Aspettando la mostra al MAXXI e l’apertura della casa di via Oslavia
150 anni di Giacomo Balla, "spirito solare" ed eterno sperimentatore
Giacomo Balla (1871 - 1958), Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery
Samantha De Martin
26/03/2021
Luce sfolgorante, rombo di motori, vortici e spigoli, rondini in volo, fantasmagorie di colori.
Ci siamo quasi. L’universo scoppiettante di Giacomo Balla, l’ "architetto dinamico di atmosfere", “lo spirito solare”, come lo chiamava Marinetti, si appresta a esplodere nell’agenda di appuntamenti per i 150 anni dalla sua nascita, avvenuta a Torino il 18 luglio del 1871.
L’arte si prepara a ricordare il genio che ne ha rivoluzionato stili e precetti, l’uomo “coi baffetti da gatto e due occhi di luce”, le cravatte sgargianti, minuscole, ma coloratissime, gli atteggiamenti “veloci, scattanti, dai ritmi espressivi, punteggiati da onomatopee fonetiche e astratte".
Giacomo Balla, Atoritratto, 1902
Dal MAXXI a Casa Balla: gli appuntamenti per celebrare i 150 anni
Dal 26 maggio, al MAXXI, la scenografica Galleria 5 sarà tutta dedicata alla mostra “Casaballa. Dalla casa all’universo e ritorno”, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Domitilla Dardi. Disegni, oggetti, bozzetti dialogheranno con opere create appositamente da artisti e designer italiani e internazionali. Ma l’evento più atteso è l’apertura, per la prima volta al pubblico, della casa-museo di via Oslavia 39B che, sempre dal 26 maggio, svelerà ai visitatori il suo caleidoscopico grembo.
L’appartamento, nel cuore del quartiere Delle Vittorie, a Roma - dove il pittore ha vissuto dal 1929 al 1958, anno della morte, con la moglie Elisa e le figlie Elica e Luce - è stato per il maestro tela e materia, espressione concreta di un'arte totale. Qui ogni cosa, dai mobili ai lampadari, dalle porte ai rivestimenti delle pareti, brilla dell'estro di Balla, il bambino prodigio che ha rinunciato alla carriera di musicista - a quattro anni suonava il violino - per darsi all’arte, alimentandola della sua passione più grande: la fotografia.
E poi in quel suo universo fatto di tele, disegni, bozzetti di abiti futuristi, utensili che lui stesso creava, oltre che nelle decorazioni fittissime della casa di via Oslavia, riecheggia l’arte del nonno, tintore di stoffe.
“Ricostruire l'universo rallegrandolo”
Circondata da palazzi umbertini e da uno schema di strade di stampo “torinese”, che doveva ricordare al pittore la sua città natale, Casa Balla è soprattutto l’espressione perfetta del risoluto credo che, nel 1915, Balla e Depero avrebbero riassunto nel loro Manifesto per la ricostruzione futurista. “Ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente” era il principio che guidava la seconda fase del movimento futurista. Un titolo che ammiccava anche al clima di attesa dell’intervento dell’Italia in guerra.
Giacomo Balla, Paravento, 1916-1917, Due ante dipinte su entrambi i lati, Olio su tavola, 115.5 x 124 cm
È nel quartiere Delle Vittorie, mosso in quegli anni da un fermento architettonico e culturale, che anche Balla - dopo aver soggiornato al Quirinale, e poi nella casa studio affacciata sul Parco dei Daini, ai confini con i Parioli - vive la sua continua evoluzione artistica. Dopo l’arrivo a Roma, intorno al 1895, in compagnia della madre - bellissima nel monumentale ritratto del 1901- Balla corrobora quella sua visione che lo porterà, poco alla volta, a superare la stagnazione romantica dell’arte italiana, tra donne, ombrelli e gentiluomini con il cilindro, affermando la luce abbagliante del progresso. Ne è un esempio Lampada ad arco (1909-1911), dove, servendosi dei linguaggi del Divisionismo e del Futurismo, tendenti all’astratto, Balla scalza l’idea romantica del chiaro di luna con quella di un progresso imperante.
Mentre le tematiche sociali, care ai maestri del divisionismo come Morbelli e Pellizza da Volpedo, e liberamente interpretate da Balla, acquistano nel pittore i lineamenti di contadini, malati, mendicanti, imprenditori falliti (l’iper-realista Fallimento del 1903 è forse la quintessenza del vero in arte), l’adesione al Futurismo con la sottoscrizione, nel 1910, della seconda edizione del Manifesto dei pittori futuristi sguinzaglia Balla sulla via dell’Avanguardia, una scelta necessaria e dirompente.
Presto opere come Elisa sulla porta del 1904 (dal sapore degassiano) o La pazza (figura che ricorda i soggetti di Schiele) cedono all’entusiasmo scaturito da automobili ruggenti dai “grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo”.
E Balla comincia a trasformare il divisionismo in altro.
Tra luce e movimento
“Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido” scriveva. È il 1912, anno del Dinamismo di un cane al guinzaglio, espressione di un nuovo approccio futurista che travolge l’osservatore con il suo vortice frutto della scomposizione dinamica del movimento. Ma nel poliedrico universo di Giacomo Balla c’è spazio anche per quella semplificazione geometrico-lineare che farà del maestro un antesignano della pittura astratta.
Giacomo Balla, Velocità + luci, 1913 circa, Olio e vernice su carta intelata 60 x 104 cm | Courtesy Futurism&Co Art Gallery Rome
Tra le punte acuminate e i vortici a spirale delle Compenetrazioni iridescenti del 1912, opere dirompenti, simili a origami, è facile ritrovare le linee perpendicolari e le campiture di colore geometriche di Mondrian.
“...E mi chiamai Fu Balla”
Nel suo viaggio artistico scandito da partenze, inversioni, ritorni, Balla è un idealista animato dall’intuizione di un’espressione artistica adeguata ai tempi. Incurante della propria emarginazione nel mondo dell’arte, sacrifica se stesso per una decisione eroica. Nell’aprile del 1913, l’annuncio: “Balla Futurista mette in vendita all’asta sue pitture passatiste”. E ancora: “Presi una decisione eroica. Volli dividere nettamente il passato dal presente. E mi chiamai Fu Balla”.
Giacomo Balla, Forze di paesaggio + cocomero, 1917-1918. Tempera su carta intelata © Giacomo Balla, by SIAE 201
Poi, negli anni Trenta l’abbandono del linguaggio futurista e il ritorno al ritratto, a quell’arte figurativa alla quale forse non rinunciò mai definitivamente.
L’abile colorista guarda ora ai mezzi di comunicazione di massa. Il suo occhio fotografico, che non aveva mai abbandonato il vero, si apre con maggiore slancio alla visione contemporanea del mondo. Così prendendo spunto dalla fotografia di moda e dalla pubblicità, Balla dà libero sfogo a un altro tassello del suo sfaccettato universo, anticipando la pop art.
L’ultimo Balla, tra atmosfere intime e ritratti di famiglia
Degli anni Trenta, ormai estraneo alle attività dell’avanguardia futurista, restano bellissimi autoritratti, dove ghigni, smorfie, pose spensierate ci restituiscono un Balla più intimo, innamorato di quella famiglia che campeggia nella tela del 1945 Noi quattro allo specchio. “Balla era futurista con il mondo esterno e figurativo in famiglia” dice il pittore e critico d'arte Roberto del Frate in una sua lezione dedicata a Giacomo Balla. Una dualità che forse ha sempre caratterizzato da sempre il suo animo di futurista anomalo e geniale sperimentatore.
Erano gli anni Quaranta e la fama di Balla viaggiava, già da parecchi anni, al di là dell’Oceano.
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L’arte si prepara a ricordare il genio che ne ha rivoluzionato stili e precetti, l’uomo “coi baffetti da gatto e due occhi di luce”, le cravatte sgargianti, minuscole, ma coloratissime, gli atteggiamenti “veloci, scattanti, dai ritmi espressivi, punteggiati da onomatopee fonetiche e astratte".
Giacomo Balla, Atoritratto, 1902
Dal MAXXI a Casa Balla: gli appuntamenti per celebrare i 150 anni
Dal 26 maggio, al MAXXI, la scenografica Galleria 5 sarà tutta dedicata alla mostra “Casaballa. Dalla casa all’universo e ritorno”, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Domitilla Dardi. Disegni, oggetti, bozzetti dialogheranno con opere create appositamente da artisti e designer italiani e internazionali. Ma l’evento più atteso è l’apertura, per la prima volta al pubblico, della casa-museo di via Oslavia 39B che, sempre dal 26 maggio, svelerà ai visitatori il suo caleidoscopico grembo.
L’appartamento, nel cuore del quartiere Delle Vittorie, a Roma - dove il pittore ha vissuto dal 1929 al 1958, anno della morte, con la moglie Elisa e le figlie Elica e Luce - è stato per il maestro tela e materia, espressione concreta di un'arte totale. Qui ogni cosa, dai mobili ai lampadari, dalle porte ai rivestimenti delle pareti, brilla dell'estro di Balla, il bambino prodigio che ha rinunciato alla carriera di musicista - a quattro anni suonava il violino - per darsi all’arte, alimentandola della sua passione più grande: la fotografia.
E poi in quel suo universo fatto di tele, disegni, bozzetti di abiti futuristi, utensili che lui stesso creava, oltre che nelle decorazioni fittissime della casa di via Oslavia, riecheggia l’arte del nonno, tintore di stoffe.
“Ricostruire l'universo rallegrandolo”
Circondata da palazzi umbertini e da uno schema di strade di stampo “torinese”, che doveva ricordare al pittore la sua città natale, Casa Balla è soprattutto l’espressione perfetta del risoluto credo che, nel 1915, Balla e Depero avrebbero riassunto nel loro Manifesto per la ricostruzione futurista. “Ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente” era il principio che guidava la seconda fase del movimento futurista. Un titolo che ammiccava anche al clima di attesa dell’intervento dell’Italia in guerra.
Giacomo Balla, Paravento, 1916-1917, Due ante dipinte su entrambi i lati, Olio su tavola, 115.5 x 124 cm
È nel quartiere Delle Vittorie, mosso in quegli anni da un fermento architettonico e culturale, che anche Balla - dopo aver soggiornato al Quirinale, e poi nella casa studio affacciata sul Parco dei Daini, ai confini con i Parioli - vive la sua continua evoluzione artistica. Dopo l’arrivo a Roma, intorno al 1895, in compagnia della madre - bellissima nel monumentale ritratto del 1901- Balla corrobora quella sua visione che lo porterà, poco alla volta, a superare la stagnazione romantica dell’arte italiana, tra donne, ombrelli e gentiluomini con il cilindro, affermando la luce abbagliante del progresso. Ne è un esempio Lampada ad arco (1909-1911), dove, servendosi dei linguaggi del Divisionismo e del Futurismo, tendenti all’astratto, Balla scalza l’idea romantica del chiaro di luna con quella di un progresso imperante.
Mentre le tematiche sociali, care ai maestri del divisionismo come Morbelli e Pellizza da Volpedo, e liberamente interpretate da Balla, acquistano nel pittore i lineamenti di contadini, malati, mendicanti, imprenditori falliti (l’iper-realista Fallimento del 1903 è forse la quintessenza del vero in arte), l’adesione al Futurismo con la sottoscrizione, nel 1910, della seconda edizione del Manifesto dei pittori futuristi sguinzaglia Balla sulla via dell’Avanguardia, una scelta necessaria e dirompente.
Presto opere come Elisa sulla porta del 1904 (dal sapore degassiano) o La pazza (figura che ricorda i soggetti di Schiele) cedono all’entusiasmo scaturito da automobili ruggenti dai “grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo”.
E Balla comincia a trasformare il divisionismo in altro.
Tra luce e movimento
“Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido” scriveva. È il 1912, anno del Dinamismo di un cane al guinzaglio, espressione di un nuovo approccio futurista che travolge l’osservatore con il suo vortice frutto della scomposizione dinamica del movimento. Ma nel poliedrico universo di Giacomo Balla c’è spazio anche per quella semplificazione geometrico-lineare che farà del maestro un antesignano della pittura astratta.
Giacomo Balla, Velocità + luci, 1913 circa, Olio e vernice su carta intelata 60 x 104 cm | Courtesy Futurism&Co Art Gallery Rome
Tra le punte acuminate e i vortici a spirale delle Compenetrazioni iridescenti del 1912, opere dirompenti, simili a origami, è facile ritrovare le linee perpendicolari e le campiture di colore geometriche di Mondrian.
“...E mi chiamai Fu Balla”
Nel suo viaggio artistico scandito da partenze, inversioni, ritorni, Balla è un idealista animato dall’intuizione di un’espressione artistica adeguata ai tempi. Incurante della propria emarginazione nel mondo dell’arte, sacrifica se stesso per una decisione eroica. Nell’aprile del 1913, l’annuncio: “Balla Futurista mette in vendita all’asta sue pitture passatiste”. E ancora: “Presi una decisione eroica. Volli dividere nettamente il passato dal presente. E mi chiamai Fu Balla”.
Giacomo Balla, Forze di paesaggio + cocomero, 1917-1918. Tempera su carta intelata © Giacomo Balla, by SIAE 201
Poi, negli anni Trenta l’abbandono del linguaggio futurista e il ritorno al ritratto, a quell’arte figurativa alla quale forse non rinunciò mai definitivamente.
L’abile colorista guarda ora ai mezzi di comunicazione di massa. Il suo occhio fotografico, che non aveva mai abbandonato il vero, si apre con maggiore slancio alla visione contemporanea del mondo. Così prendendo spunto dalla fotografia di moda e dalla pubblicità, Balla dà libero sfogo a un altro tassello del suo sfaccettato universo, anticipando la pop art.
L’ultimo Balla, tra atmosfere intime e ritratti di famiglia
Degli anni Trenta, ormai estraneo alle attività dell’avanguardia futurista, restano bellissimi autoritratti, dove ghigni, smorfie, pose spensierate ci restituiscono un Balla più intimo, innamorato di quella famiglia che campeggia nella tela del 1945 Noi quattro allo specchio. “Balla era futurista con il mondo esterno e figurativo in famiglia” dice il pittore e critico d'arte Roberto del Frate in una sua lezione dedicata a Giacomo Balla. Una dualità che forse ha sempre caratterizzato da sempre il suo animo di futurista anomalo e geniale sperimentatore.
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