Dal 26 al 28 novembre al cinema “Le Ninfee di Monet”

Genesi di un capolavoro: la Grand Décoration, omaggio alla pace

Claude Monet, La Grand Décoration. Parigi, Musée de l'Orangerie. I, Sailko [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html) o CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]
 

Francesca Grego

12/11/2018

“Voi ritagliate dei pezzetti di cielo e li gettate in faccia alla gente. Niente sarebbe così stupido come dirvi grazie: non si ringrazia un raggio di sole”, scriveva nel 1899 a Claude Monet Georges Clemenceau, allora tra i più attivi e discussi politici della Repubblica francese, folgorato dalla dedizione con cui il padre dell’Impressionismo si dava in pasto alla pittura nel suo giardino di Giverny.
Nessuno avrebbe potuto indovinare il dono inestimabile che, vent’anni dopo, questa insolita amicizia avrebbe portato a tutta la Francia: si chiama Grand Décoration, e oggi fa del Musée dell’Orangerie una meta irrinunciabile per ogni vero amante dell’arte che si rechi a Parigi.
 
Dal 26 al 28 novembre non sarà necessario attraversare le Alpi per ammirarla: Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce, prodotto da Nexo Digital e Ballandi Art, trasporterà sul grande schermo la magia di quella che André Masson definì la “Cappella Sistina dell’Impressionismo”.
Andiamo a conoscerla da vicino, dall’affascinante processo di creazione all’episodio che, all’indomani della Grande Guerra, la trasformò in un simbolo di pace.
 FOTO: Monet: Le Ninfee e altri capolavori  
Le ninfee di Giverny
Tutto ha inizio nel magnifico parco che Monet creò intorno alla sua abitazione di Giverny: un paradiso di luce, colori e vegetazione che negli ultimi anni del XIX secolo si arricchisce di un giardino acquatico entrato nella leggenda. Per realizzare il progetto il pittore convince le autorità locali a deviare il corso del fiume Epte: intorno al suo laghetto pianta essenze esotiche come il bambù, il ciliegio giapponese e l’azalea, mentre un ponte in stile orientale ammicca alle atmosfere delle stampe ukyoe. In breve lo specchio d’acqua si popola di bellissimi fiori galleggianti. “Mi ci è voluto molto tempo per capire le mie ninfee. Le avevo piantate per il gusto di piantarle, e le ho coltivate senza pensare di ritrarle. Non si assorbe un paesaggio in un giorno”, spiegherà più tardi l’artista.
 
Ma i “fiori sbocciati nel cielo”, come li definirà Marcel Proust, sono destinati a diventare il suo soggetto più noto. A loro Monet dedica quasi 300 tele, molte delle quali di grande formato. Lo stagno delle ninfee, Il ponte giapponese, i Paesaggi d’acqua sono i titoli di alcuni celebri capolavori in cui l’artista rincorre i riflessi delle nuvole e della vegetazione sulle onde del lago. “Non dormo più per colpa loro, di notte sono continuamente ossessionato da ciò che sto cercando di realizzare”, scrive il pittore nel 1925 a proposito di queste tele: “Dipingere è così difficile, quasi una tortura. Ma non vorrei morire prima di aver detto tutto quello che avevo da dire; o almeno aver tentato”.
 
Il progetto della Grand Décoration
Fin dai suoi sessant’anni, Monet immagina di condensare in pochi quadri le impressioni pittoriche di una vita. Inizialmente pensa di tornare nei luoghi dei suoi viaggi, poi, complici la vecchiaia e lo scoppio della Grande Guerra, decide di realizzare il progetto a Giverny. Fa costruire un enorme studio fatto di vetro per due terzi e si mette al lavoro. L’obiettivo è creare dei pannelli per quella che oggi chiameremmo un’installazione ambientale: uno spazio avvolgente in cui lo spettatore possa immergersi completamente, assorbendo nell’intimo le sensazioni veicolate dalla pittura.
 
Gli occhi sembrano tradirlo, le cataratte lo tormentano, ma il maestro trova ugualmente i mezzi per dipingere. Guardando il paesaggio da lontano, la sua visione si fa più vivida, mentre sulla tela appaiono pennellate lunghe, filamentose, che interpretano in modo nuovo le vibrazioni del colore svincolandole apparentemente dalla realtà. Lo sguardo si inabissa in spazi privi di orizzonte, che negli anni Cinquanta faranno parlare di “Impressionismo Astratto” e piaceranno ad artisti come Jackson Pollock e Mark Rothko.
Nel 1920, invece, il critico René Gimpel racconta così la sua visita nello studio del maestro: “Ci trovammo di fronte a uno strano spettacolo artistico: una dozzina di tele disposte a semicerchio sul pavimento, l’una accanto all’altra. Un panorama fatto di luce e di ninfee, di acqua e di cielo. In quell’infinità acqua e cielo non avevano né inizio né fine. Ci parve di essere in una delle prime ore dalla nascita del mondo”.
 
Monet e Clemenceau: storia di un dono di pace
Mentre Monet combatte le sue battaglie con la luce e con la depressione che lo tormenta, la Grande Guerra è terminata. I giardinieri tornano a Giverny, dove le erbacce hanno invaso l’immenso parco privo di cure.
Il giorno dopo l’armistizio dell’11 novembre 1918, l’artista scrive all’amico e primo ministro francese Georges Clemenceau: “Sto per terminare due pannelli decorativi che vorrei firmare nel giorno della Vittoria, e chiedo, attraverso la tua gentile assistenza, di offrirli allo Stato. Non è molto, ma per me è l’unico modo per prendere parte alla Vittoria”.
Clemenceau, che è stato giornalista e scrittore, sulla pittura di Monet ha pubblicato diversi saggi, tra cui un libro dedicato proprio alle Ninfee. L’arte e il giardino di Giverny, lontani anni luce dalla politica, sono diventati il luogo di incontro di due uomini tra loro diversissimi, ora uniti da un’amicizia disinteressata.
 
Quando riceve la lettera, il Tigre – questo il soprannome del primo ministro - non ha dubbi: convince il governo ad accettare la donazione e sceglie come sua sede l’Orangerie dell’antico Palazzo delle Tuileries, di fronte all’obelisco di Place de la Concorde. Monet tiene con sé gli otto dipinti della Grand Decoration fino alla morte: desidera continuare a lavorarci e talvolta, in preda all’insoddisfazione, arriva a distruggere il frutto delle proprie fatiche.
Nel 1926 i pannelli raggiungono l’Orangerie: la pace in Francia avrà un monumento poetico e raffinato, un paradiso di bellezza capace di offrire conforto a ogni anima ferita.
 
L’Orangerie: la “Cappella Sistina dell’Impressionismo”
Misurano 200 metri quadrati le due sale candide ed essenziali che ospitano l’opera di Monet al Musée dell’Orangerie. Ma entrando nel loro abbraccio sembra di tuffarsi nell’infinito. Era proprio questo l’obiettivo dell’artista, che progettò nei minimi particolari l’allestimento della Grand Décoration. Distanze, volumi, ritmi e posizioni concorrono a creare “un’onda senza orizzonte né riva” che ci catapulta in uno spazio altro, un paesaggio d’acqua punteggiato di ninfee, sinuosi rami di salici, riflessi di alberi e nuvole cangianti.
L’orientamento dei pannelli segue il movimento giornaliero del sole che penetra dal soffitto di vetro: le scene dipinte all’alba, per esempio, si trovano a Est, mentre quelle che ritraggono il tramonto o il crepuscolo sono collocate a Ovest. La luce dona all’opera ogni giorno e in ogni istante atmosfere e sfumature differenti, proprio come osservava Monet sul laghetto del suo giardino. Uno spettacolo totale che trasforma l’Orangerie nella “Cappella Sistina dell’Impressionismo”.
 
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