Il mobile Liberty in Italia: un primato europeo
Courtesy of© Collezione Martelli |
Il Liberty in Italia
14/05/2001
Forse per la scarsa frequentazione con il genere, forse per l’alta qualità dei pezzi esposti, è certo che un sincero entusiasmo conquista lo spettatore alla vista dei numerosi mobili di inizio secolo esposti al chiostro del Bramante. Poco abituato a visitare musei e mostre di arti decorative o applicate, in Italia pressoché inesistenti, l’amatore d’arte si trova infatti catapultato nell’affascinante mondo degli ultimi artisti-artigiani e dei primi industrial designer, in bilico tra tradizione e rinnovamento.
Dall’Unità d’Italia in poi la copia dei modelli antichi, rinascimentali e barocchi, era stata per gli artigiani del mobile imperante. Nelle scuole professionali i giovani allievi imparavano le forme del passato attraverso lo studio dei calchi in gesso o in bronzo dei principali prototipi “classici”. Solo alla fine degli anni Ottanta del XIX secolo, a Milano in particolare, nascono le prime botteghe che, rompendo con la tradizione e lo storicismo, si danno a sviluppare il nuovo linguaggio modernista, tratto dal vocabolario esotico-moresco di gran moda presso i circoli artistici parigini e londinesi.
E’ Carlo Bugatti (1856-1940) il primo ad aprire un laboratorio nel 1884. Ha studiato all’Accademia di Brera e all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi e, oltre a disegnare e realizzare mobili, dipinge ritratti e paesaggi. Nel 1888 espone alla mostra di Arte Industriale a Milano una camera da letto e nello stesso anno a Londra vince all’Italian Exhibition un premio. Il suo successo all’estero è precoce. E’il primo artista, insieme a Gauguin, nel quale risuona forte il richiamo al primitivismo (impiega pelli di animali selvaggi, forme circolari che richiamano tamburi o scudi; usa l’osso e l’avorio) decenni prima che le maschere africane diventino il tramite per il cubismo, inserisce visi-maschere nelle zone portanti delle strutture lignee. L’infiltrazione di elementi giapponesizzanti, nei braccioli e nelle gambe delle sedie, è altrettanto innovativa. I suoi mobili sono sempre decorati e vivono una vita autonoma, quasi fossero quadri o sculture, slegata dalla funzione che pure, per necessità, sono portati a svolgere. Raggiungono picchi espressivi imparagonabili con le contemporanee esperienze europee, dando all’artista il primato di più originale creatore di forme d’arredamento dell’epoca.
Allievo di Bugatti è Eugenio Quarti (1867-1929), anch’egli milanese, che dal 1888 apre una piccola officina in via Donizetti. Esperto ebanista, adopera legni pregiati e cura i particolari bronzei, ama gli inserti in madreperla e abbandona progressivamente i decori orientali del maestro per adottare quelli floreali, di più stretta ascendenza francese e anglosassone. Nel 1900 alla Grande Esposizione delle Arti Decorative di Parigi i suoi mobili ottengono il primo premio. A differenza di Bugatti, che cerca di vendere i suoi modelli come fossero brevetti per tutelarsi dalle copie, Quarti partendo da artigiano diventa un grande industriale. Figura salda, affidabile, inserita nella realtà cittadina, artista-imprenditore, insegnante nelle scuole della Società Umanitaria, persegue importanti commesse e riceve riconoscimenti ufficiali.
Accanto alle personalità di Carlo Zen, Giacomo Cometti, Alberto Issel, a quella emergente del palermitano Ernesto Basile, primo vero industrial designer italiano, vale la pena ricordare quella di Duilio Cambellotti (1876-1960). Romano, legato ad una forma di socialismo umanitario, fa della sua casa in Trastevere il luogo delle sperimentazioni, aprendosi a tutti gli aspetti dell’arte decorativa, dall’incisione alla decorazione, all’architettura interna ed esterna, alle vetrate, alle illustrazioni, alla ceramica, agli arazzi, alle scenografie, ai costumi. La sua ricerca è sostanzialmente a-decorativa e si addensa soprattutto sulle forme anonime e popolari: la cassapanca contadina, l’aratro, il timone, gli utensili popolari sono i soggetti del suo stile.
L’attività svolta dalla società Aemilia Ars anima invece il contesto artistico bolognese per tutto il primo decennio del Novecento. In Italia ideologicamente è il gruppo più avanzato, legato alle istanze socialiste ruskiniane. Non solo annovera tra i suoi aderenti mecenati, artisti e intellettuali, ma è anche in grado di mettersi in contatto operativo con industrie, artigiani e laboratori del territorio. Il gruppo apre inoltre un punto vendita in via Ugo Bassi, sopravvissuto a lungo nella storia culturale della città. Eleganti intarsi floreali circoscritti in forme rigide e proporzioni classiche con dettagli (cornici e giunti) neorinascimentali sono i prodotti del mix sapiente tra artigianato e industria, tra alta qualità e funzionalità del prodotto: “evoluzione nella tradizione” potrebbe essere il motto postumo dell’Aemilia Ars.
La mancanza di una politica museografica dedicata alle arti decorative fa sì che il reperimento (e dunque lo studio) dei manufatti di tanti artisti-artigiani operanti a cavallo tra XIX e XX secolo risulti ad oggi molto difficile. Di numerose opere si è persa la memoria della loro nobile origine e anche per gli esperti sono diventate “anonime”.
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