanno un luogo dove possono stare in serenità a produrre. È per questo che noi ospitiamo questi artisti in residenza, anche se per poco. Tra l'altro, Al-Hawajri, uno degli artisti, ci ha confidato che da più di due anni non dipingeva. Da quando è venuto qui ha trovato un'atmosfera, un'accoglienza, un clima per cui ha dipinto e quella bellissima pietà che hai visto al traguardo visivo della sua sezione l'ha dipinta qui.”


Vittoria Alata, Brescia. © Foto Studio Rapuzzi

Qual è la politica di Fondazione Brescia Musei?

“Cerchiamo di far capire che abbiamo il dovere di prendere una posizione di tutela dei diritti universali e di rispondere a principi di inclusione. Perché l'applicazione di questi principi di inclusione sia più evidente possibile nel luogo che è considerato il tempio di una comunità, cioè i musei.
In questa fase storica, riteniamo importantissimo, pur avendo una visione universale, tenere a caro e a cuore il particolare. Se vedi le circa 95 mostre che abbiamo fatto dal 2019 a oggi qui a Brescia, quasi tutte, direi la totalità. Hanno un addentellato fortissimo con il patrimonio delle nostre collezioni. La storia della città di Brescia o i valori. Questo perché noi pensiamo che i musei debbano essere universali e enciclopedici, nel senso che devono tenere in considerazione l'universalità dell'espressione, ma debbano in ogni luogo in cui sono, essere valorizzati per la loro identità. E quindi essere come dire delle molle e delle trivelle, andare a scavare e far emerge i valori di una comunità per espanderli a un livello universale. Facciamo anche un'azione riflessiva, di immunizzazione del patrimonio identitario da derive nazionalistiche o identitarie. non sia mai che questo lavoro venga fatto a fini strumentali per far passare chissà quale messaggio di suprematismo. La particolarità delle culture deve essere fatta emergere. La melassa di una presunta universalità in cui siamo tutti uguali non esiste, perché siamo tutti diversi e per fortuna. Dobbiamo fare in modo che queste diversità emergano e tutte abbiano però la possibilità di essere liberamente approfondite.
Scientificamente studiate e, come dire, divulgate. E quindi il nostro lavoro è quello di essere un po' più, se vuoi, modello in questo.”

A livello di diplomazia culturale vi muovete anche fuori dai confini nazionali?

“Cerchiamo di promuovere la circolazione dei nostri progetti artistici fuori dai nostri confini. Il caso più emblematico e recente è stato l'itinerante della mostra di Ceruti a Los Angeles, ad esempio. È stato importante portare in una città che ha il più alto numero di homeless al mondo una mostra dedicata alla rappresentazione dignitosa degli umili nel Settecento. I nostri progetti, ad esempio, Arte e Diritti Umani, sono i primi candidati ad avere questo tipo di circolazione. La mostra dell'artista cinese Badiucao che abbiamo fatto cinque anni fa, è stata esposta a Praga e al Parlamento Europeo.”

Nel 2026 ricorrono i 200 anni dalla scoperta della Vittoria Alata. Quale iniziativa avete in cantiere per celebrare l’anniversario?

“Il 4 dicembre inauguriamo al Capitolium un’installazione archeologica e contemporanea. Noi abbiamo una grande attenzione a che il nostro patrimonio archeologico dialoghi anche con il contemporaneo.
Già in passato abbiamo messo la nostra Vittoria Alata in relazione con altre opere. L'abbiamo fatto due anni fa con il Pugile seduto, proveniente dal Museo Nazionale Romano. Quest’anno L'idolino di Pesaro, che è una meravigliosa scultura di un giovane ragazzo, un atleta in erba, che viene dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, sarà ospite dell'Aula della Vittoria in un dialogo con la Vittoria Alata e con un terzo vertice di questo triangolo rappresentato da un'installazione originale di Francesco Vezzoli, dedicata al tema che impronta il progetto. Con le Olimpiadi in arrivo, siamo nella direttrice di Milano-Cortina, la nostra Vittoria Alata diventa uno dei simboli del successo sportivo. Anche se la nostra vittoria era un simbolo bellico, però è sempre una nicchia.
Mentre L’Idolo sarà esposto al Parco Archeologico, il nostro duecentenario sarà festeggiato anche a Firenze. Nel Museo Archeologico di Firenze, che ci ha prestato L’Idolo, tre delle nostre teste imperiali in bronzo saranno ospiti in una mostra dal titolo “Ideali. Idoli di bellezza e potere” curata dal direttore del museo Daniele Federico Maras.”