Il prototipo del “paesaggio classico”
Aldobrandini
20/02/2001
La lunetta dipinta da Annibale Carracci raffigurante un Paesaggio con la fuga in Egitto, si può tranquillamente definire il manifesto di quello che per oltre due secoli sarà ritenuto il “paesaggio classico”. Punto fondamentale del paesismo romano di primo Seicento, la lunetta di Annibale sarà ammirata e presa a modello da pittori quali Poussin, Domenichino, Claude Lorrain, Gaspard Dughet.
E’ il paesaggio ideale per eccellenza: ogni elemento è accuratamente selezionato ma reso in una sintesi pittorica che trascura il singolo dettaglio; la costruzione è profondamente razionale ma genera un effetto di grande naturalezza. Annibale inventa un linguaggio assolutamente moderno, guarda alla campagna romana con occhi nuovi, distante dai descrittivi ricordi di viaggio propri dei pittori fiamminghi, tanto in voga tra i collezionisti dell’epoca. Annibale rappresenta la natura non quale è ma quale “dovrebbe essere”. E nel realizzare ciò è di aiuto lo studio dell’effeto che ogni particolare ha sull’osservatore: allora, se ben si osserva la composizione, si capisce che gli alberi a destra servono da repoussoir, che la struttura del dipinto è guidata da diagonali interconnesse, che gli edifici rappresentati non sono nitide descrizioni ma elementi finalizzati a bilanciare. Si tratta di una vera e propria composizione scenica, in cui gli elementi ordinatori sono celati da una inconsueta vitalità. L’illusione di profondità è affidata alla prospettiva aerea, non ci sono linee di fuga precise, è un degradare di piani che genera un effetto di libertà apparente.
La nobilitazione del dato naturale propria del classicismo appare qui in tutta la sua evidenza: il paesaggio non è più quello quotidiano cui si era abituati, ma ogni albero, fiume, montagna, è scelto tra i più belli. La natura appare idealizzata.
Con una tale compenetrazione tra figure e ambiente Annibale realizza una formula perfetta, classica, per l’ambientazione della storia sacra. L’uomo è la misura del paesaggio, il paesaggio accompagna l’episodio sacro. I personaggi in primo piano hanno la stessa rilevanza della natura che li circonda, sono figure che vivono l’ambiente che le circonda senza esserne schiacciate e senza dominare. Il perfetto equilibrio crea l’effetto di una serena semplicità.
La cultura di cui Annibale fa tesoro è quella veneta con la sua gamma di toni caldi e dorati. La luce è chiara, leggerissima, ma non piena perchè sono le prime ore del mattino; l’atmosfera avvolgente così come gli uccelli che volano bassi, le pecore che pascolano accanto al fiume, sono lì a trasmettere un senso di risveglio della natura. Sullo sfondo la città antica nata dalla contaminazione tra diversi motivi che il pittore bolognese ebbe modo di osservare nelle campagne romane; è la Betlemme antica da cui i Magi partono per recarsi da Erode.
Le sei lunette raffiguranti paesaggi con Storie della Vergine che decoravano la cappella privata di Palazzo Aldobrandini, andata distrutta dopo il 1750, apparvero certamente ai contemporanei come dimostrazione della modernità del gusto collezionistico del cardinale, sia per la collocazione delle tele che per la loro novità di linguaggio. Dalla fine del ‘600 le lunette verranno considerate quadri di paesaggio a tutti gli effetti e ritenute adatte a comparire nelle sale del palazzo e nelle ville, piuttosto che in una cappella privata.
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