I giardini della Villa Imperiale di Pesaro

Villa imperiale Pesaro
 

25/02/2004

Sospeso fra il mare e le dolci colline marchigiane si trova uno fra i più bei capolavori che l’arte rinascimentale potesse regalarci: la Villa Imperiale di Pesaro. Questo splendido complesso architettonico è il risultato di più interventi iniziati nella seconda metà del Quattrocento, quando, per volere di Alessandro Sforza, si eresse l’attuale castello-villa, di cui l’imperatore Federico III appose la prima pietra. Furono però i lavori promossi da Francesco Maria I della Rovere, assieme alla moglie Eleonora Gonzaga, a delineare l’attuale volto dell’Imperiale. Nel 1521 la direzione dei cantieri di corte venne affidata al pittore-architetto urbinate Gerolamo Genga, il quale ristrutturò la vecchia villa-fortezza degli Sforza ed innalzò un nuovo corpo di fabbrica creando anche un trait d’union fra gli edifici preesistenti ed i nuovi. Sicuramente il Genga si avvalse dell’esperienza maturata negli anni del suo soggiorno romano, quando la visione in presa diretta di complessi, quali la Villa Madama progettata da Raffaello, costituì uno spunto essenziale per il futuro sviluppo del linguaggio manierista applicato sia alla pittura che all’architettura. Molte furono le stanze decorate da pittori di grande talento come Dosso Dossi, il Bronzino e lo stesso Genga il quale contribuì alla realizzazione del complesso con interventi a tutto tondo. Sua fu anche la pianificazione e la trasformazione dei giardini che circondavano la villa. Di un breve prologo necessita la trattazione di questo argomento: la sistemazione del verde nelle ville del Rinascimento assunse in Italia un ruolo di capitale importanza. La fusione armonica fra i giardini e le architetture fu un dato imprescindibile su cui si basò l’arte scenografica di artisti quali Raffaello, Bramante e altri grandi maestri. Proprio lo studio di questi classici moderni, come anche di quelli di un lontano passato, servirono al Genga nella realizzazione di uno fra i più suggestivi esempi di giardino all’italiana che mai sia stato realizzato. L’artista urbinate suddivise lo spazio circostante la villa in tre parti distinte: al livello più basso realizzò un cortile, privo di corredo verde, ma impreziosito da uno spettacolare sistema di grotte e giochi d’acqua dal quale si saliva poi ai due livelli superiori, dove si organizzò una vera e propria suddivisione di spazi ricchi di piante ed alberi di ogni tipo. Tutto ciò ricorda molto da vicino il progetto del cortile del Belvedere in Vaticano ad opera del Bramante, dove si scelse di lasciare privo di vegetazione il livello inferiore dei giardini, destinandolo piuttosto a rappresentazioni e rituali di corte. Molte sono le informazioni intorno alla creazione del primo corredo vegetale, le più precise ci pervengono dall’epistolario di Vigerio della Rovere, il quale annoverò fra le piante giunte all’Imperiale esemplari di ogni tipo di agrume come limoni, aranci amari, cedri, mirto e molti altri ancora. Questi vennero collocati soprattutto nel livello intermedio dei giardini al quale donarono un deciso sapore mediterraneo. Nel giardino superiore si piantarono alberelli, erbe medicinali e fiori, senz’altro più idonei alla geometrica partizione composta da sentieri ortogonali che la tradizione del giardino all’italiana prevedeva già da tempo. Tutto l’insieme dei giardini venne dunque percepito come una vera propria architettura naturale, disegnata attraverso l’uso di elementi stilistici propri dell’ambiente del giardino: spalliere di alberi, comparti, ninfei. Ciò lascia intendere quanto fosse importante il ruolo che la natura rivestiva in un’epoca in cui l’idea del bello si configurava come un equilibrio fra l’opera del’uomo e il creato.

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