“Tintoretto. Un ribelle a Venezia” al cinema dal 25 al 27 febbraio
Con Tintoretto Roberto Pisoni presenta la sfida di Sky Arte
Immagine tratta dal film Tintoretto – Un Ribelle a Venezia, Scuola Grande di San Rocco, Venezia | © Sky Italia s.r.l. | Courtesy of Sky Arts Production Hub 2019
Francesca Grego
25/02/2019
Il momento è arrivato. Una delle personalità più esplosive – e meno conosciute – dell’arte italiana debutta al cinema: fino a mercoledì 27 Tintoretto. Un ribelle a Venezia racconta agli spettatori la straordinaria avventura di un maestro decisamente fuori dal coro.
Prodotto da Sky Arts Production Hub, diretto da Beppe Romano e distribuito da Nexo Digital, il docu-film prende le mosse dalle ricerche del Premio Strega Melania Mazzucco per poi aprirsi ai contributi dei massimi esperti del pittore e rileggere sotto una luce nuova una superba pagina di storia dell’arte.
Ma come si porta la pittura sullo schermo? Lo chiediamo a Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte HD e di Sky Arts Production Hub, in un piccolo viaggio tra arte, cinema e tv.
“Tintoretto. Un ribelle a Venezia” è il primo film prodotto integralmente da Sky Arts Production Hub. Può raccontarci questa esperienza?
“Quella su Tintoretto è la prima produzione per il cinema di questa unità che gestiamo a Milano e che realizza contenuti non soltanto per l’Italia ma anche per la Germania, il Regno Unito, l’Austria e l’Irlanda.
Forti del carattere internazionale del film, abbiamo convinto i nostri “cugini” europei a lanciarlo nelle sale cinematografiche. Pur partendo dai libri di Melania Mazzucco, infatti, la storia di Tintoretto ha assunto delle proporzioni, dei colori e dei timbri in grado di travalicare i confini grazie alle voci che la raccontano: esperti tedeschi, inglesi, francesi, americani. In più la voce fuori campo che in Italia è quella di Stefano Accorsi, per gli altri paesi è quella di un’attrice nota e in gamba come Helena Bonham Carter.
Partendo dall’Italia il film raggiungerà i cinema di 50 paesi sparsi in tutto il mondo, andrà automaticamente nelle tv dei cinque paesi dell’Hub per poi essere affidato alle vendite internazionali di Nexo Digital.
Sappiamo che quello di Tintoretto non è tra i nomi più popolari in assoluto, ma la storia che abbiamo realizzato è molto forte e solida, come le azioni di comunicazione che abbiamo messo in atto, quindi non possiamo che aspettarci un buon risultato”.
Quali criteri hanno portato alla scelta di Tintoretto come soggetto cinematografico?
"In primo luogo l’incontro con Melania Mazzucco, che ci ha sottoposto questa storia due anni fa, parlandoci del suo innamoramento per Tintoretto. La proposta è arrivata al momento giusto, in coincidenza con le celebrazioni dei 500 anni dalla nascita dell’artista nel 2018-2019.
La storia ci è sembrata davvero forte e, soprattutto, non era mai stata raccontata veramente al pubblico. Ci siamo fatti affascinare dal personaggio, dalla sua eccentricità, dal suo rapporto con Venezia, dal fatto che fosse uno dei pochi pittori veneziani al 100%, nato lì e rimasto a lavorare nella sua città per tutta la vita. Abbiamo trovato stimolante riscoprire un artista considerato per lungo tempo ‘minore’ rispetto per esempio a Veronese e a Tiziano, ma che negli ultimi anni è stato rivalutato.
Ci ha stupito la curiosità e l’attrazione esercitata da Tintoretto su intellettuali e artisti diversi tra di loro, da John Ruskin a Jean-Paul Sartre per arrivare a contemporanei come Emilio Vedova e a un personaggio come David Bowie, che l’ha definito ‘una proto rockstar’ e ha voluto chiamare la sua etichetta ‘Tintoretto’. Ci ha conquistati il fatto che fosse un artista così controverso: perfino Giorgio Vasari, nel momento stesso in cui lo disprezzava con epiteti come ‘il Terribile’ o ‘il Furioso’ ne riconosceva la personalità.
A un personaggio molto forte e a una storia mai raccontata si aggiungono la possibilità di conoscere l’artista sotto una luce nuova e la presenza di un Premio Strega (Melania Mazzucco) che su di lui ha scritto un romanzo e una fondamentale biografia.
Senza dimenticare la collaborazione con San Rocco, che ci ha permesso di restituire qualcosa alla comunità restaurando due opere di Tintoretto (Maria in lettura e Maria in meditazione, ndr): il progetto non si è fermato quindi al racconto cinematografico, ma ha prodotto una testimonianza in grado di resistere al tempo”.
Quali sono state le sfide principali di questo film?
“Quando si parla di film d’arte è fondamentale costruire un arco narrativo efficace. Abbiamo sviluppato la storia grazie a un buon gruppo di lavoro: una casa di produzione, la Except, il regista Beppe Romano e l’aiuto di Beppe, Ruggero Longoni, si sono occupati della parte visiva. Attraverso le interviste abbiamo costruito il racconto e poi abbiamo cercato elementi che lo rafforzassero.
La cosa più delicata in questi casi è trovare il giusto registro, l’incastro tra la profondità scientifica, la qualità visiva e la qualità narrativa: cioè non dire sciocchezze dal punto di vista della storia dell’arte e anzi raccontare cose nuove, avere un impianto visivo che sia coinvolgente e tecnologicamente evoluto senza tradire le opere, e infine bilanciare al meglio le interviste e la struttura narrativa, in modo che il risultato finale sia avvincente.
Lavorare in una città come Venezia rende tutto un po’ più complicato, in primo luogo trasporti e spostamenti nonostante avessimo una troupe piuttosto leggera. Fortunatamente abbiamo avuto la massima disponibilità dalle istituzioni con cui abbiamo collaborato, in particolare dalla Scuola Grande di San Rocco.
Siamo felici di questo esperimento. Credo che chi vedrà il film percepirà l’entusiasmo che tutto il gruppo ha messo nel raccontare la storia di Tintoretto per la prima volta in modo così articolato e complesso.
Quali differenze passano tra produrre un documentario per il cinema e per la tv?
“Per il cinema bisogna pensare con ritmi visivi e narrativi completamente diversi da quelli della tv. In un prodotto televisivo, la cui lunghezza si aggira di solito intorno ai 45-50 minuti, cerchiamo di raccontare l’arte con linguaggio contemporaneo e con un’attenzione al ritmo che mantenga alta l’attenzione.
In genere il cinema ha tempi più distesi, una struttura narrativa più sciolta, una qualità visiva più potente, ma credo che ogni volta sia necessario calibrare questi elementi riflettendo sulle caratteristiche del singolo prodotto.
Per la televisione pensiamo a una fruizione un po’ distratta, non al buio, il cinema ha un altro rituale, un diverso passo sia visivo che narrativo. È tutta un’altra storia, ma aver lavorato a lungo su questi temi in televisione è stata un’ottima palestra”.
Qual è il ruolo e il contributo dell’Italia nell’ambito dell’Hub internazionale?
“È un ruolo centrale. In questo momento ci sono tre canali all’interno di Sky Arts: uno inglese destinato al Regno Unito e all’Irlanda, uno tedesco diffuso in Austria e Germania e uno italiano. Ogni canale ha il suo budget per le produzioni nazionali. Con l’unità produttiva basata a Milano l’Italia è stata scelta come paese guida per produrre contenuti da diffondere in tutti e cinque i paesi. Naturalmente il processo creativo dell’Hub prevede momenti di confronto con i nostri colleghi europei sui contenuti che possano funzionare su tutti e tre i canali, sia in relazione agli argomenti sia a proposito dello stile e dei linguaggi.
Essere in Italia ha contato molto per due motivi: da un lato il lavoro svolto negli anni precedenti con il lancio del canale e la costruzione di un brand immediatamente riconoscibile, dall’altra il fatto di essere in un paese con un patrimonio artistico così ricco e noto in tutto il mondo. Due cose che hanno funzionato insieme: un po’ il progetto e un po’ il destino, la fortuna di vivere qui.
Siamo già al quarto anno di vita nell’Hub internazionale. Tra le nostre produzioni possiamo annoverare talent di successo come Master of Photography, venduto in 50 paesi, la cui quarta edizione andrà in onda a maggio, documentari che hanno girato i principali festival internazionali, come quello sugli Hansa Studios di Berlino, teatro delle incisioni di David Bowie, U2, Depeche Mode, REM, Nick Cave, e serie come Italian Season, costruita intorno a landmark dell’arte italiana, o Artists in Love, sulle grandi storie d’amore di Picasso, Modigliani, Dalì.
Siamo partiti nel 2015 con un documentario sulla Natività di Caravaggio rubata a Palermo, che abbiamo fatto ricostruire in un laboratorio a Madrid e restituito alla comunità, per arrivare all’esperimento cinematografico di Tintoretto: se le cose funzioneranno è probabile che produrremo altri film destinati alle sale e, in un secondo momento, ai circuiti televisivi.
Intanto ad aprile lanceremo per la prima volta una serie sulla danza: Dance- Perché Balliamo (Why we dance) che ha come protagonista il celeberrimo coreografo inglese Akram Khan: un viaggio attraverso i continenti per raccontare le ragioni per cui la danza è uno dei momenti fondamentali della nostra esperienza di vita”.
La ricerca di nuovi modi di comunicare l’arte è una costante del canale fin dalla sua nascita. Quali sono oggi le prospettive più interessanti in questa direzione?
“Dopo sette anni di attività possiamo dire di aver riportato l’arte sulla mappa degli argomenti della televisione, da cui era scomparsa da molti anni. Abbiamo fatto da incubatore per un fenomeno che poi è esploso anche altrove. Il successo dei film d’arte al cinema è il segnale di un’attenzione crescente da parte del pubblico, della presenza di una fetta di spettatori ormai fidelizzati che seguono questo settore con passione. Merito di chi li ha distribuiti, di chi li ha prodotti e anche di Sky Arte che ha riacceso l’attenzione verso questi argomenti.
Attualmente il nostro obiettivo è consolidare quanto fatto finora e cercare strade sempre diverse per comunicare l’arte e la cultura in generale: non solo pittura, scultura, patrimonio artistico, ma anche musica, letteratura, design.
Cerchiamo storie di eccellenze artistiche sia italiane sia internazionali che valga la pena raccontare per la prima volta o rimettere in scena con un taglio inedito. Possiamo permetterci di sperimentare perché gli argomenti sono infiniti e i professionisti con cui collaboriamo - registi, scrittori, sceneggiatori - hanno il talento necessario per produrre contenuti nuovi e originali”.
A proposito di arte al cinema, quali idee avete in cantiere dopo Tintoretto?
“Abbiamo una serie di progetti ancora a uno stadio aurorale, troppo acerbi per essere raccontati. Per vederli realizzati dovremo aspettare il 2020, da gennaio in poi. Seguono la direzione tracciata da Tintoretto, saranno cioè storie inedite presentate in modo cinematograficamente e narrativamente appetibile. Parliamo sempre di landmark, ma riletti da prospettive inattese. Credo che nel cinema valga la pena lavorare su soggetti fortemente riconoscibili trovando una chiave nuova, una storia forte per raccontarli”.
Tintoretto. Un ribelle a Venezia, il docu-film prodotto da Sky Arte e distribuito da Nexo Digital, sarà al cinemail 25, 26, 27 Febbraio. La produzione si inserisce nel calendario della Grande Arte al Cinema. Per la stagione 2019 arriva nelle sale italiane in collaborazione con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it e con ARTE.it come digital media partner.
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• Tintoretto “il Furioso”: storia di una rockstar col pennello
• Tintoretto, il ribelle di Venezia presto nelle sale
Prodotto da Sky Arts Production Hub, diretto da Beppe Romano e distribuito da Nexo Digital, il docu-film prende le mosse dalle ricerche del Premio Strega Melania Mazzucco per poi aprirsi ai contributi dei massimi esperti del pittore e rileggere sotto una luce nuova una superba pagina di storia dell’arte.
Ma come si porta la pittura sullo schermo? Lo chiediamo a Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte HD e di Sky Arts Production Hub, in un piccolo viaggio tra arte, cinema e tv.
“Tintoretto. Un ribelle a Venezia” è il primo film prodotto integralmente da Sky Arts Production Hub. Può raccontarci questa esperienza?
“Quella su Tintoretto è la prima produzione per il cinema di questa unità che gestiamo a Milano e che realizza contenuti non soltanto per l’Italia ma anche per la Germania, il Regno Unito, l’Austria e l’Irlanda.
Forti del carattere internazionale del film, abbiamo convinto i nostri “cugini” europei a lanciarlo nelle sale cinematografiche. Pur partendo dai libri di Melania Mazzucco, infatti, la storia di Tintoretto ha assunto delle proporzioni, dei colori e dei timbri in grado di travalicare i confini grazie alle voci che la raccontano: esperti tedeschi, inglesi, francesi, americani. In più la voce fuori campo che in Italia è quella di Stefano Accorsi, per gli altri paesi è quella di un’attrice nota e in gamba come Helena Bonham Carter.
Partendo dall’Italia il film raggiungerà i cinema di 50 paesi sparsi in tutto il mondo, andrà automaticamente nelle tv dei cinque paesi dell’Hub per poi essere affidato alle vendite internazionali di Nexo Digital.
Sappiamo che quello di Tintoretto non è tra i nomi più popolari in assoluto, ma la storia che abbiamo realizzato è molto forte e solida, come le azioni di comunicazione che abbiamo messo in atto, quindi non possiamo che aspettarci un buon risultato”.
Quali criteri hanno portato alla scelta di Tintoretto come soggetto cinematografico?
"In primo luogo l’incontro con Melania Mazzucco, che ci ha sottoposto questa storia due anni fa, parlandoci del suo innamoramento per Tintoretto. La proposta è arrivata al momento giusto, in coincidenza con le celebrazioni dei 500 anni dalla nascita dell’artista nel 2018-2019.
La storia ci è sembrata davvero forte e, soprattutto, non era mai stata raccontata veramente al pubblico. Ci siamo fatti affascinare dal personaggio, dalla sua eccentricità, dal suo rapporto con Venezia, dal fatto che fosse uno dei pochi pittori veneziani al 100%, nato lì e rimasto a lavorare nella sua città per tutta la vita. Abbiamo trovato stimolante riscoprire un artista considerato per lungo tempo ‘minore’ rispetto per esempio a Veronese e a Tiziano, ma che negli ultimi anni è stato rivalutato.
Ci ha stupito la curiosità e l’attrazione esercitata da Tintoretto su intellettuali e artisti diversi tra di loro, da John Ruskin a Jean-Paul Sartre per arrivare a contemporanei come Emilio Vedova e a un personaggio come David Bowie, che l’ha definito ‘una proto rockstar’ e ha voluto chiamare la sua etichetta ‘Tintoretto’. Ci ha conquistati il fatto che fosse un artista così controverso: perfino Giorgio Vasari, nel momento stesso in cui lo disprezzava con epiteti come ‘il Terribile’ o ‘il Furioso’ ne riconosceva la personalità.
A un personaggio molto forte e a una storia mai raccontata si aggiungono la possibilità di conoscere l’artista sotto una luce nuova e la presenza di un Premio Strega (Melania Mazzucco) che su di lui ha scritto un romanzo e una fondamentale biografia.
Senza dimenticare la collaborazione con San Rocco, che ci ha permesso di restituire qualcosa alla comunità restaurando due opere di Tintoretto (Maria in lettura e Maria in meditazione, ndr): il progetto non si è fermato quindi al racconto cinematografico, ma ha prodotto una testimonianza in grado di resistere al tempo”.
Quali sono state le sfide principali di questo film?
“Quando si parla di film d’arte è fondamentale costruire un arco narrativo efficace. Abbiamo sviluppato la storia grazie a un buon gruppo di lavoro: una casa di produzione, la Except, il regista Beppe Romano e l’aiuto di Beppe, Ruggero Longoni, si sono occupati della parte visiva. Attraverso le interviste abbiamo costruito il racconto e poi abbiamo cercato elementi che lo rafforzassero.
La cosa più delicata in questi casi è trovare il giusto registro, l’incastro tra la profondità scientifica, la qualità visiva e la qualità narrativa: cioè non dire sciocchezze dal punto di vista della storia dell’arte e anzi raccontare cose nuove, avere un impianto visivo che sia coinvolgente e tecnologicamente evoluto senza tradire le opere, e infine bilanciare al meglio le interviste e la struttura narrativa, in modo che il risultato finale sia avvincente.
Lavorare in una città come Venezia rende tutto un po’ più complicato, in primo luogo trasporti e spostamenti nonostante avessimo una troupe piuttosto leggera. Fortunatamente abbiamo avuto la massima disponibilità dalle istituzioni con cui abbiamo collaborato, in particolare dalla Scuola Grande di San Rocco.
Siamo felici di questo esperimento. Credo che chi vedrà il film percepirà l’entusiasmo che tutto il gruppo ha messo nel raccontare la storia di Tintoretto per la prima volta in modo così articolato e complesso.
Quali differenze passano tra produrre un documentario per il cinema e per la tv?
“Per il cinema bisogna pensare con ritmi visivi e narrativi completamente diversi da quelli della tv. In un prodotto televisivo, la cui lunghezza si aggira di solito intorno ai 45-50 minuti, cerchiamo di raccontare l’arte con linguaggio contemporaneo e con un’attenzione al ritmo che mantenga alta l’attenzione.
In genere il cinema ha tempi più distesi, una struttura narrativa più sciolta, una qualità visiva più potente, ma credo che ogni volta sia necessario calibrare questi elementi riflettendo sulle caratteristiche del singolo prodotto.
Per la televisione pensiamo a una fruizione un po’ distratta, non al buio, il cinema ha un altro rituale, un diverso passo sia visivo che narrativo. È tutta un’altra storia, ma aver lavorato a lungo su questi temi in televisione è stata un’ottima palestra”.
Qual è il ruolo e il contributo dell’Italia nell’ambito dell’Hub internazionale?
“È un ruolo centrale. In questo momento ci sono tre canali all’interno di Sky Arts: uno inglese destinato al Regno Unito e all’Irlanda, uno tedesco diffuso in Austria e Germania e uno italiano. Ogni canale ha il suo budget per le produzioni nazionali. Con l’unità produttiva basata a Milano l’Italia è stata scelta come paese guida per produrre contenuti da diffondere in tutti e cinque i paesi. Naturalmente il processo creativo dell’Hub prevede momenti di confronto con i nostri colleghi europei sui contenuti che possano funzionare su tutti e tre i canali, sia in relazione agli argomenti sia a proposito dello stile e dei linguaggi.
Essere in Italia ha contato molto per due motivi: da un lato il lavoro svolto negli anni precedenti con il lancio del canale e la costruzione di un brand immediatamente riconoscibile, dall’altra il fatto di essere in un paese con un patrimonio artistico così ricco e noto in tutto il mondo. Due cose che hanno funzionato insieme: un po’ il progetto e un po’ il destino, la fortuna di vivere qui.
Siamo già al quarto anno di vita nell’Hub internazionale. Tra le nostre produzioni possiamo annoverare talent di successo come Master of Photography, venduto in 50 paesi, la cui quarta edizione andrà in onda a maggio, documentari che hanno girato i principali festival internazionali, come quello sugli Hansa Studios di Berlino, teatro delle incisioni di David Bowie, U2, Depeche Mode, REM, Nick Cave, e serie come Italian Season, costruita intorno a landmark dell’arte italiana, o Artists in Love, sulle grandi storie d’amore di Picasso, Modigliani, Dalì.
Siamo partiti nel 2015 con un documentario sulla Natività di Caravaggio rubata a Palermo, che abbiamo fatto ricostruire in un laboratorio a Madrid e restituito alla comunità, per arrivare all’esperimento cinematografico di Tintoretto: se le cose funzioneranno è probabile che produrremo altri film destinati alle sale e, in un secondo momento, ai circuiti televisivi.
Intanto ad aprile lanceremo per la prima volta una serie sulla danza: Dance- Perché Balliamo (Why we dance) che ha come protagonista il celeberrimo coreografo inglese Akram Khan: un viaggio attraverso i continenti per raccontare le ragioni per cui la danza è uno dei momenti fondamentali della nostra esperienza di vita”.
La ricerca di nuovi modi di comunicare l’arte è una costante del canale fin dalla sua nascita. Quali sono oggi le prospettive più interessanti in questa direzione?
“Dopo sette anni di attività possiamo dire di aver riportato l’arte sulla mappa degli argomenti della televisione, da cui era scomparsa da molti anni. Abbiamo fatto da incubatore per un fenomeno che poi è esploso anche altrove. Il successo dei film d’arte al cinema è il segnale di un’attenzione crescente da parte del pubblico, della presenza di una fetta di spettatori ormai fidelizzati che seguono questo settore con passione. Merito di chi li ha distribuiti, di chi li ha prodotti e anche di Sky Arte che ha riacceso l’attenzione verso questi argomenti.
Attualmente il nostro obiettivo è consolidare quanto fatto finora e cercare strade sempre diverse per comunicare l’arte e la cultura in generale: non solo pittura, scultura, patrimonio artistico, ma anche musica, letteratura, design.
Cerchiamo storie di eccellenze artistiche sia italiane sia internazionali che valga la pena raccontare per la prima volta o rimettere in scena con un taglio inedito. Possiamo permetterci di sperimentare perché gli argomenti sono infiniti e i professionisti con cui collaboriamo - registi, scrittori, sceneggiatori - hanno il talento necessario per produrre contenuti nuovi e originali”.
A proposito di arte al cinema, quali idee avete in cantiere dopo Tintoretto?
“Abbiamo una serie di progetti ancora a uno stadio aurorale, troppo acerbi per essere raccontati. Per vederli realizzati dovremo aspettare il 2020, da gennaio in poi. Seguono la direzione tracciata da Tintoretto, saranno cioè storie inedite presentate in modo cinematograficamente e narrativamente appetibile. Parliamo sempre di landmark, ma riletti da prospettive inattese. Credo che nel cinema valga la pena lavorare su soggetti fortemente riconoscibili trovando una chiave nuova, una storia forte per raccontarli”.
Tintoretto. Un ribelle a Venezia, il docu-film prodotto da Sky Arte e distribuito da Nexo Digital, sarà al cinemail 25, 26, 27 Febbraio. La produzione si inserisce nel calendario della Grande Arte al Cinema. Per la stagione 2019 arriva nelle sale italiane in collaborazione con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it e con ARTE.it come digital media partner.
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