Gli svaghi dei Gonzaga a Palazzo Te
Paese incantato
27/09/2001
L’invasione di Roma da parte delle truppe imperiali di Carlo V nel 1527 produsse il temporaneo spopolamento della città e il trasferimento della corte pontificia ad Orvieto.
La colonia di artisti residenti nella capitale, nutrita e variegata, composta di talenti forestieri quali Parmigianino e Rosso Fiorentino e di artisti legati a Raffaello, fu costretta nel giro di pochi mesi a migrare altrove causa la carenza di commissioni. Qualcuno finì in Francia, qualcun altro in Sicilia. Ai due principali allievi di Raffaello, Perin del Vaga e Giulio Romano, toccò una sorta simile: il primo si diresse verso Genova presso la corte di Andrea Doria, il secondo verso Mantova presso quella di Federico II Gonzaga. Entrambi furono nominati “prefetti generali delle fabbriche”, incaricati della edificazione e della decorazione delle dimore familiari nonché del riassetto generale delle due città.
Giulio, nel 1527 neppure trentenne, arrivò a Mantova con un bagaglio culturale interamente romano: Raffaello e Michelangelo per la pittura; Bramante e ancora Raffaello per l’architettura.
Incaricato dei lavori di Palazzo Te, residenza di svago della corte mantovana, concepì l’edificio come una casa nobiliare romana, sul modello del Trattato di Architettura di Vitruvio, non trascurando il riferimento a Villa Madama e al Cortile del Belvedere. La costruzione, articolata intorno ad un cortile centrale, è concepita come un edificio a pianta quadrata, con un giardino esterno chiuso da un’esedra e dalle famose stalle dei Gonzaga. Nelle basse facciate l’artista innesta su motivi classicheggianti (le lesene che segnano e raccordano la superficie muraria, il fregio a metope, le logge ad archi e colonne) altri più chiaramente manieristi (il bugnato di forte rilievo plastico, il succedersi di nicchie e finestre, lo sconfinamento delle pietre di coronamento degli archi sul soprastante architrave).
Nella decorazione degli interni Giulio si mosse più autonomamente, svincolandosi dai modelli e creando un allestimento senza precedenti. Da una decorazione incentrata su temi edonistici-mitologici, molto simile a quella concepita da Perin Del Vaga a Genova o successivamente dal Primaticcio a Fontainembleau, si passa ad una decorazione più complessa e di significato politico, volta ad esaltare la figura di Carlo V, nuovo signore d’Europa, in visita a Mantova nel 1530. Se nelle prime due sale, quella di Psiche e quella degli Stucchi (realizzate in collaborazione con i validi aiuti di bottega) il linguaggio è ancora quello raffaellesco delle Logge Vaticane e della Farnesina, nella sala dei Giganti l’artista rompe con gli schemi narrativi tradizionali. Nessuna finta architettura dipinta, nessuna ripartizione in scene separate, nessuna ricerca dell’armoniosità e della leggiadria delle forme. Al contrario un tumulto assoluto, una sconcertante sequenza di figure grottesche e deformi. Il visitatore, da spettatore quieto delle vicende illustrate, si trasforma, all’ingresso nella sala, in personaggio emozionalmente attivo.
Gli affreschi (1530-35) che divennero uno dei paradigmi della cultura manieristica europea, segnarono il definitivo tramonto della “razionale” misura rinascimentale in vista dell’esplorazione dei vasti territori della bizzarria, della variazione e della licenza.
Da undici anni il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, istituzione per metà pubblica e per metà privata, organizza convegni, mostre, eventi nei locali concepiti da Giulio Romano. Ognuna di queste iniziative è una occasione per ripercorrere le sale che hanno fatto fare all’arte europea il salto dal Rinascimento alla Maniera.
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