Fra mitologia e quotidiano
Courtesy of© National Gallery of Art, Washington |
Velazquez
11/04/2001
Le opere del Velazquez in esposizione a Roma consentono al visitatore di apprezzare da vicino gli altissimi risultati raggiunti dal pittore, soprattutto nella resa magistrale della rappresentazione della realtà.
A proposito di questa peculiarità pittorica dell’artista, ci soffermeremo a confrontare due dipinti presenti nell’esposizione, i quali sembrano a prima vista appartenere a due mondi completamente differenti, ma che trovano, al contrario, uno stretto legame nell’effetto di calda e umana verità che li accomuna.
I due lavori in questione sono il “Marte” di Madrid e “La cucitrice” di Washington, entrambi collocati dalla critica entro il quinto decennio del XVII secolo.
La prima di queste due tele rappresenta il dio della guerra in una posizione scomposta e per nulla convenzionale, dove la dimensione divina del personaggio è completamente offuscata dalla raffigurazione di un uomo in carne e ossa. Chiunque potrebbe riconoscersi in quell’espressione confusa e un po’ stanca che traspare dai gesti e dagli occhi del Marte, dimenticando per qualche istante di trovarsi di fronte alla rappresentazione di una divinità. Mai nessuno prima di Velazquez aveva osato proporre il “dio combattente” affaticato nelle membra, che appaiono non più toniche a causa di battaglie ora lontane nel tempo. Alla divina potenza il pittore ha sostituito l’umana debolezza, stupendo non poco lo spettatore che si attende, dal dio della guerra, un esempio di vigore e forza. In questo dipinto non è il dio a vincere ma il colore, steso attraverso pennellate molto sciolte e veloci che conferiscono al modellato un aspetto vibrante.
Un soggetto diametralmente opposto viene rappresentato nella seconda tela qui presa in esame; si tratta di una cucitrice, probabilmente identificata con la figlia dello stesso pittore, Francisca, colta in un momento di lavoro come in una foto istantanea. E’ questa immediatezza di visione presa dalla realtà che tanto la avvicina al “Marte” del Prado; entrambi sembrano non preoccuparsi di rendersi accattivanti all’occhio del pittore e lasciano trasparire tutta la loro intima umanità, come se fossero inermi davanti agli strumenti dell’artista, il quale sembra “rubare” di sorpresa le immagini che più lo colpiscono.
Anche nella tela di Washington, come in quella del Prado, i tocchi di pennello del Velazquez sono rapidi e mossi, tecnica congeniale a chi come lui aveva per fine la resa più immediata possibile della realtà che lo circondava. E la realtà per essere “vera” va colta subito, senza darle il tempo di tramutarsi in qualcosa d’altro, e questo è il grande merito del genio sivigliano.
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