Dietro le quinte del nuovo film d’arte targato Sky
Caravaggio – L’Anima e il Sangue: parla la sceneggiatrice Laura Allievi
Sul set di "Caravaggio - L'Anima e il Sangue", sullo sfondo l'opera di Caravaggio "Cena in Emmaus" (1601-02)
Francesca Grego
19/01/2018
Manca solo un mese al debutto cinematografico di "Caravaggio – L’Anima e il Sangue".
Nell’attesa di incontrare il genio della pittura seicentesca a tu per tu sul grande schermo, curiosiamo nel backstage dell’imponente progetto cinematografico di Sky che arriverà nelle sale italiane il 19, il 20 e il 21 febbraio e sarà distribuito da Nexo Digital.
Un viaggio in equilibrio tra documentario e fiction attraverso oltre 40 opere e 5 città legate all’esistenza dell’artista che, grazie a nuovissime tecnologie di ripresa, evolute elaborazioni grafiche e di lavorazione della luce, promette di introdurre lo spettatore all’universo di Caravaggio da una prospettiva ravvicinata, tattile e viscerale, in cui gli intensi chiaroscuri dei suoi dipinti prendono corpo e vita quasi reale.
A raccontarcelo in anteprima è la sceneggiatrice Laura Allievi, reduce dai successi di Raffaello – Il Principe delle Arti, San Pietro e le Basiliche Papali 3D, Firenze e gli Uffizi 3D, tre film che hanno segnato un modo nuovo di entrare in contatto con i maestri dell’arte.
Quali sono state, Laura, le sfide più ardue di questa tua ultima fatica?
“La parte più bella e insieme più difficile di Caravaggio – L’Anima e il Sangue è quella che mi ha fatto vivere nei panni del personaggio. Dare voce all’animo e alla personalità di un simile artista non era affatto semplice. Scrivere i monologhi di Caravaggio ha comportato un importante sforzo di immedesimazione: il compito che mi ha impegnata di più sia a livello creativo che emotivo e che tuttavia ha dato vita alle parti del film che trovo di maggiore impatto. Con i monologhi entriamo nell’arte di Caravaggio in maniera nuova: non semplicemente citando dati biografici ma provando a pensare e capire come capiva e pensava lui: un’operazione complessa, che richiede non solo una solida preparazione scientifica ma anche una certa dose di empatia e di sensibilità”.
Qual è il ritratto che ne viene fuori? Presenta delle novità importanti rispetto al Caravaggio che abbiamo conosciuto fino a oggi?
“Dal film emerge un personaggio dalla grandissima creatività, dal talento spropositato e al contempo dalla personalità complessa. Un animo tormentato, un’indole violenta e sensibilissima insieme. Vengono fuori le inquiete inclinazioni che i suoi biografi ci hanno restituito: un quadro che conferma l’immagine già nota di Caravaggio, ma la indaga e la approfondisce in tutte le declinazioni possibili. L’originalità di questo ritratto cinematografico è nello sguardo, nel modo di raccontare, perché è la voce dello stesso Caravaggio a esprimere in prima persona i pensieri, le emozioni, le sensazioni che lo animano”.
E qui entra in gioco Manuel Agnelli…
“Per entrare nella vita dell’artista in maniera empatica e d’impatto cercavamo una voce narrante in grado di restituircene efficacemente la personalità e le sensazioni. Ci siamo chiesti quale fosse un personaggio nostro contemporaneo che potesse avere quell’aura di inquietudine e al contempo grandi doti artistiche. Perché non Manuel Agnelli? Un artista poliedrico, curioso, appassionato, di grande talento: la combinazione perfetta!”.
Caravaggio è stato spesso descritto come un artista di straordinaria modernità per la sua epoca. Quali elementi lo rendono così attuale e vicino a noi? Come si esprime nel film questo suo carattere “contemporaneo”?
“Sin da subito Caravaggio è apparso come un artista rivoluzionario: questo ha suscitato attorno a lui ammirazione ma anche pesanti critiche. Credo che il tratto più notevole della sua modernità sia l’attaccamento quasi morboso al reale. Per lui la realtà è la miglior fonte di ispirazione, per cui nei suoi dipinti i modelli sono persone comuni, gente del popolo. Anche le sante spesso hanno i lineamenti di note prostitute che lui frequentava. Quest’attenzione alla realtà, anche nei suoi dettagli più scabrosi – come i piedi sporchi della coppia inginocchiata della Madonna dei Pellegrini – rappresenta una novità di portata davvero straordinaria. Questo è un aspetto ben rappresentato nel film, come emerge dall’intero capitolo che abbiamo dedicato alle donne, spesso protagoniste dei suoi dipinti. Non mancano episodi in cui le sue opere vengono rifiutate dai committenti proprio a causa del modo assolutamente innovativo di interpretare i soggetti sacri: quello che spesso viene rimproverato a Caravaggio è la mancanza di decoro, rispetto a ciò che si era abituati a vedere all’epoca in un quadro e che lui andava scardinando con la sua arte”.
Un’arte che nasce dalle emozioni per emozionare a sua volta, dunque. Quali sono i moti dell’animo caravaggesco che hanno attratto la tua attenzione e che trovano maggiore spazio nel film?
“Sia nella dimensione esistenziale di Caravaggio che nelle sue opere è evidente una fortissima componente emotiva.
Tra le sfumature più potenti possiamo citare certamente la violenza, in genere legata a scatti d’ira. Una presenza frequente nella vita dell’artista, non a caso spesso convocato in tribunale. Nei suoi dipinti la violenza si manifesta in numerosissime immagini di decapitazioni, martirii, spade. C’è poi una speciale tenerezza, che emerge ad esempio nel monologo dedicato alle donne. Il suo è un animo pieno di contrasti: violenza e pentimento, ira e tenerezza sono importanti ingredienti delle sue opere e al contempo delineano il ritratto di un artista che non ha eguali, sia per dati biografici sia per produzione artistica”.
Quali sono state le fonti documentali consultate per la sceneggiatura? Le ricerche preliminari hanno riservato delle sorprese?
“Fortunatamente le fonti disponibili sulla vita e l’arte di Caravaggio sono piuttosto ricche, perché la sua figura ha destato particolare attenzione tra i contemporanei. Abbiamo consultato gli scritti dei suoi biografi antichi – Giovan Pietro Bellori, Giulio Mancini e Giovanni Baglione – ognuno dei quali sottolinea elementi diversi, che messi insieme restituiscono un quadro coerente.
A dispensare le sorprese più interessanti sono stati i documenti giudiziari ritrovati all’Archivio di Stato di Roma: sono stati fondamentali per ricostruire il puzzle dell’esistenza del pittore e mi hanno ispirata nella stesura dei monologhi.
Un altro documento ripreso nel film è il certificato di battesimo, scoperto dagli storici negli archivi della diocesi di Milano, che attesta la nascita di Caravaggio nel capoluogo lombardo e non, come si credeva fino a qualche anno fa, nel paesino di Caravaggio in provincia di Bergamo, dal quale invece provenivano i suoi genitori”.
Come nasce la scelta di dare un taglio investigativo alla narrazione?
“Quella di Caravaggio ci è apparsa subito come una storia quasi poliziesca: sono davvero tanti gli eventi che lo vedono coinvolto in vicende giudiziarie documentate dagli atti che abbiamo ritrovato a Roma. Ci è parso interessante raccontare alcuni aspetti della sua vita attraverso condanne, denunce, verbali: è un linguaggio che ci aiuta a entrare nella sua mente e nei fatti che l’hanno visto protagonista. E soprattutto a comprenderne le scelte, anche quelle apparentemente strane o inspiegabili, da un punto di vista più vicino possibile. Per esempio abbiamo analizzato in profondità gli atti del processo Baglione, in cui Caravaggio compare sul banco degli imputati insieme ad alcuni suoi amici con l’accusa di aver scritto versi denigratori verso il collega Baglione, suo futuro biografo. Il processo è anche un’occasione per mettere in scena l’ambiente artistico della Roma del Seicento: vengono infatti chiamati in causa gli artisti amici di entrambi i contendenti. Mentre si delinea la ricostruzione dei fatti, si dà spazio a tutte le voci coinvolte, sullo sfondo della città in cui Caravaggio visse e lavorò in anni cruciali della sua esistenza”.
È stato difficile trovare un equilibrio tra fiction e documentario? Quali criteri ti hanno guidata in tale direzione?
“Cercare un equilibrio tra le due dimensioni è fondamentale: si tratta di aspetti complementari e nessuno dei due deve prevalere sull’altro. Penso che in un progetto di questo tipo l’arte debba rimanere sempre in primo piano, lasciando ampio spazio ai dipinti e al loro racconto. Era però necessario entrare nelle opere in modo nuovo, per evitare l’effetto didascalico dei documentari classici. L’equilibrio è arrivato in maniera naturale. Immaginando i monologhi legati alle emozioni di Caravaggio, immediatamente mi venivano in mente opere che potevano incarnarne l’equivalente artistico. Mi è capitato ad esempio quando ho scritto un profondo monologo sulla realtà e sulle critiche dei contemporanei al realismo caravaggesco. Come in questo caso, al momento introspettivo dell’artista segue spesso un capitolo dedicato alle opere che più lo rappresentano, così come le riflessioni di Caravaggio sull’ira introducono il grande fatto di sangue che lo vide coinvolto e che lo costrinse a scappare da Roma. Il rapporto tra i monologhi e le digressioni artistiche è veramente molto stretto, è un intreccio continuo”.
Prima di Caravaggio – L’Anima e il Sangue, hai lavorato alla sceneggiatura di Raffaello – Il Principe delle Arti, San Pietro e le Basiliche Papali 3D, Firenze e gli Uffizi 3D. A quale delle tue creature sei più legata? Quale è stata l’impresa più appassionante e quale quella più difficile?
“Il progetto più difficile è stato senza dubbio Firenze e gli Uffizi, il primo di questa importanza, ma soprattutto l’occasione per inventare un nuovo linguaggio narrativo. Nei monologhi di quel film ho dato voce a Lorenzo il Magnifico, lasciando entrare un po’ della mia personalità nella sceneggiatura. Con Firenze e gli Uffizi abbiamo anche vinto il Nastro d’Argento: è stata la prima e la più grande fatica, ma anche quella che mi ha dato maggiore soddisfazione. Potrò confrontarla con Caravaggio soltanto tra qualche mese”.
Leggi anche:
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• Tra scoperte, curiosità e aneddoti: il Caravaggio di Sky al cinema
• Sante e peccatrici, nobili e plebee, dame e cortigiane: le donne di Caravaggio
Nell’attesa di incontrare il genio della pittura seicentesca a tu per tu sul grande schermo, curiosiamo nel backstage dell’imponente progetto cinematografico di Sky che arriverà nelle sale italiane il 19, il 20 e il 21 febbraio e sarà distribuito da Nexo Digital.
Un viaggio in equilibrio tra documentario e fiction attraverso oltre 40 opere e 5 città legate all’esistenza dell’artista che, grazie a nuovissime tecnologie di ripresa, evolute elaborazioni grafiche e di lavorazione della luce, promette di introdurre lo spettatore all’universo di Caravaggio da una prospettiva ravvicinata, tattile e viscerale, in cui gli intensi chiaroscuri dei suoi dipinti prendono corpo e vita quasi reale.
A raccontarcelo in anteprima è la sceneggiatrice Laura Allievi, reduce dai successi di Raffaello – Il Principe delle Arti, San Pietro e le Basiliche Papali 3D, Firenze e gli Uffizi 3D, tre film che hanno segnato un modo nuovo di entrare in contatto con i maestri dell’arte.
Quali sono state, Laura, le sfide più ardue di questa tua ultima fatica?
“La parte più bella e insieme più difficile di Caravaggio – L’Anima e il Sangue è quella che mi ha fatto vivere nei panni del personaggio. Dare voce all’animo e alla personalità di un simile artista non era affatto semplice. Scrivere i monologhi di Caravaggio ha comportato un importante sforzo di immedesimazione: il compito che mi ha impegnata di più sia a livello creativo che emotivo e che tuttavia ha dato vita alle parti del film che trovo di maggiore impatto. Con i monologhi entriamo nell’arte di Caravaggio in maniera nuova: non semplicemente citando dati biografici ma provando a pensare e capire come capiva e pensava lui: un’operazione complessa, che richiede non solo una solida preparazione scientifica ma anche una certa dose di empatia e di sensibilità”.
Qual è il ritratto che ne viene fuori? Presenta delle novità importanti rispetto al Caravaggio che abbiamo conosciuto fino a oggi?
“Dal film emerge un personaggio dalla grandissima creatività, dal talento spropositato e al contempo dalla personalità complessa. Un animo tormentato, un’indole violenta e sensibilissima insieme. Vengono fuori le inquiete inclinazioni che i suoi biografi ci hanno restituito: un quadro che conferma l’immagine già nota di Caravaggio, ma la indaga e la approfondisce in tutte le declinazioni possibili. L’originalità di questo ritratto cinematografico è nello sguardo, nel modo di raccontare, perché è la voce dello stesso Caravaggio a esprimere in prima persona i pensieri, le emozioni, le sensazioni che lo animano”.
E qui entra in gioco Manuel Agnelli…
“Per entrare nella vita dell’artista in maniera empatica e d’impatto cercavamo una voce narrante in grado di restituircene efficacemente la personalità e le sensazioni. Ci siamo chiesti quale fosse un personaggio nostro contemporaneo che potesse avere quell’aura di inquietudine e al contempo grandi doti artistiche. Perché non Manuel Agnelli? Un artista poliedrico, curioso, appassionato, di grande talento: la combinazione perfetta!”.
Caravaggio è stato spesso descritto come un artista di straordinaria modernità per la sua epoca. Quali elementi lo rendono così attuale e vicino a noi? Come si esprime nel film questo suo carattere “contemporaneo”?
“Sin da subito Caravaggio è apparso come un artista rivoluzionario: questo ha suscitato attorno a lui ammirazione ma anche pesanti critiche. Credo che il tratto più notevole della sua modernità sia l’attaccamento quasi morboso al reale. Per lui la realtà è la miglior fonte di ispirazione, per cui nei suoi dipinti i modelli sono persone comuni, gente del popolo. Anche le sante spesso hanno i lineamenti di note prostitute che lui frequentava. Quest’attenzione alla realtà, anche nei suoi dettagli più scabrosi – come i piedi sporchi della coppia inginocchiata della Madonna dei Pellegrini – rappresenta una novità di portata davvero straordinaria. Questo è un aspetto ben rappresentato nel film, come emerge dall’intero capitolo che abbiamo dedicato alle donne, spesso protagoniste dei suoi dipinti. Non mancano episodi in cui le sue opere vengono rifiutate dai committenti proprio a causa del modo assolutamente innovativo di interpretare i soggetti sacri: quello che spesso viene rimproverato a Caravaggio è la mancanza di decoro, rispetto a ciò che si era abituati a vedere all’epoca in un quadro e che lui andava scardinando con la sua arte”.
Un’arte che nasce dalle emozioni per emozionare a sua volta, dunque. Quali sono i moti dell’animo caravaggesco che hanno attratto la tua attenzione e che trovano maggiore spazio nel film?
“Sia nella dimensione esistenziale di Caravaggio che nelle sue opere è evidente una fortissima componente emotiva.
Tra le sfumature più potenti possiamo citare certamente la violenza, in genere legata a scatti d’ira. Una presenza frequente nella vita dell’artista, non a caso spesso convocato in tribunale. Nei suoi dipinti la violenza si manifesta in numerosissime immagini di decapitazioni, martirii, spade. C’è poi una speciale tenerezza, che emerge ad esempio nel monologo dedicato alle donne. Il suo è un animo pieno di contrasti: violenza e pentimento, ira e tenerezza sono importanti ingredienti delle sue opere e al contempo delineano il ritratto di un artista che non ha eguali, sia per dati biografici sia per produzione artistica”.
Quali sono state le fonti documentali consultate per la sceneggiatura? Le ricerche preliminari hanno riservato delle sorprese?
“Fortunatamente le fonti disponibili sulla vita e l’arte di Caravaggio sono piuttosto ricche, perché la sua figura ha destato particolare attenzione tra i contemporanei. Abbiamo consultato gli scritti dei suoi biografi antichi – Giovan Pietro Bellori, Giulio Mancini e Giovanni Baglione – ognuno dei quali sottolinea elementi diversi, che messi insieme restituiscono un quadro coerente.
A dispensare le sorprese più interessanti sono stati i documenti giudiziari ritrovati all’Archivio di Stato di Roma: sono stati fondamentali per ricostruire il puzzle dell’esistenza del pittore e mi hanno ispirata nella stesura dei monologhi.
Un altro documento ripreso nel film è il certificato di battesimo, scoperto dagli storici negli archivi della diocesi di Milano, che attesta la nascita di Caravaggio nel capoluogo lombardo e non, come si credeva fino a qualche anno fa, nel paesino di Caravaggio in provincia di Bergamo, dal quale invece provenivano i suoi genitori”.
Come nasce la scelta di dare un taglio investigativo alla narrazione?
“Quella di Caravaggio ci è apparsa subito come una storia quasi poliziesca: sono davvero tanti gli eventi che lo vedono coinvolto in vicende giudiziarie documentate dagli atti che abbiamo ritrovato a Roma. Ci è parso interessante raccontare alcuni aspetti della sua vita attraverso condanne, denunce, verbali: è un linguaggio che ci aiuta a entrare nella sua mente e nei fatti che l’hanno visto protagonista. E soprattutto a comprenderne le scelte, anche quelle apparentemente strane o inspiegabili, da un punto di vista più vicino possibile. Per esempio abbiamo analizzato in profondità gli atti del processo Baglione, in cui Caravaggio compare sul banco degli imputati insieme ad alcuni suoi amici con l’accusa di aver scritto versi denigratori verso il collega Baglione, suo futuro biografo. Il processo è anche un’occasione per mettere in scena l’ambiente artistico della Roma del Seicento: vengono infatti chiamati in causa gli artisti amici di entrambi i contendenti. Mentre si delinea la ricostruzione dei fatti, si dà spazio a tutte le voci coinvolte, sullo sfondo della città in cui Caravaggio visse e lavorò in anni cruciali della sua esistenza”.
È stato difficile trovare un equilibrio tra fiction e documentario? Quali criteri ti hanno guidata in tale direzione?
“Cercare un equilibrio tra le due dimensioni è fondamentale: si tratta di aspetti complementari e nessuno dei due deve prevalere sull’altro. Penso che in un progetto di questo tipo l’arte debba rimanere sempre in primo piano, lasciando ampio spazio ai dipinti e al loro racconto. Era però necessario entrare nelle opere in modo nuovo, per evitare l’effetto didascalico dei documentari classici. L’equilibrio è arrivato in maniera naturale. Immaginando i monologhi legati alle emozioni di Caravaggio, immediatamente mi venivano in mente opere che potevano incarnarne l’equivalente artistico. Mi è capitato ad esempio quando ho scritto un profondo monologo sulla realtà e sulle critiche dei contemporanei al realismo caravaggesco. Come in questo caso, al momento introspettivo dell’artista segue spesso un capitolo dedicato alle opere che più lo rappresentano, così come le riflessioni di Caravaggio sull’ira introducono il grande fatto di sangue che lo vide coinvolto e che lo costrinse a scappare da Roma. Il rapporto tra i monologhi e le digressioni artistiche è veramente molto stretto, è un intreccio continuo”.
Prima di Caravaggio – L’Anima e il Sangue, hai lavorato alla sceneggiatura di Raffaello – Il Principe delle Arti, San Pietro e le Basiliche Papali 3D, Firenze e gli Uffizi 3D. A quale delle tue creature sei più legata? Quale è stata l’impresa più appassionante e quale quella più difficile?
“Il progetto più difficile è stato senza dubbio Firenze e gli Uffizi, il primo di questa importanza, ma soprattutto l’occasione per inventare un nuovo linguaggio narrativo. Nei monologhi di quel film ho dato voce a Lorenzo il Magnifico, lasciando entrare un po’ della mia personalità nella sceneggiatura. Con Firenze e gli Uffizi abbiamo anche vinto il Nastro d’Argento: è stata la prima e la più grande fatica, ma anche quella che mi ha dato maggiore soddisfazione. Potrò confrontarla con Caravaggio soltanto tra qualche mese”.
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