La cartiera papale di Ascoli Piceno

Cartiera Papale Ascoli Piceno
 

13/10/2001

Se si pensa alla produzione cartaria nelle Marche, il pensiero corre subito alla cittadina di Fabriano, universalmente nota per le sue industrie. Pochi sanno che anche ad Ascoli Piceno fin dall’Alto Medioevo si fabbricava tanto la cosiddetta carta bambagina, ottenuta dagli stracci, che la carta pecudina ovvero di pecora, come attestato dagli Statuti del 1377 e dal rogito del 4 Febbraio 1414, che dava dignità ufficiale alla carta ascolana, già nominata da fonti indirette quando nel 1349 due artigiani marchigiani affittarono una cartiera a Colle Val d’Elsa. Nel 2000 una importante opera di recupero ha riportato alla vita l’antica cartiera pontificia di Ascoli, grande costruzione in travertino voluta personalmente da Papa Giulio II negli anni iniziali del XVI secolo, e alla cui realizzazione contribuirono due grandi architetti dell’epoca, Alberto da Piacenza e Cola dell’Amatrice. La storia del complesso esprime appieno i caratteri della storia economica del Rinascimento, soprattutto per quanto riguarda le vicende manifatturiere della città e di tutta l’area picena, una sintesi della storia, della cultura, delle tradizioni popolari inserite nel contesto naturalistico locale. Numerosi artisti cinquecenteschi della cerchia del grande pontefice Della Rovere misero mano in vari modi al progetto, facendo nascere nella zona che era appunto denominata Porta Cartara una sorta di zona industriale ante litteram. Intorno all’opificio trovarono ospitalità tutti coloro che lavoravano alla produzione della carta, alla macinazione dei grani, alla produzione dell’olio, degli oggetti in ferro e in rame grazie alla possibilità di sfruttare la forza delle acque del torrente sottostante, il Castellano, che muoveva le macine dei mulini e dei frantoi. Proprio per questo l’edificio si è ritagliato un ruolo di rilievo nella storia dell’arte rinascimentale cittadina, della quale forse con la sua austera classicità costituisce uno dei principali esempi, caso quasi unico in Italia. La Chiesa mantenne la proprietà dell’intero complesso fino al 1792, facendolo gestire da maestri cartai provenienti da Fabriano o da Pioraco, piccola località nei pressi di Camerino. Solo in un secondo tempo l'edificio venne concesso in enfiteusi. Il restauro è stato eseguito con l’intento di portare all’attenzione di tutti i visitatori le forti valenze di arte, di tecnologia, di lavoro, di imprenditoria che l'opificio conserva. All’interno del complesso sono stati realizzati percorsi museali e itinerari storico-naturalistici all’esterno, con la destinazione di numerosi spazi a sedi espositive. Si è cercato di salvaguardare la composizione originale delle varie parti del complesso, utilizzando quanto più è stato possibile i materiali originari e cercando al contempo di rispettare le normative in tema di sicurezza degli ambienti interni allo scopo di rendere visitabili le strutture.

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