Nelle sale dal 3 marzo per la regia di Roger Michell
Il ritratto del Duca, la storia (vera) del tassista sognatore che rubò un Goya per cambiare il mondo
Il ritratto del duca, un film di Roger Michell, al cinema dal 3 marzo
Samantha De Martin
28/02/2022
Non bastavano le peripezie della Battaglia di Salamanca, che lo vide attivo protagonista nel 1812.
Un’altra impresa (questa volta per fini filantropici) avrebbe atteso, quasi 150 anni dopo, l’impavido generale britannico Arthur Wellesley, I duca di Wellington, ritratto da Francisco Goya nel 1812, e divenuto esule, non certo per sua scelta, dalla sale della National Gallery al vecchio armadio di una dignitosa dimora di Newcastle.
Perché a soli 19 giorni dall’arrivo della tavola nel celebre museo londinese, il capolavoro di Goya fu oggetto del primo e unico furto nella storia della grande istituzione museale. A sottrarre dal museo il Duca - immortalato dal pittore probabilmente dal vero, poco dopo il suo arrivo a Madrid, il viso scarno, provato dalla battaglia, in contrasto con l’uniforme militare cremisi che indossa - non fu un “italiano” o un un ex-militare delle forze speciali" come all’inizio si credette, bensì il sessantenne Kempton Bunton, tassista distratto e senza freni, un po’ idealista un po’ Don Chisciotte.
Il ritratto del duca, un film di Roger Michell, al cinema dal 3 marzo
Così il celebre ritratto (The Duke of Wellington), il suo esecutore (Goya), il suo lesto Robin Hood e una nobile causa diventano gli esilaranti fili di una storia divertente, accattivante, sorprendente che vede protagonisti i premi Oscar Jim Broadbent (nei panni del tassista Kempton Bunton) e Helen Mirren (che interpreta la sua pragmatica moglie Dorothy), Fionn Whitehead (Jackie Bunton) e Matthew Goode (Jeremy Hutchinson QC).
Tratto da una storia vera e presentato Fuori Concorso alla 77^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Il ritratto del Duca sarà nelle sale a partire dal 3 marzo. Distribuita nelle sale da Bim, l’ultima regia di Roger Michell (Notting Hill), scomparso lo scorso settembre, prodotta da Neon Film con Pathé, Ingenious Media e Screen Yorkshire, ci riporta nella Londra degli anni Sessanta, a tu per tu con una storia vera, resa tuttavia nota 50 anni dopo, una carrellata significativa sulla società e sugli ideali del tempo, e una domanda: in che modo l’arte può contribuire a cambiare il mondo?
La risposta, illuminante, cucita con empatica ironia dalla deliziosa sceneggiatura di Richard Bean & Clive Coleman, mostra realmente come l’arte possa parlare alla comunità e cambiarne, nel suo piccolo, le sorti.
Jim Broadbent interpreta Kempton Bunton ne Il ritratto del duca, un film di Roger Michell, al cinema dal 3 marzo
Ma che cosa hanno in comune il ritratto del duca di Wellington, mirabile rappresentazione dell’ultimo Goya, la scombinata esistenza del tassista, maestro fornaio, sceneggiatore Kempton, ossessionato dal pallino di eliminare il canone televisivo, e una misteriosa vicenda di famiglia?
Il pubblico lo scoprirà in sala (anche se parte della storia è nota), durante i 96 minuti che agganciano allo schermo non soltanto gli appassionati d’arte, rendendo il pubblico convintamente complice di uno dei furti più clamorosi della storia dell’arte.
L’obiettivo di Kempton, che decide di nascondere in casa il quadro, stipando il povero duca in un armadio, lontano dallo sguardo giudizioso della moglie, è quello di una richiesta di riscatto con la promessa di restituire il dipinto a una condizione: lo stanziamento da parte del governo di maggiori fondi per la cura dei più anziani.
Francisco Goya, Il Duca di Wellington, 1812-14, Olio su mogano, 52.4 x 64.3 cm, Londra, National Gallery
D’altra parte il filantropo Kempton aveva in passato già intrapreso una lunga campagna allo scopo di far ricevere il segnale televisivo gratuitamente ai pensionati. Certo, con 140mila sterline (a tanto ammontava la cifra che la National Gallery aveva sborsato per l’acquisto del Goya) non sarebbe stato difficile estinguere il canone di centinaia di vecchietti.
Il seguito della vicenda è leggendario. E il regista lo racconta in maniera brillante, in un gioco empatico, ironico, fatto di colpi di scena e battute esilaranti.
Il tema del furto, il pallino di Kempton e la sua apparentemente fallimentare esistenza che trascorre svogliata tra una tazza di tè e qualche lavoretto, la rete di bugie costruite per non far fallire il suo piano, diventa per il regista il pretesto per dare voce a un Paese, a una classe sociale che non vuole rimanere indifferente di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, restituendo agli ultimi, il loro momento di rivincita. Ed è significativo che l’arte diventi uno strumenti per farlo.
Quello che accadde nel 2000, grazie a un Goya rubato e al suo ladro idealista, il pubblico lo ricorderà alla fine, poco prima dei titoli di coda. E vedrà davvero nell’arte, lo strumento per contribuire a rivoluzionare il mondo.
Il ritratto del duca, poster
Un’altra impresa (questa volta per fini filantropici) avrebbe atteso, quasi 150 anni dopo, l’impavido generale britannico Arthur Wellesley, I duca di Wellington, ritratto da Francisco Goya nel 1812, e divenuto esule, non certo per sua scelta, dalla sale della National Gallery al vecchio armadio di una dignitosa dimora di Newcastle.
Perché a soli 19 giorni dall’arrivo della tavola nel celebre museo londinese, il capolavoro di Goya fu oggetto del primo e unico furto nella storia della grande istituzione museale. A sottrarre dal museo il Duca - immortalato dal pittore probabilmente dal vero, poco dopo il suo arrivo a Madrid, il viso scarno, provato dalla battaglia, in contrasto con l’uniforme militare cremisi che indossa - non fu un “italiano” o un un ex-militare delle forze speciali" come all’inizio si credette, bensì il sessantenne Kempton Bunton, tassista distratto e senza freni, un po’ idealista un po’ Don Chisciotte.
Il ritratto del duca, un film di Roger Michell, al cinema dal 3 marzo
Così il celebre ritratto (The Duke of Wellington), il suo esecutore (Goya), il suo lesto Robin Hood e una nobile causa diventano gli esilaranti fili di una storia divertente, accattivante, sorprendente che vede protagonisti i premi Oscar Jim Broadbent (nei panni del tassista Kempton Bunton) e Helen Mirren (che interpreta la sua pragmatica moglie Dorothy), Fionn Whitehead (Jackie Bunton) e Matthew Goode (Jeremy Hutchinson QC).
Tratto da una storia vera e presentato Fuori Concorso alla 77^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Il ritratto del Duca sarà nelle sale a partire dal 3 marzo. Distribuita nelle sale da Bim, l’ultima regia di Roger Michell (Notting Hill), scomparso lo scorso settembre, prodotta da Neon Film con Pathé, Ingenious Media e Screen Yorkshire, ci riporta nella Londra degli anni Sessanta, a tu per tu con una storia vera, resa tuttavia nota 50 anni dopo, una carrellata significativa sulla società e sugli ideali del tempo, e una domanda: in che modo l’arte può contribuire a cambiare il mondo?
La risposta, illuminante, cucita con empatica ironia dalla deliziosa sceneggiatura di Richard Bean & Clive Coleman, mostra realmente come l’arte possa parlare alla comunità e cambiarne, nel suo piccolo, le sorti.
Jim Broadbent interpreta Kempton Bunton ne Il ritratto del duca, un film di Roger Michell, al cinema dal 3 marzo
Ma che cosa hanno in comune il ritratto del duca di Wellington, mirabile rappresentazione dell’ultimo Goya, la scombinata esistenza del tassista, maestro fornaio, sceneggiatore Kempton, ossessionato dal pallino di eliminare il canone televisivo, e una misteriosa vicenda di famiglia?
Il pubblico lo scoprirà in sala (anche se parte della storia è nota), durante i 96 minuti che agganciano allo schermo non soltanto gli appassionati d’arte, rendendo il pubblico convintamente complice di uno dei furti più clamorosi della storia dell’arte.
L’obiettivo di Kempton, che decide di nascondere in casa il quadro, stipando il povero duca in un armadio, lontano dallo sguardo giudizioso della moglie, è quello di una richiesta di riscatto con la promessa di restituire il dipinto a una condizione: lo stanziamento da parte del governo di maggiori fondi per la cura dei più anziani.
Francisco Goya, Il Duca di Wellington, 1812-14, Olio su mogano, 52.4 x 64.3 cm, Londra, National Gallery
D’altra parte il filantropo Kempton aveva in passato già intrapreso una lunga campagna allo scopo di far ricevere il segnale televisivo gratuitamente ai pensionati. Certo, con 140mila sterline (a tanto ammontava la cifra che la National Gallery aveva sborsato per l’acquisto del Goya) non sarebbe stato difficile estinguere il canone di centinaia di vecchietti.
Il seguito della vicenda è leggendario. E il regista lo racconta in maniera brillante, in un gioco empatico, ironico, fatto di colpi di scena e battute esilaranti.
Il tema del furto, il pallino di Kempton e la sua apparentemente fallimentare esistenza che trascorre svogliata tra una tazza di tè e qualche lavoretto, la rete di bugie costruite per non far fallire il suo piano, diventa per il regista il pretesto per dare voce a un Paese, a una classe sociale che non vuole rimanere indifferente di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, restituendo agli ultimi, il loro momento di rivincita. Ed è significativo che l’arte diventi uno strumenti per farlo.
Quello che accadde nel 2000, grazie a un Goya rubato e al suo ladro idealista, il pubblico lo ricorderà alla fine, poco prima dei titoli di coda. E vedrà davvero nell’arte, lo strumento per contribuire a rivoluzionare il mondo.
Il ritratto del duca, poster
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