I capolavori di Loreto

Cristoforo di Lorenzo Lotto
 

18/10/2001

La stratificazione storica del Santuario di Loreto comprende un'enorme quantità di opere d'arte dagli affreschi votivi del XIV secolo (che coprono le sezioni superiori delle pareti interne della Santa Casa) alle testimonianze d’arte sacra del XX secolo (nel mezzanino della Pinacoteca allestita nel Palazzo Apostolico). Ci limiteremo a dare qualche indicazione sulle maggiori testimonianze della cultura rinascimentale, accennando qua e là ai contributi di epoca successiva. Fu Sisto IV, tramite il vescovo locale Girolamo Basso, che promosse le prime opere pittoriche del santuario: gli affreschi di Melozzo da Forlì nella Sagrestia di San Marco (1477-79) e quelli di Luca Signorelli nella Sagrestia di San Giovanni (1479-85). I due artisti, attivi presso la corte pontificia, furono i primi della lunga schiera che da Roma si mosse a Loreto per interventi di ingrandimento e abbellimento del luogo di culto. Giuliano da Maiano ideò in quegli stessi anni le tredici absidi della basilica; Baccio Pontelli costruì nel 1487 il camminamento di ronda; Giuliano da Sangallo, tra il 1499 e il 1500, pose mano alla cupola, ispirata all’esempio brunelleschiano di Santa Maria del Fiore. Alla fine del primo decennio del nuovo secolo Donato Bramante, architetto di Giulio II, apportò ulteriori modifiche e consolidamenti. La basilica assunse, nel giro di pochi anni, un aspetto monumentale e pienamente classicheggiante, vicino nello spirito a quello della Roma contemporanea. Le forme poderose delle architetture e l’enorme attrattiva esercitata sui pellegrini cristiani le conferirono il ruolo di primo centro “turistico” della regione. Alla fine del XV secolo Loreto contendeva così ad Urbino il primato di capitale dell’area adriatica. L’eccezionale impresa del rivestimento scultoreo della Santa Casa (all’incrocio tra navata centrale e transetto della basilica) fu affidata nel 1513 da Leone X ad Andrea Sansovino, artista romano formatosi sulla lezione di Michelangelo e Raffaello. Collaborarono con il Sansovino i maggiori scultori fiorentini del tempo da Giovan Battista della Porta a Baccio Bandinelli, da Nicolò Tribolo a Raffaello da Montelupo. La grandiosa scultura-reliquiario, inimitabile lavoro di gruppo, testimonia ancor oggi della sintesi mirabile di architettura e scultura, secondo il principio tutto fiorentino dell’unità delle arti originate dal disegno. Vi sono raccontati gli episodi della vita della Vergine con una verve narrativa mai opaca e una finezza di esecuzione che non fa rimpiangere la mano del “divino” Michelangelo. Dopo un periodo di relativa stasi fu Sisto V, alla fine del Cinquecento, a promuovere nuove imprese pittoriche e architettoniche. Nel 1587 fu portata a termine la facciata della chiesa in stile rinascimentale fiorentino. Tripartita da coppie di paraste, essa è divisa orizzontalmente da una trabeazione che isola il corpo centrale, chiuso da un timpano. Tre portali bronzei introducono alle navate. Negli stessi anni venne definito l’assetto della piazza antistante la basilica. Definite le forme del Palazzo Apostolico e del Collegio Illirico, ci si preoccupò di innalzare una statua al pontefice, opera di Antonio Calcagni, e di costruire una fontana, la cosiddetta Fontana della Madonna, realizzata da Carlo Maderno e Giovanni Fontana tra il 1604 e il 1614. Si pose pure mano alla decorazione pittorica delle absidi. Pellegrino Ribaldi, Girolamo Muziano, Federico Barocci, Federico Zuccari e altri conferirono loro una veste decorativa nobile. I cicli di affreschi e le tele furono generalmente chiusi in gabbie di stucchi, mentre multicolori altari marmorei occuparono le pareti di fondo. Modificate tra il 1884 e il 1905 da Giuseppe Sacconi, sono state rinnovate negli anni Venti e Trenta del Novecento con una decorazione liberty carica di sollecitazioni neorinascimentali e simboliste. Unica superstite è la cappella dei duchi di Urbino (1582 circa), perfettamente rispondente ai canoni tardo-manieristici promossi a Roma dalla neonata Accademia di San Luca. Vi lavorarono Lattanzio Ventura (architettura), Federico Bandoni (stucchi), Federico Zuccari (affreschi della volta e delle pareti) e Federico Barocci (pala d’altare), tutti nativi di Urbino e fervidi sostenitori del verbo raffaellesco. Il XVII secolo si aprì con il concorso bandito da Clemente VIII per la decorazione della sala del Tesoro. Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, sbaragliò la concorrenza perfino di Caravaggio e riuscì ad assicurarsi l’impresa della cupola. La cattiva conservazione degli affreschi ha costretto in epoca recente al distacco del ciclo della cupola, sostituito da scene dipinte tra il 1890 e il 1907 da Cesare Maccari. Si dovette arrivare al 1750 per vedere innalzato il bel campanile di Luigi Vanvitelli, manifesto di un moderato e pacato classicismo che non disdegna modi rococò e citazioni borrominiane. Nella Pinacoteca civica, ospitata nei locali del Palazzo Apostolico, è possibile ammirare le tele che Lorenzo Lotto si portò a Loreto nel 1552, quando si ritirò in convento come oblato della Madonna. Collocate nella zona dell’altare maggiore per secoli, costituiscono oggi il nucleo centrale della collezione del museo. Spicca tra le altre (in tutto otto) il San Cristoforo, San Rocco e San Sebastiano. Orario: 9-13 e 16-19 Tel. 071.977759

 
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