Al Giardino di Boboli dal 29 giugno al 14 ottobre
L'uomo e il cavallo dalla preistoria al medioevo. La storia di un'amicizia millenaria in mostra a Firenze
Pittore di Sabouroff, Coppa attica con Atena e il cavallo di Troia, 460 a.C. circa, terracotta, dipinta nella tecnica a figure rosse. Firenze, Museo Archeologico Nazionale
Samantha De Martin
28/06/2018
Firenze - Morsi, filetti, staffe, speroni sfilano accanto a un rarissimo esempio di calesse etrusco in legno, ferro e bronzo, databile agli inizi di V secolo a.C., destinato al trasporto di personaggi di alto rango e ricomposto grazie a un recente intervento di restauro.
C’è tutta la bellezza della vita quotidiana che corre lungo duemila anni, dall’età del ferro al medioevo, racchiusa nella mostra che, dal 29 giugno al 14 ottobre, porta nella limonaia settecentesca del Giardino di Boboli strumenti e reperti legati al rapporto tra l’uomo e il cavallo.
L’ultimo animale a essere addomesticato, solo sul finire del IV millennio a.C. nelle steppe dell’Asia centrale cessò, per la prima volta, di essere semplicemente una preda da carne per intrecciare il suo destino con quello dell’uomo. Ed è attraverso un’accurata selezione di oggetti provenienti da decine di musei italiani e stranieri - dal Museo Archeologico nazionale di Firenze all’Archeologico Regionale di Siracusa, dal Römisch-Germanisches Museum di Colonia al Museo Pirro Marconi di Himera - che le mille, curiose sfaccettature che coinvolgono ogni aspetto della vita quotidiana si svelano agli occhi del pubblico.
“Quale sia stato il luogo in cui sia nata e sviluppata la domesticazione del cavallo è ancor oggi uno degli argomenti di più acceso dibattito nella letteratura scientifica. Sembrerebbe, però, del tutto illogico immaginare che il cavallo abbia iniziato la sua millenaria storia di convivenza con l’uomo in un luogo diverso da quello dell’Europa orientale e delle steppe euroasiatiche” scrivono Camin e Paolucci sul catalogo della mostra, edito da Sillabe.
La Preistoria, il mondo greco e magno greco, il mondo etrusco e venetico, l’epoca romana e il Medioevo si susseguono lungo le cinque sezioni della mostra tra i numerosi reperti molti dei quali vengono, per la prima volta, restituiti al pubblico.
Tra questi, il carro di Populonia e i due crani equini rinvenuti durante gli scavi della necropoli occidentale di Himera e oggi conservati presso il Museo Pirro Marconi del Parco Archeologico della città antica, le cui rovine occupano il territorio di Termini Imerese. In questa importante colonia greca di Sicilia, nel 480 a.C., i Siracusani sconfissero i Cartaginesi in un violento scontro che provocò la morte di centinaia di soldati e cavalieri. In prossimità del luogo della battaglia sono state rinvenute fosse comuni e tombe destinate ai corpi dei caduti, affiancate da sepolture equine.
Gli esemplari esposti in mostra a Firenze presentano morsi ad anello bronzei, un tipo di imboccatura particolarmente diffusa in area iberica, che sembra confermare la presenza di mercenari ispanici entro le fila dell’esercito cartaginese, come testimoniato anche da Erodoto.
Si tratta di un ritrovamento straordinario, dal momento che, nel V secolo a.C., le attestazioni di sepolture equine nel mondo greco e magno greco sono assai rare, eppure la risonanza dell’evento fece sì che i soldati e i loro cavalli fossero oggetto di particolari onorificenze.
Le tainiai niketeriai, le bende in lana rossa simbolo di vittoria, ornano invece il cavallo che figura nella kylix attica a figure rosse dipinta dal Pittore di Sabouroff, attivo tra il 470-460 e il 440-430 a.C. La dea Atena, seduta su trono, è intenta ad accarezzare l’animale - probabilmente un’allusione al cavallo di Troia - che cattura lo sguardo con le sue grandiose dimensioni.
“L’intero concetto di questa mostra - sintetizza Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi - sembra contenuto in una delle opere che vi sono esposte, una splendida coppia di frontali in bronzo e avorio, del IV secolo a. C., destinati a proteggere il muso del cavallo. Il perimetro della lamina sagomata e decorata a sbalzo ne segue pertanto l’anatomia allungata, ma al suo interno, invece di una fisionomia equina, racchiude le sembianze di un volto umano con un elmo sul capo. Cavallo e cavaliere diventano una cosa sola. Dal Paleolitico a tutto il Cinquecento, la rassegna di fatto indaga questo rapporto, di un’attualità spesso insospettata, e che attraversa tutta la nostra storia”.
Ad arricchire il viaggio alla scoperta della secolare amicizia tra uomo e cavallo, una colonna sonora immersiva e la multivisione A cavallo del tempo, ideata e diretta da Gianmarco D’Agostino.
Leggi anche:
• A cavallo del tempo. L'arte di cavalcare dall'antichità al Medioevo
• Nuova vita al Giardino di Boboli
C’è tutta la bellezza della vita quotidiana che corre lungo duemila anni, dall’età del ferro al medioevo, racchiusa nella mostra che, dal 29 giugno al 14 ottobre, porta nella limonaia settecentesca del Giardino di Boboli strumenti e reperti legati al rapporto tra l’uomo e il cavallo.
L’ultimo animale a essere addomesticato, solo sul finire del IV millennio a.C. nelle steppe dell’Asia centrale cessò, per la prima volta, di essere semplicemente una preda da carne per intrecciare il suo destino con quello dell’uomo. Ed è attraverso un’accurata selezione di oggetti provenienti da decine di musei italiani e stranieri - dal Museo Archeologico nazionale di Firenze all’Archeologico Regionale di Siracusa, dal Römisch-Germanisches Museum di Colonia al Museo Pirro Marconi di Himera - che le mille, curiose sfaccettature che coinvolgono ogni aspetto della vita quotidiana si svelano agli occhi del pubblico.
“Quale sia stato il luogo in cui sia nata e sviluppata la domesticazione del cavallo è ancor oggi uno degli argomenti di più acceso dibattito nella letteratura scientifica. Sembrerebbe, però, del tutto illogico immaginare che il cavallo abbia iniziato la sua millenaria storia di convivenza con l’uomo in un luogo diverso da quello dell’Europa orientale e delle steppe euroasiatiche” scrivono Camin e Paolucci sul catalogo della mostra, edito da Sillabe.
La Preistoria, il mondo greco e magno greco, il mondo etrusco e venetico, l’epoca romana e il Medioevo si susseguono lungo le cinque sezioni della mostra tra i numerosi reperti molti dei quali vengono, per la prima volta, restituiti al pubblico.
Tra questi, il carro di Populonia e i due crani equini rinvenuti durante gli scavi della necropoli occidentale di Himera e oggi conservati presso il Museo Pirro Marconi del Parco Archeologico della città antica, le cui rovine occupano il territorio di Termini Imerese. In questa importante colonia greca di Sicilia, nel 480 a.C., i Siracusani sconfissero i Cartaginesi in un violento scontro che provocò la morte di centinaia di soldati e cavalieri. In prossimità del luogo della battaglia sono state rinvenute fosse comuni e tombe destinate ai corpi dei caduti, affiancate da sepolture equine.
Gli esemplari esposti in mostra a Firenze presentano morsi ad anello bronzei, un tipo di imboccatura particolarmente diffusa in area iberica, che sembra confermare la presenza di mercenari ispanici entro le fila dell’esercito cartaginese, come testimoniato anche da Erodoto.
Si tratta di un ritrovamento straordinario, dal momento che, nel V secolo a.C., le attestazioni di sepolture equine nel mondo greco e magno greco sono assai rare, eppure la risonanza dell’evento fece sì che i soldati e i loro cavalli fossero oggetto di particolari onorificenze.
Le tainiai niketeriai, le bende in lana rossa simbolo di vittoria, ornano invece il cavallo che figura nella kylix attica a figure rosse dipinta dal Pittore di Sabouroff, attivo tra il 470-460 e il 440-430 a.C. La dea Atena, seduta su trono, è intenta ad accarezzare l’animale - probabilmente un’allusione al cavallo di Troia - che cattura lo sguardo con le sue grandiose dimensioni.
“L’intero concetto di questa mostra - sintetizza Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi - sembra contenuto in una delle opere che vi sono esposte, una splendida coppia di frontali in bronzo e avorio, del IV secolo a. C., destinati a proteggere il muso del cavallo. Il perimetro della lamina sagomata e decorata a sbalzo ne segue pertanto l’anatomia allungata, ma al suo interno, invece di una fisionomia equina, racchiude le sembianze di un volto umano con un elmo sul capo. Cavallo e cavaliere diventano una cosa sola. Dal Paleolitico a tutto il Cinquecento, la rassegna di fatto indaga questo rapporto, di un’attualità spesso insospettata, e che attraversa tutta la nostra storia”.
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