BAJ – OPERE 1951-2001
Enrico Baj
25/02/2004
La mostra, che terrà aperti i battenti fino alla fine di gennaio, si connota come una completa antologia della produzione artistica di Enrico Baj. Viene offerto al visitatore un percorso in quattordici sezioni, con più di 180 opere esposte, che si snoda lungo i cinquant’anni della carriera dell’artista lombardo.
Si parte ovviamente dal “periodo nucleare” (1951-55), in cui dominano le paure di Hiroshima, con tele come “Spiralen” che presentano funghi atomici o “Non uccidete i bambini”. Nell’arte nucleare “le forme si disintegrano, le nuove forme dell’uomo sono quelle dell’universo atomico, le forze sono cariche elettroniche”.
La rigida opposizione di Baj è contro tutto ciò che può essere connesso a questa nuova forma di energia. E’ solo l’inizio di una critica ferma e decisa che l’artista attuerà anche nei confronti delle innovazioni tecnologiche, sui cui presunti vantaggi ha precise idee: “il monitor è una cosa che ha una sua grandissima utilità, ma dato che ne diventiamo dipendenti e non sappiamo più farne a meno, ha lo stesso funzionamento della droga, diventa cioè un male collettivo. Si è talmente monitor-dipendenti che non si sanno fare più nemmeno le più semplici operazioni, due più due, o due per due, se non schiacciando tastini, questo vuol dire un blocco dell’intelligenza a monte che le preclude ulteriori progressi a valle”.
La seconda sezione è dedicata ai “primi collages” (1955-56) che rappresentano animali antropomorfi e uomini zoomorfi, realizzati con corde, pietre, tessuti, vetri. Seguono le “Montagne” e gli “Ultracorpi” (1957-59), in cui un magma informe e fortemente materico è la parte terrestre di questa sorta di “paesaggi”, mentre gli sfondi sono lasciati a tappezzerie colorate.
Interessante la parte di “specchi e modificazioni” (1959-60) dove, oltre alle composizioni di vetri frantumati che si rifanno inequivocabilmente ai precedenti di Marcel Duchamp, spiccano le cosiddette modificazioni o contaminazioni. Queste ultime consistono in interventi su dipinti commerciali e convenzionali (paesaggi, nudi): esempi chiarificatori sono “Susanna” e “Au bord du lac”. Nel primo quadro Baj si confronta con il tema tradizionale della “Susanna e i vecchioni”, con la donna che sembra ripresa da una copertina di qualche rotocalco rosa e i due vecchi che la insidiano, invece, veri e propri collages antropomorfi. Nel secondo caso la tranquillità di un paesaggio svizzero, caratterizzato da uno specchio lacustre, viene minacciata dall’inserimento di due macchie identificabili come navicelle spaziali. Con queste opere siamo vicini all’effetto di straniamento proprio dei ready-made, ulteriore conferma della connotazione neodadaista di gran parte della produzione di Baj.
La quinta sezione è quella di “generali e dame” (1959-74). Nata quasi per caso da una montagna in processo di personificazione, la serie dei generali presenta figure-collages che si impongono all’attenzione per volgarità e brutalità del potere. L’immagine militare è sintetizzata da medaglie inserite sulle giacche. Il corrispettivo femminile è rappresentato dalle dame che esibiscono un’ostentata rassegna di orpelli che ne denota la vacuità di valori.
Le sale successive presentano “collages e grandi quadri” (1960-69). Di grande richiamo il rifacimento di Guernica, all’interno del quale, tra le figure disperate del celebre dipinto, vengono inseriti dei militari, sintesi della colpevolezza del potere costituito, ma anche la “Parata a sei”, caratterizzata da altri militari-automi, realizzati anche con pezzi del meccano, che stavolta sembrano danzare in un musical di Broadway.
Le sezioni che seguono mostrano i “mobili” (1960-62), le “plastiche” (1963-69), i “meccani” (1963-84), in cui vengono rispettivamente combinati nel primo caso intarsi, intagli, impiallacciature; nel secondo mattoncini del lego e altre materie plastiche; nel terzo pezzi del meccano con cui Baj realizza una cinquantina di marionette per “Ubu Re” di Alfred Jarry, padre della Patafisica, a lui tanto cara.
Dopo la sala dedicata ai “Funerali dell’anarchico Pinelli” (1972), vero capolavoro di tutta la produzione di Baj, la mostra si chiude con le ultime quattro sezioni: “combinatoire, kitsch” (1989-90), “maschere” (1993-95), “Impressioni d’Africa e totem” (1996-2000), “Guermantes” (1999).
Meritano una menzione le maschere e i totem che si riconnettono alle culture delle popolazioni indigene, ma soprattutto i 164 ritratti dei guermantes, ripresi da Marcel Proust, realizzati su piccole formelle con i materiali tipici dei collages e delle composizioni di tutta la produzione di Enrico Baj.
BAJ – OPERE 1951-2001
Fino al 27 gennaio 2002
Roma - Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale, 194
Orario: 10-21 (chiuso il martedì)
Informazioni e prenotazioni: 06 48941230
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